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Blackwa(te)r: la guerra sporca dei contractors in Afghanistan
A cura dell’avv. Luca Troiano per www.disinformazione.it - 22/11/2010

In seguito all'annuncio di Hillary Clinton di rinnovare i contratti con le security agencies presenti in Afghanistan, il governo Karzai si è visto costretto a rimandarne la messa al bando dal paese. La Blackwater cambia il nome (ora Xe Services) ma non i metodi. In Afghanistan la guerra è una cosa “privata”.

1. Mentre a Kabul prosegue la trattativa diretta tra il presidente Karzai e alcuni capi talebani per porre fine ad una guerra giunta al nono giro di boa, in Occidente è passata sotto silenzio la decisione del governo afghano, prima annunciata e poi ritirata, di mettere al bando le varie agenzie private di sicurezza  che operano nel paese.
Già in estate Karzai aveva disposto con decreto l'allontanamento di tutte le compagnie mercenarie dal paese (definite “ladri di giorno, terroristi di notte”), perché responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in Afghanistan. Il piano del presidente prevedeva lo scioglimento di tutte le compagnie nel termine del primo gennaio prossimo. “Non solo provocano tanto disagio al popolo afghano,” aveva detto Karzai il 16 agosto, “ma sono in realtà in contatto con gruppi mafiosi e, forse, anche dietro il finanziamento di militanti, ribelli e terroristi”. Il primo ottobre il portavoce del governo, Waheed Omar, annuncia la messa in atto dell'operazione. Otto agenzie sono colpite dal provvedimento con effetto immediato: le americane NCL Holdings e Four Horsemen International, l'inglese Compass International, le afghane White Eagle Security Services e Abdul Khaliq Achakza. A queste si aggiungono due compagnie minori delle quali non è stato reso noto il nome. Entro gennaio, ha aggiunto il portavoce, sarebbe scattato il divieto di lavoro per tutte le compagnie (ben 52) registrate presso il Ministero della Difesa. Nonostante l'opposizione di Washington, da agosto in poi Karzai si è dimostrato irremovibile. Almeno fino ad ottobre.

Il primo del mese, infatti, fughe di notizie dal Dipartimento di Stato Usa confermano la firma di un nuovo contratto miliardario tra il governo americano e le security agencies e il loro imminente ritorno in Iraq, mentre quelle già presenti in Afghanistan non sarebbero state ritirate . L'accordo, denominato Worldwide Protective Services Contract, ha durata quinquennale e costerà al contribuente americano oltre 10 miliardi di dollari.
Karzai, a quel punto, si è trovato tra due fuochi: quello popolare, esasperato dai soprusi commessi dai mercenari in nove anni di guerra, e quello degli Usa, che a suon di biglietti verdi riesce sempre a farsi ascoltare. Il presidente ha lasciato trascorrere un mese, incerto sul da farsi, o più prosaicamente alla ricerca di una spiegazione al suo dietrofront che gli consentisse di non perdere la faccia.
Sabato 30 l'annuncio: lo scioglimento delle compagnie è posticipato al marzo 2011. Motivazione ufficiale? Preservare “i progetti di sviluppo e i programmi finanziati dalla comunità internazionale”. Il giorno prima, ad esempio, il governo di Kabul aveva annunciato il completamento della linea ferroviaria, la prima del paese, che collegherà Mazar-i-Sharif all'Uzbekistan, facilitando commerci e rifornimenti, segno che i progetti finanziati dall'Occidente, ogni tanto, vanno anche a buon fine. Ma che il blocco del provvedimento di espulsione sia in ogni caso dovuto alle pressioni degli Stati Uniti, che nelle agenzie private hanno investito un mare di soldi, è evidenziato dagli stessi rapporti istituzionali che circolano a Washington.

