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Una intepretazione spirituale di ciò che è accaduto all'Ilva e che sta succedendo nel mondo

Ciclone sull'Ilva di Taranto
Stefano Freddo - dicembre 2012

Anche la Natura si scatena sulla fabbrica intorno alla quale si stanno da mesi confrontando le visioni sociali contrastanti di questo nostro tempo storico. Come sulla scena di una tragedia greca, giungono le Erinni, le Furie scatenate della natura a presentarci il conto delle nostre azioni.
Un conto fatto di disastri sociali ed ambientali che nessuno dei contendenti, degli attori in scena, vuole pagare e che imputa all'avversario di turno.
Ma la morte portata dalla Natura è assai meno pesante di quella che ha portato il nostro modello di economia alla Terra e all'Umanità intera. La natura ci rimanda indietro assai meno distruzione di quella che noi le abbiamo arrecato. E' solo una scossa quella che ci manda, perché possiamo destarci in tempo, prima che sia troppo tardi.

L'Ilva di Taranto è divenuta il simbolo vivente del grande paradosso che stiamo vivendo come umanità, la contraddizione di un'economia che aspira al progresso, che ha raggiunto potenzialità produttive enormi che potrebbe mettere al servizio del benessere umano per una fraterna convivenza e invece non riesce che a generare morte.
Gli ideali che vogliamo realizzare dimostrano tutti i loro effetti distruttivi. Ideali di progresso e benessere che non tengono conto dell'Uomo. Ideali di giustizia sociale che si vogliono imporre contro nemici, una classe contro l'altra armata.

Ma dov'è l'Uomo? L'Uomo che non è né operaio né imprenditore, né povero né ricco, né oppresso né oppressore? Forse la Natura sta cercando di aiutarci a trovarlo. Di fronte alla morte che essa ci porta, terremoti, alluvioni, uragani, abbiamo forse la possibilità di non cercare un colpevole, di sentirci tutti nella stessa barca, semplicemente Uomini.
Perché è solo la comprensione che ci occorre, comprensione che è assenza di giudizio di condanna, per giungere ad accogliere anche gli eventi sociali da un punto di vista puramente umano.

Qual è il segno distintivo dell'Umano? Non è forse l'interesse per la vita nella sua interezza e verità, il compartecipare e sentirsi responsabile di tutto quanto accade? Imputare le responsabilità della desolazione in cui ci troviamo a dei colpevoli, non è forse abdicare all'Umano? E non potrebbe essere che i mali sociali che stiamo vivendo siano proprio l'occasione propizia per trovare finalmente l'Umano?
Le forme sociali che abbiamo sviluppato fino ad oggi si dimostrano infatti inadeguate a soddisfare le esigenze di una convivenza degna dell'Uomo. L'Uomo è portatore di una meta futura, la meta del suo realizzarsi come Uomo. Ogni Uomo sa infatti di essere più di quanto è finora divenuto. Ogni Uomo porta in sé il germe dell'Umano, germe che è forza di sviluppo verso il futuro, forza che ci ha condotto fino al punto in cui oggi ci troviamo, ma che continuamente anela al superamento, perché ad ogni traguardo raggiunto scorge nuove vie e nuove possibilità.

La morte ci è sorella in questo arduo percorso, perché le mete raggiunte a prezzo di tanto sforzo e tanto dolore tendono a voler conservare se stesse, ostacolando ciò che ci chiama dal futuro.
Allora qualcosa del passato deve morire, deve essere sacrificato per una nuova evoluzione. L'uomo non ha ancora compreso che egli vive in questo equilibrio tra passato e futuro, tra morte e vita. Non ha ancora compreso che il significato profondo del suo passato sta nel suo compimento futuro, che questo compimento futuro richiede il sacrificio di ciò che è stato conquistato in passato. Che senza tale sacrificio lo stesso passato viene tradito, perché esso aspirava al suo compimento futuro. E così l'uomo resiste alla morte del vecchio, non vuole rinunciare alle forme antiche che si è conquistato, ignaro che il suo essere Uomo è fatto di
divenire, che egli è un essere errante, che come Figlio dell'Uomo non ha un luogo dove posare il capo.

