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Abusi e crimini dei caschi blu dell’ONU
Antonella Randazzo - 6/12/06 - www.disinformazione.it  

Quanti di noi si chiedono come mai anche nei paesi controllati dai Caschi blu dell'Onu, come Haiti e la Liberia, avvengono violenze e vessazioni di ogni genere? I Caschi blu dell'Onu che missione svolgono veramente? Non sembrerebbe che stiano lì, come dicono, per proteggere le popolazioni oppure per ristabilire la pace, dato che in ciò hanno sempre fallito. Ad esempio, in Sierra Leone, non limitarono in nessun modo l'attività criminale delle Corporation che pagavano milizie per contendersi le risorse diamantifere. Al contrario, difesero gli interessi delle Corporation combattendo contro tutti coloro che volevano una maggiore trasparenza nella gestione delle risorse del paese.

I Caschi blu dell'Onu, ovunque abbiano attuato missioni di "peacekeeping", hanno commesso una serie di crimini contro la popolazione civile, e soltanto in pochissimi casi si è avuto un processo e una condanna penale. Hanno ucciso migliaia di civili e praticato violenze di ogni genere. La lista dei casi documentati è lunghissima. Anche quest'anno sono emersi numerosi casi di abusi sessuali commessi dai Caschi blu ad Haiti e in Liberia. Ad Haiti, secondo un rapporto pubblicato su The Lancet nell'agosto del 2006, i casi di stupro su donne e bambine sono 32mila negli ultimi due anni. Secondo lo studioso Royce Hutson, coautore della ricerca, almeno nel 25% dei casi, i responsabili degli abusi sono soldati dell'Onu e polizia locale.

Un rapporto del maggio 2006 sui campi profughi liberiani, curato da "Save the Children", accusa i Caschi blu di aver obbligato bambini a prestazioni sessuali in cambio di cibo, birra o per un giro in automobile.
Questi crimini vanno aggiunti ad una lista lunghissima di violenze commesse dai Caschi blu in Bosnia, Congo, Rwanda, Kosovo, Ucraina, Somalia ecc. In quasi tutte le missioni, i Caschi blu combattono come eserciti in guerra, e sono sempre schierati dalla parte del potere tirannico che opprime i popoli.

Nel 1992 si ebbe un intervento dei Caschi blu in Somalia denominato 'Restore Hope" (ridare speranza). La Somalia era devastata dalla guerra civile fra i gruppi contrapposti capeggiati dal generale Mohamed Farah Aidid e da Mohamed Ali Mahdi, che dopo la caduta di Siad Barre (1991), volevano prendere il potere. La missione avrebbe dovuto permettere alle organizzazioni internazionali di distribuire viveri e dare assistenza umanitaria alla popolazione.
I militari dell'Onu però non riuscirono ad affrontare la situazione nell'ambito di operazioni di polizia e attuarono diverse operazioni belliche macchiandosi di azioni criminali verso donne, bambini e cittadini inermi. Centinaia di civili vennero uccisi, anche bambini e donne.

L'Italia partecipò con l'operazione denominata 'Ibis' e impegnò i parà della 'Folgore'. I compiti assegnati dall'Onu agli italiani erano molteplici: garantire la sicurezza dei convogli che portavano aiuti, bonificare il territorio, sequestrare armi e vari incarichi di polizia. La missione, tuttavia ebbe aspetti poco chiari che coinvolsero anche i soldati italiani, che furono accusati di torture e violenze sui somali. Durante la missione furono uccisi undici militari italiani (luglio 1993), e la giornalista Ilaria Alpi e il teleoperatore Miran Hrovatin (marzo 1994).
Emergeranno fatti atroci commessi dai soldati italiani. In Italia vennero pubblicate foto[1] che documentavano violenze e torture di italiani contro somali. In particolare si trattava di stupri e dell'uso dell'elettroshock, applicato da Valerio Ercole ai testicoli delle vittime.

Il maresciallo della Folgore Valerio Ercole, nel 1997, subì un processo per aver praticato la tortura. Anche altri paesi, come il Belgio e il Canada, avevano processato soldati per il medesimo reato e li avevano condannati, ma Valerio Ercole venne assolto dalla Corte d’Appello di Firenze, per prescrizione. Altri soldati italiani processati si difesero dicendo che la situazione in cui erano costretti ad operare era molto difficile, come se questo potesse rendere leciti lo stupro e le torture. In Italia gli episodi furono tutti insabbiati e venne propagandato l'aspetto 'buono' della missione. Il 4 giugno del 2000, si ebbe a Roma una sfilata militare per celebrare la missione di pace dei militari italiani. I primi a sfilare furono i reparti di ritorno dalle missioni effettuate all'estero, i paracadutisti della Folgore, fanti, bersaglieri, genieri, carristi. Il sindaco Walter Veltroni definì la parata come una "armata della pace", ma fra coloro che sfilavano c'erano diversi responsabili di violenze e abusi.

La missione Restore Hope durerà tre anni (1992-95), dopodiché l'Onu, che non era riuscita a risolvere né a migliorare la situazione in Somalia, abbandonava il paese alle bande rivali al soldo delle Corporation. Abbandonata a se stessa e in preda al caos la Somalia diventerà, tristemente, luogo di cui approfittare per loschi traffici. Il popolo somalo continuerà a subire eventi drammatici, che saranno prudentemente tenuti nascosti dai paesi che li perpetravano. La Somalia diventerà un cimitero di rifiuti tossici, il cui traffico sarà organizzato dalle bande criminali in guerra.

