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Consumare meno, perché l’economia si rinnovi
Operazione Bilanci di Giustizia
http://www.unimondo.org/bilancidigiustizia

L'intervista all'economista tedesco Gerhard Scherhorn invita a riflettere in profondità sui meccanismi macroeconomici e propone di cogliere i segnali economici della crisi per pensare nuovi modelli di consumo e di produzione.
In quest'ottica anche la Giornata mondiale del Non Acquisto può diventare un segnale importante.
In questi mesi il primo ministro italiano ha invitato le famiglie a consumare di più e a spendere di più, indicando questa attività come la soluzione alla crisi economica. Se le famiglie spenderanno meno, non supporteranno la crescita economica e ciò comporterà un problema, poiché imprese dovranno ridurre i posti di lavoro e la recessione peggiorerà.
Molti cittadini sono rimasti un po' perplessi di fronte a questo invito e, mentre alcuni soggetti si preparano anche quest'anno alla giornata mondiale del non acquisto (Buy Nothing Day), ci si chiede quale significato abbiano nell'ottica macroeconomica scelte radicali come quelle delle famiglie della campagna Bilanci di Giustizia, che tra i loro obiettivi si propongono di
consumare meno e consumare secondo giustizia.
Ecco il parere del prof. Scherhorn, economista tedesco, già consulente del governo della Germania, e attuale coordinatore del gruppo di studio "Nuovi modelli di benessere" presso l'istituto di Wuppertal per il clima, l'ambiente  e l'energia[i].

Prof. Scherhorn, condivide l'analisi del governo italiano?
L'appello di Berlusconi è perfettamente in linea con ciò che la maggior parte dei politici e degli economisti affermano quando c'è una recessione economica: "La crescita del prodotto interno lordo (PIL) rallenta, quindi scende il fatturato delle imprese e, di conseguenza, si perdono posti di lavoro. Per limitare questo meccanismo, i consumatori devono comprare di più, così che il fatturato possa risalire".
Questa concezione si basa tuttavia su due ipotesi false.
Nell'ottica di breve periodo sarebbe vera solo se il fatturato delle imprese fosse crollato a causa della diminuzione dei consumi delle famiglie. Questo non è tuttavia vero. I consumatori comprano meno perché i redditi sono scesi o non sono cresciuti nella misura attesa, oppure perché la sicurezza relativamente al reddito è diminuita; dunque perché nel complesso hanno meno denaro da spendere o si aspettano che questo avverrà nel futuro.
E ciò non dipende dal consumo, ma da una debolezza strutturale. Come sempre questa fase è stata preceduta da una oscillazione verso l'alto, durante la quale le imprese hanno incrementato la loro capacità produttiva, ma la velocità dell'oscillazione è stata eccessiva e non si è rivelata duratura; quindi ora la domanda di beni non è sufficiente per impiegare l'accresciuta capacità produttiva, e quindi vengono licenziati lavoratori, oppure scendono i salari. Come si può ora pretendere dai consumatori che spendano più denaro, nonostante ne abbiano meno?

Questo, diceva, nel breve periodo. E il lungo periodo?
Con un'ottica di lungo periodo il concetto sarebbe vero se, e solo se, fossero realizzate le seguenti due ipotesi:
a)             la crescita economica dipendesse solo dalla costante crescita della componente "consumi privati" della domanda;
b)             non ci fossero alternative alla costante crescita quantitativa del prodotto interno lordo.