Abbiamo sempre posato il nostro capo sui caldi guanciali, nelle diverse case che nella storia con fatica ci siamo costruite. E anche questo fa parte dell'umano, è il riposo dopo il lavoro, necessario per riprendere il cammino con nuovo vigore. Ma ci siamo troppo spesso adagiati nella soddisfazione di questo riposo, pensando che fosse il riposo la meta del nostro andare, smarrendo pian piano la gioia del viaggiare.
Allora è giunta ogni volta la tempesta a distruggere la nostra casa, a costringerci a riprendere il viaggio. E la tempesta continuerà a ritornare, fino a quando non troveremo una casa così solida che resista alle tempeste e ai terremoti, una casa adatta all'Uomo.
Osservando i segni dei tempi, vediamo che l'Umanità è già sulla via di divenire un solo popolo. I popoli viaggiano, si rimescolano, uomini da ogni angolo della terra si ritrovano in ogni regione del mondo.

Come riconoscere e garantire oggi, nelle mutate condizioni, il diritto e la dignità di ogni Uomo? Le leggi provenienti dal passato si dimostrano inadeguate. Ius Sanguinis o Ius Soli? Diritto di cittadinanza secondo il sangue, secondo l'appartenenza a un popolo, o per nascita in un determinato luogo? Né l'uno né l'altro sono adeguati a riconoscere la dignità dell'Uomo come cittadino della Terra intera.
Su questa Terra chi è il sovrano? Chi ha il legittimo potere di amministrare la vita dell'Umanità? Nel corso della storia molti hanno provato, cesari, imperatori, dittatori, presidenti.
Quando i popoli erano suddivisi in regioni distinte sulla faccia della terra, poteva ancora avere un senso che alcuni popoli più evoluti sotto determinati aspetti svolgessero per un certo tempo una funzione guida nell'umanità. Ma oggi ciò non è più possibile. Gli uomini stanno lavorando per giungere ad una meta comune, per giungere ad un tempo in cui le distinzioni dovute alla nascita saranno superate.

Otri nuovi per il vino nuovo
Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo questi principi universalmente umani sono già stati riconosciuti. Ma le forme sociali mediante le quali vorremmo realizzare questi principi non sono adatte allo scopo, sono ancora quelle provenienti dal passato. La sovranità appartiene al popolo, recita la Costituzione della Repubblica Italiana. Ma quale popolo, quello italiano, quello padano o siciliano? In nome del popolo, di qualsiasi popolo, si possono solo creare lotte e divisioni, aizzare un uomo contro l'altro.
Il nostro sistema democratico non è adeguato a rispondere alle mutate esigenze dell'Uomo.
Un parlamento che delibera a maggioranza, che vive sulla lotta di fazioni contrapposte, non è adatto a soddisfare i bisogni dell'Uomo.

Poiché l'Uomo non può mai essere rappresentato da un gruppo, per quanto grande esso sia. Il suo vero essere vive pienamente solo in quanto è al contempo individuale e universale, uno e irripetibile e parte dell'intera Umanità. E non c'è sovrano al mondo che lo possa rappresentare. Solo egli stesso può essere libero sovrano di se stesso. Divenire sovrano di sé è la meta di ogni Uomo.
Ogni Uomo oggi vuole poter decidere liberamente della propria vita. E qui sorge la domanda: può essere realizzato questo anelito in modo tale che non si generi la guerra di tutti contro tutti come conseguenza dell'espressione delle volontà individuali? A questo possiamo rispondere: l'Uomo è per sua natura un essere in divenire, sempre in tensione tra diversi opposti, in lotta tra polarità nella continua ricerca di un nuovo equilibrio. Quindi è illusorio pensare che possa esistere per lui una condizione di tranquilla serenità, in cui non ci siano conflitti, che la società possa giungere ad una condizione paradisiaca in cui possa mantenersi indefinitamente. Questo paradiso in terra è stato sempre promesso dalle ideologie che hanno sedotto l'uomo, l'hanno cullato in illusioni e condotto al sonno, puntualmente interrotto da incubi e da dolorosi risvegli.