In Congo, i casi documentati di crimini commessi da Caschi blu dell'Onu sono 150, fra violenze carnali, pedofilia e sfruttamento della prostituzione. In altri paesi si avranno abusi analoghi. Nel 1991 in Cambogia i Caschi Blu commisero abusi sessuali su minorenni. Nel 1993, a Sarajevo, Caschi blu ucraini pagarono prestazioni sessuali con la benzina e altri commisero abusi sessuali su minorenni. Nel 1994 in Mozambico, alcuni Caschi blu abusarono sessualmente di minorenni. Nel 2001, in Eritrea, soldati dell'Onu danesi e italiani organizzarono orge con bambine di 13 anni. Nel 2002 funzionari Onu organizzarono traffici sessuali nei campi profughi di Liberia, Guinea e Sierra Leone e nel 2004 due Caschi Blu vennero accusati di violenze sessuali.[2]

Le stesse Nazioni Unite indagarono da maggio a novembre del 2004 e pubblicarono un rapporto all'inizio del 2005, da cui emerge che negli ultimi 12 anni i reati dei Caschi blu contro le popolazioni sono aumentati. Sono aumentati anche i “bebè peacekeeper”, cioè i figli dei funzionari dell'Onu. Addirittura, un funzionario americano del Palazzo di Vetro, ha lasciato figli a Haiti, Timor Est e in Congo.
Nel marzo del 2005, Carina Perelli, capo dell'Unità di assistenza elettorale dell'Onu che ha organizzato le elezioni in Iraq, è stata accusata di abusi sessuali, di favoritismi e di uso improprio dei fondi delle Nazioni Unite, la denuncia è stata fatta in seguito ad un'inchiesta commissionata dal Palazzo di Vetro alla Società di consulenza svizzera Mannett Sarl.

Nello stesso anno, il principe al-Hussein di Giordania preparò un rapporto dal titolo “Una strategia comprensiva per eliminare futuri abusi e sfruttamenti sessuali nelle operazioni di peacekeepers dell'Onu”. Nel rapporto denunciava la situazione degli abusi come assai grave: “La realtà della prostituzione e degli abusi sessuali nei contesti di peacekeepers è specialmente inquietante e sconcertante perché le Nazioni Unite hanno avuto il mandato di entrare a far parte di una società devastata dalla guerra per aiutarla e non per abusare della fiducia riposta dalle popolazioni locali”. Il documento è stato approvato dal segretario generale dell'Onu Kofi Annan.

Ci si chiede anche come mai nelle zone "calde" dell'Africa, nonostante la presenza dei Caschi blu dell'Onu, il traffico di armi non trova alcun ostacolo. A questa domanda ha risposto il regista Hubert Sauber, col suo film-documentario dal titolo L'incubo di Darwin, che parla di un traffico di armi effettuato con aerei pagati dall'Onu. Secondo il documentario, negli anni '90 le Nazioni Unite in Tanzania hanno permesso il traffico di armi. I cargo dell'Onu venivano utilizzati per trasportare armi per i signori della guerra dei Grandi Laghi. Uno dei piloti disse al regista: "Come pensava che arrivassero qui le armi? Con la Lufthansa o l'Air France?".[3]

Il film di Sauber rivela l'intreccio agghiacciante fra l'esportazione del pesce persico e l'importazione di carichi di armi per rifornire i paesi africani in guerra. Del rifornimento di armi si occupavano occultamente anche funzionari e Caschi blu dell'Onu. Nel film appaiono riunioni di funzionari governativi locali ed europei, che discutono sullo "sviluppo economico della Tanzania", ponendo l'accento sulla capacità di esportare buona merce piuttosto che sulla capacità di salvare le persone che morivano di fame. Così Sauber spiega le ragioni che lo hanno indotto a girare il film: "Ho scelto di realizzare un film molto metaforico per mostrare l'assurdità del tempo che stiamo vivendo. Avrei potuto farlo sulle scarpe o sulle magliette, non sarebbe cambiato nulla. Molti di noi sono consapevoli di che cosa sia la ricchezza, non tutti conoscono gli abissi di povertà e morte che stanno alla base. Quando comprate una rosa per la vostra fidanzata, dovete sapere che molto probabilmente arriva dallo Zaire, con lo stesso aereo che lì ha portato le armi occidentali. L'idea del film mi è venuta durante le riprese di un altro film sulla guerra del Congo. I piloti russi mi parlarono per la prima volta del traffico presso il lago Vittoria. Mi sembrava assurdo. Per quattro anni sono rimasto lì, girando in mezzo a tante difficoltà e pericoli.[4] 

A cosa servono dunque i Caschi blu dell'Onu? L'Onu è stata impotente di fronte a gravi discriminazioni, genocidi e violenze avvenuti in molte parti del pianeta. Le sue "milizie", spacciate per soldati di pace, in realtà difendono gli interessi del potere economico-finanziario, e non si fanno scrupoli ad esercitare sui popoli, quasi sempre impunemente, ogni sorta di violenza.
All'Onu viene attribuita la funzione importante di imporre alle nazioni un ordine che abbia alla base il rispetto della dignità umana. Ma ciò non è possibile, perché al suo vertice ci sono le stesse persone che fomentano guerre e che massacrano i popoli. L'élite economico-finanziaria vorrebbe trasformare i Caschi blu in un esercito globale, per difendere l'assetto costituito ovunque, anche massacrando. Così potrà sempre chiamare la guerra "missione di pace".  


[1] Le foto vennero pubblicate su Panorama del 13 giugno del 1997 nell'articolo "Somalia. Le nuove foto della vergogna" di M. Gregoretti. Le denunce erano state fatte anche nel 1993 da alcuni giornali italiani.
[2] Burba Elisabetta, "Com'è sporco il palazzo di vetro", Panorama del 6 aprile 2005.
[3] Idem
[4] Liberazione, 10 settembre 2004.

 
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