2. I “contractors”, ossia gli agenti delle compagnie private di sicurezza, sono soldati a tutti gli effetti, in quanto stipendiati dal Dipartimento di Difesa. Tuttavia, il loro reclutamento presenta dei vantaggi rispetto all'impiego delle forze regolari: costano meno, perché sotto contratto a termine, e hanno un minore impatto sull'opinione pubblica, in quanto “meno in vista” rispetto ai militari effettivi. E infine, il governo non è tenuto a ritirarli dal paese entro il termine previsto per l'esercito: insomma, restano finché il Pentagono li paga.
L'esistenza di compagnie private alle quali sono affidati il servizio di sicurezza, nonché altri compiti, una volta di competenza esclusiva dell'esercito, è stata messa in luce dal cosiddetto “Blackwatergate”.
Il nome dell'agenzia Blackwater è conosciuto al grande pubblico dal 16 settembre 2007, giorno in cui alcuni uomini dell'organizzazione, di scorta ad un uomo d'affari nel centro di Baghdad, aprirono il fuoco sulla folla uccidendo 17 civili. La Blackwater finì nell'occhio del ciclone e gli Stati Uniti subirono un danno d'immagine, secondo un'indagine del Washington Post, peggiore dello scandalo di Abu Ghraib.

Due settimane dopo l'incidente, Erik D. Prince, ex marine e fondatore dell'agenzia nel 1997, decise di uscire allo scoperto per prendere le difese dei suoi uomini. “Quello che è avvenuto,” disse, “è stato un deprecabile incidente,” sottolineando che dall'inizio della guerra la stessa Blackwater aveva perso 30 uomini mentre nessuna delle persone scortate aveva subito danni. Nessuna precisazione circa operazioni svolte oltre al servizio di scorta, né tanto meno sul numero di civili uccisi nello svolgimento delle stesse.
La scoperta che il governo americano aveva “appaltato” una larga fetta della sicurezza in Iraq a gruppi di mercenari in perfetto stile “A Team” suscitò un enorme scalpore presso l'opinione pubblica. Al punto che il Congresso Usa nominò una commissione bipartisan, presieduta dal deputato democratico Henry Waxman, per indagare su quanto avvenuto in Iraq. Il rapporto finale, oltre a stigmatizzare le attività militari dell'agenzia (in 163 scontri a fuoco su 195 erano stati i suoi uomini a sparare per primi), non risparmiava accuse all'amministrazione Bush, colpevole di aver coperto l'operato dei contractors. Si scoprì che la Blackwater aveva il suo quartier generale a Moyoc, nel North Carolina, dove addestrava 35000 uomini all'anno, e che possedeva addirittura una flotta di 76 aerei, soventemente concessi in affitto all'esercito regolare per le operazioni più delicate. E che dal 2001 aveva ricevuto dal governo Usa oltre un miliardo di dollari e di cui non è mai stato possibile documentare l'utilizzo. In seguito allo scandalo, Prince decise di sciogliere la compagnia. Per ricostituirla poco più tardi con un altro nome: Xe Services LLC.

In agosto, il Dipartimento di Stato ha condannato la Xe Services ad una multa di 42 milioni di dollari per violazione dell'embargo all'export di armi in Afghanistan. Ma Washington non ha smesso di chiudere un occhio sull'operato della compagnia: il 23 ottobre il Dipartimento di Giustizia ha archiviato il caso di Andrew J. Moonen, ex agente Blackwater, che il 24 dicembre del 2006 uccise con tre colpi di pistola Raheem Khalif, una guardia del corpo del vicepresidente iracheno Adel Abdul Mahdi. L'archiviazione è giunta al termine di un iter giudiziario fatto di insabbiamenti e giustificazioni giuridiche (incertezza sulla legge da applicare, difficoltà nel reperire prove su un campo di battaglia, legittima difesa) o presunte tali. Per la cronaca, ogni processo intentato contro agenti della compagnia si è concluso con un nulla di fatto. Compreso quello per la strage dei 17 civili a Baghdad nel 2007.
Per la verità, in questi anni non è stata l'unica agenzia di sicurezza ad aver evidenziato una condotta (ed una contabilità) inaffidabili. Alla fine del 2007 il Diplomatic Security Bureau, organismo di controllo Usa, rese noto che il Dipartimento di Stato non era stato in grado di documentare come fosse stato speso il miliardo di dollari elargito ad un'altra compagnia, la Dyn Corp International, messa sotto contratto per addestrare la polizia irachena. I revisori incaricati dal Congresso trovarono conti in disordine, pagamenti duplicati e spese per attrezzature mai utilizzate. Senza contare benefits ed extra vari ai dipendenti.
Una gestione disastrosa, insomma. Alla quale la Clinton ha scelto di accordare una rinnovata fiducia.