La questione è piuttosto se gli inevitabili conflitti possano essere contenuti entro giusti confini, se il loro esprimersi possa divenire occasione di crescita positiva per tutti piuttosto che di distruzione.
Il conflitto più grande che oggi stiamo vivendo, di cui la vicenda dell'Ilva è il simbolo, è quello tra le esigenze di un'economia in crisi costretta ad un drastico ridimensionamento e l'esigenza di garantire la sopravvivenza a tutti i lavoratori e le loro famiglie, che vedono inesorabilmente svanire le loro speranze di una sicurezza lavorativa per il futuro. La lotta per la giustizia e la dignità umana origina in tempi lontani, ma è giunta a una dimensione planetaria solo da poco più di un secolo, con le rivendicazioni del movimento socialista per una giusta compartecipazione dei lavoratori proletari al benessere economico prodotto dall'industrializzazione, dal progresso scientifico e tecnologico che andava a vantaggio di pochi.

Da quegli inizi due guerre mondiali sono venute a mostrare le conseguenze di socializzazioni concepite come vittoria su dei nemici, sulla base della superiorità della razza o della supremazia di una classe sociale su un'altra. Il mito della razza è crollato per primo, dopo aver lasciato dietro di sé 6 milioni di ebrei morti; quello della lotta di classe ha invece resistito più a lungo, causando un'ecatombe ancora troppo sottaciuta: 60 milioni di morti nella Russia Sovietica. E' assai labile il confine tra essere oppressi e divenire oppressori.
Le repubbliche democratiche europee sorte dopo l'ultima catastrofe bellica hanno cercato di ripartire su nuove basi, affinché gli orrori vissuti non si ripetessero più. Sono stati recepiti nelle Costituzioni Democratiche i principi volti a garantire la tutela per ogni cittadino, la libertà di pensiero e espressione unite al diritto al lavoro e all'assistenza sociale in caso di bisogno, l'uguaglianza di fronte alla legge, e così via. La rappresentanza democratica nei parlamenti delle differenti concezioni dello stato e degli interessi delle diverse classi e gruppi sociali sembrava garantire un equilibrio di forze che potesse mantenere la salute dell'organismo sociale. Ma così non è accaduto. I ricchi sono divenuti nuovamente pochi e gli impoveriti continuano ad aumentare.

Com'è possibile che sia accaduto?
Non è possibile trovare la risposta se si rimane prigionieri dei vecchi schemi, se si ritiene che coloro che oggi si sono arricchiti siano gli sfruttatori, che essi abbiano usato mezzi illeciti a danno di coloro che oggi soffrono e perdono il lavoro. Si possono trovare le vere risposte circa le cause dell'attuale crisi solo guardando i fatti economici senza animosità e senza odio verso coloro che consideriamo i nemici, come i banchieri o gli affaristi che operano in borsa cercando di realizzare lauti profitti. Naturalmente essi esistono e agiscono. Ma possono dire coloro che si ritengono onesti e giusti, che magari ritengono di essere oppressi, di essere totalmente estranei allo sfruttamento dell'uomo, di non essere loro malgrado corresponsabili della miseria in cui si trovano?