L'economista Alan Durning ha indicato questa concezione come "Mito del consumo o del declino" già nel 1992, nel suo libro "Quanto Basta?"[ii]: "o consumiamo sempre di più, oppure andiamo in crisi, le imprese si contraggono o falliscono, le persone diventano disoccupate, lo stato non riceve più abbastanza tasse per finanziare le scuole e gli altri servizi".
Tuttavia le cose non stanno esattamente così. Per due ragioni.
Primo, la domanda privata di beni di consumo può salire oggi così velocemente solo perché i beni costano poco, poiché vengono prodotti e consumati con un dispendio di materie prime non rinnovabili, energie fossili e "beni pubblici" insostituibili (quali la biodiversità, il clima, il
territorio, l'aria e l'acqua), utilizzo che arriva ad essere a costo quasi nullo (poiché il prezzo di mercato dei beni non include i costi ambientali reali, ad esempio il prezzo della benzina non tiene conto della finitezza delle fonti petrolifere), scoraggiando una produzione efficiente. Poiché le materie prime naturali sono così economiche e i beni di consumo con essi prodotti sono così numerosi, il fattore lavoro umano della produzione è relativamente più costoso, poiché il salario deve garantire ai lavoratori il denaro necessario per comperare i molti beni prodotti (per non far crollare la domanda). Questo, nonostante i prezzi dei singoli beni diminuiscano a spese dell'ambiente. Se i mezzi di produzione venissero utilizzati in maniera più efficiente e tenendo conto del loro reale costo ambientale (produzione sostenibile), i beni di consumo sarebbero più costosi, i consumatori comprerebbero meno, riparerebbero di più (consumo sostenibile) e i loro redditi potrebbero anche essere più ridotti, la produzione potrebbe essere lavoro-intensiva (cioè i beni verrebbero prodotti con maggior impiego
di lavoro e minor spreco di risorse naturali. Ad esempio per un'impresa potrebbe essere più conveniente riciclare la materia prima attraverso l'assunzione di più operai piuttosto che utilizzare nuova materia prima).

I salari reali (dato l'aumento dei prezzi) sarebbero tendenzialmente più bassi, ma ci sarebbero anche meno persone disoccupate.
Inoltre, va urgentemente immaginata e progettata un'alternativa all'attuale crescita economica, che oggi si realizza con l'aumento annuale del PIL, accresciuto per lo più dai costi dello spreco e della distruzione della natura (spese effettive date dal risanamento dei danni ambientali e spese contabili date dalla perdita di valore dovute alla diminuzione delle scorte
di materie prime). Insomma è una crescita basata sull'aumento di ciò che diminuisce e non su ciò che incrementa il livello di benessere.

Per aiutare il proprio Paese - nell'ottica della crescita quantitativa appena descritta - è di fondamentale importanza aumentare i consumi.

Famiglie e gruppi - come Bilanci di Giustizia - che si pongono da sempre l'obiettivo di consumare secondo giustizia e, quindi optare per la sobrietà e la riduzione, di fronte a questo invito categorico si interrogano. Quale di queste opzioni è oggi più sensata?
Il modello potrebbe essere totalmente diverso. Si può concretamente ipotizzare di avere una minore crescita quantitativa rispetto ad oggi, ma di vedere accresciuta la qualità dei prodotti e dell'ambiente. Ciò che verrebbe prodotto incrementerebbe in maniera piena la qualità della vita.
Se l'economia venisse diretta in maniera precisa e consapevole verso una crescita qualitativa, anche i problemi transitori verrebbero superati in maniera naturale.

Per raggiungere questo obiettivo i processi di produzione dovrebbero cambiare, così come le strutture di prezzo e le abitudini dei cittadini. E ciò può essere doloroso. Ma all'orizzonte potrebbe esserci un obiettivo affascinante: il benessere e una migliore qualità della vita per tutti.
Sembra che il governo italiano non si ponga alcun obiettivo di questo genere, e quindi nel calo dei consumi privati non può che vedere esclusivamente svantaggi e cattivi presagi. Gli elementi di crisi come quelli che si vedono oggi potrebbero invece essere interpretati anche come stimolo e spinta al rinnovarsi dell'intera economia.

Esperienze come Bilanci di Giustizia e i consumatori critici e sobri, con le loro scelte, in qualche modo lo preannunciano.
Si pensi alla scelta di acquistare prodotti più costosi (biologici) perché includono i costi ambientali, alla riduzione volontaria dei consumi non necessari, all'aumento delle attività di autoproduzione e alla valorizzazione del lavoro di cura, nonché alla riduzione del tempo dedicato al lavoro retribuito (e conseguente riduzione del reddito monetario).
Esperienze come queste lasciano intuire che questa "nuova economia" sarebbe possibile. Per questo risultano molto più "capaci di futuro" dell'attuale politica del governo.

[i] A cura dell'Istituto di Wuppertal è stato pubblicato in Italia, Futuro sostenibile, ed. EMI, maggiori informazioni sul sito: www.wuppertalinstitut.org
[ii] Alan Durning, Quanto basta? La società dei consumi e il futuro della Terra, Franco Angeli editore, a cura di Legambiente

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