3. Quella in corso in Afghanistan passerà alla storia come la più imponente guerra “privata” di sempre. All'inizio dell'anno il Pentagono impiegava nel paese 104.000 contractors e 68.000 soldati regolari, e il Congressional Research Service stimava che ai 33.000 soldati inviati da Obama sulla scia del modello (il surge) già sperimentato in Iraq si sarebbe aggiunto un ulteriore numero di mercenari tra i 26.000 e i 56.000. in Afghanistan, secondo l'organismo, la percentuale di agenti privati impiegata è la più alta che in ogni altro conflitto nella storia degli Usa. Dopo aver privatizzato i servizi pubblici, la sanità, le poste, i trasporti, lo zio d'America dimostra che si può appaltare anche la guerra. Con l'inevitabile corollario della “deregulation”, che nel caso di specie significa agire nell'impunità più assoluta.
A
ttualmente il numero di contractors si attesterebbe sui 26.000, di cui 10.000 statunitensi e 16.000 stranieri, per lo più locali. Le loro mansioni non si limitano al servizio di sicurezza, ma finiscono per sovrapporsi ai compiti operativi dei militari. In pratica, sono un doppione dei soldati in divisa. Se non fosse che loro non hanno regole da rispettare, a cominciare da quelle previste nelle Convenzioni sui diritti umani. E poco importa se la loro condotta sfocia in veri e propri abusi ai danni della popolazione, ci pensano i tribunali a mettere le cose a posto (rectius: a tacere).

4. Non sono solo i “vip” ad affidarsi alle cure delle compagnie di sicurezza private: anche la gestione della sicurezza delle basi Usa nel paese è affidata dai comandanti ad agenzie di contractors, che subappaltano il servizio ai signori della guerra locali. Con il risultato che i vertici militari Usa non sanno nulla di chi vigila sulle loro installazioni in terra afghana, e che secondo un rapporto del Senato sarebbero legate ai taliban, o all'intelligence iraniana. Ma c'è di più.
Il 22 giugno un rapporto del Congresso Usa intitolato Warlord Inc, frutto di un'indagine durata sei mesi, evidenziava che i principali finanziatori degli insorti in Afghanistan sono proprio gli Stati Uniti. Questo perché il Pentagono appalta i trasporti logistici di rifornimenti per i militari Usa in Afghanistan a otto ditte private (civili) accreditate nell'ambito del programma chiamato «Host nation trucking» (trasporti nella nazione ospite), per cui spendono 2,1 miliardi di dollari. E il contratto prevede che siano le ditte stesse a provvedere alla sicurezza del trasporto. Considerato che le strade sono controllate da piccoli gruppi di signori della guerra (warlord, appunto), ne consegue che la sicurezza dei servizi di rifornimenti è affidata ai vari warlord presenti lungo il cammino. Si parla di 500 dollari per un camion da Kandahar a Herat (dove ha sede il contingente italiano) e di 50 dollari da Kabul a Gazni, per fare qualche esempio; ma in alcune zone più instabili si arriva anche a 1500 dollari. Un sistema formato da centinaia di agenzie private che dà lavoro a circa 70000 uomini armati. E che alimenta una spirale di corruzione che rafforza gli insorti. Finanziando la guerra dalla parte sbagliata.