C'è stato un periodo in cui il progresso e il benessere sociale sembravano assicurati. Crescita economica, lavoro per tutti, servizi sociali e scuola pubblica garantiti. Sembrava che pian piano si riuscissero ad eliminare gli ultimi residui della miseria e dell'ingiustizia sociale. Ma sempre in agguato stavano il debito pubblico e l'inflazione, tenuti a freno con contromisure capaci solo di spostare il problema a domani.
Ed ora quel domani è giunto, i nodi sono giunti al pettine. Continuare con le vecchie ricette serve solo ad accelerare la corsa verso il precipizio.
Questo sistema sta crollando perché l'abbiamo costruito su equilibri di potere e sulla lotta tra classi sociali e partiti. Non l'abbiamo edificato sull'Uomo. E, come dice il detto evangelico:
Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi.

Le giuste rivendicazioni dei lavoratori e della parte più povera dell'umanità volte ad ottenere condizioni di vita e lavoro degne dell'Uomo, sono state realizzate attraverso la lotta contro i ricchi, i capitalisti. La volontà di giustizia era ancora inquinata dall'odio. E' comprensibile umanamente che sia avvenuto ciò, ma non poteva produrre nulla di buono. L'atavica e sana indignazione verso l'ingiustizia è stata presa e usata da forze oscure, trasformata in odio da capipopolo e apparati di partito, intenzionati solamente a rivolgerla contro l'Uomo per dominarlo in un nuovo modo.
Dopo i disastro della seconda guerra mondiale, il sistema democratico ha tentato un passo avanti. La nostra Costituzione ha voluto garantire ad ogni uomo la dignità e il benessere sociale, ma nonostante le buone intenzioni dei padri costituenti, uomini di grande statura morale che oggi rimpiangiamo, gli strumenti di cui disponevano, le norme del diritto, i principi giuridici che si insegnavano nelle Università, erano e sono ancora oggi nella sostanza quelli dell'antica Roma.

L'antico Impero Romano si è retto così a lungo solo perché esistevano gli schiavi, una moltitudine di uomini che garantiva ai liberi agiate condizioni di vita, uomini venduti sul mercato come si contrattavano le merci. L'impero romano è poi crollato, perché ha inglobato in se stesso il germe rivoluzionario del Cristianesimo, germe di Umanità che è in ogni Uomo, superamento di ogni schiavitù. L'otre vecchio si è rotto e anche il vino nuovo è andato così temporaneamente perduto; lo spirito originario del Cristianesimo si è mescolato col potere terreno.

E così la fine della schiavitù era rimandata. Nella storia la schiavitù ha assunto sempre nuove forme. La sua origine è nel peccato, nell'esperienza della separazione. Finché l'uomo cerca la causa della propria schiavitù in ciò che è separato da sé, in qualcuno che non sia se stesso, non può fare altro che rivoltarsi contro un altro uomo, smarrendo l'Umano che è in sé come nel proprio nemico.
Il nemico del lavoratore è il capitalista, colui che sfrutta il suo lavoro. Lotte interminabili erano riuscite ad imporre all'imprenditore di pagare giustamente il lavoro dell'operaio. Lo Stato ha poi stabilito che anche per il mantenimento degli inabili al lavoro e dei disoccupati dovessero provvedere le imprese produttrici attraverso risorse derivanti dall'imposizione fiscale sul prodotto del lavoro comune di imprenditori e operai. Giustizia era fatta. Ma l'operaio non si è accorto che, invece di liberarsi dalla schiavitù, egli ha creduto di poterne fare la sua forza. Ha messo sul campo di battaglia contro l'imprenditore la propria forza lavoro, alzando il suo prezzo attraverso l'arma dello sciopero. Non si accorgeva che così rendeva il suo stesso lavoro una merce, che portava sul mercato del lavoro se stesso, vendendo se stesso come un tempo si vendevano sul mercato gli schiavi. Il
mercato del lavoro è una definizione che nasconde un grande inganno. Non esiste il lavoro in astratto. Esistono solamente uomini che lavorano. Il mercato del lavoro è mercato di uomini, mercato di schiavi. Non può più essere tollerato oggi questo mercato. L'Uomo esige oggi la sua piena liberazione.

La vera causa della crisi
La causa della crisi economica è derivata proprio dall'aver voluto pagare il lavoro come una merce. Il lavoro è diventato così un costo di produzione. E anche la tutela sociale della comunità, realizzata prelevando le risorse dalle tasse sui redditi e sulle imprese, è diventata un costo di produzione. Questi costi sociali si sono scaricati interamente sui prezzi delle merci e dei servizi prodotti. Questa è l'origine dell'INFLAZIONE. I prezzi aumentano e il denaro circolante perde il suo valore. Allora se ne deve emettere di nuovo per reintegrare il valore perduto e questo genera debito. Il signoraggio monetario e il debito pubblico sono solo la conseguenza dell'inflazione causata dalla tassazione dell'economia e non la causa della crisi. Per tener dietro all'inflazione si sono sempre dovuti aumentare i salari e le tasse, e questo non ha fatto altro che generare nuova inflazione. Oggi in Italia la pressione fiscale sulle imprese tocca il 70% ! Fermiamo questa spirale autodistruttiva finché siamo ancora in tempo!
Rendiamoci finalmente conto che i colpevoli della schiavitù e della miseria non sono i furbi, i banchieri o i politici, ma sono i nostri stessi pensieri, i principi su cui abbiamo creduto di costruire un equo ordine sociale.

La sola vera ingiustizia
Il nemico che oggi ci troviamo davanti non è più un uomo o una classe sociale, come nel passato. E' uno strano essere che si chiama FINANZA. Finalmente possiamo unirci tutti insieme per vincerlo. Possiamo superare l'odio verso l'altro l'uomo e unire le nostre forze per la buona battaglia, la battaglia che non prevede sconfitti e morti sul campo, ma solo vincitori.
Il denaro è uno strano essere. Lo usiamo per scambiarci le merci, ma lui è disonesto perché, mentre le merci si consumano, sono fatte per essere consumate, lui invece continua a crescere. Lo abbiamo messo in banca e lui cresceva con gli interessi. Il suo potere ci prometteva una vita comoda, la soddisfazione di ogni nostro desiderio. E' una seduzione potente per il nostro anelito al risposo eterno, al paradiso in terra! Tutti siamo caduti nella sua trappola. Dobbiamo allora odiare il denaro? Dovremmo in tal caso odiare noi stessi, perché il denaro è nato dal nostro pensiero.

Mutare mente
E' dunque presto trovata la via per risolvere la crisi. E' sufficiente che cambiamo il nostro modo di pensare per cambiare la situazione sociale. E' necessario correggere i nostri pensieri, per correggere infine il denaro che da essi è nato. Occorre solamente fa morire una parte dei nostri pensieri. E occorre pure far morire una parte dei valori monetari. Così realizzeremo un'economia di giustizia: il denaro si consumerà come le merci e non sarà più un concorrente sleale nella vita economica.
Perché tassare le imprese, le produzioni, i redditi, le proprietà? Ci pensa già la natura a tassare tutti i beni economici; essi sono tutti deperibili, si consumano e marciscono nel tempo. Il solo valore che deve essere tassato è il denaro, che non deperisce per natura, essendo solo un valore astratto, non naturale.

Abolizione di tutte le tasse sull'economia
Eliminando ogni forma di prelievo fiscale e contributivo dall'economia, i costi di produzione si riducono a meno della metà rispetto agli attuali. Di conseguenza i prezzi crollano e il denaro raddoppia il suo potere d'acquisto. Con la ricchezza così ottenuta è possibile trovare le risorse per pagare interamente il debito pubblico in breve tempo.

Tassa unica sulla moneta
E' necessario applicare un'unica tassa sulla moneta, in sostituzione di tutte le attuali. Convertendo in moneta elettronica tutti i valori monetari esistenti in Italia, si può applicare ad essi automaticamente attraverso procedure informatiche controllate dallo Stato un'imposta giornaliera in forma di interesse passivo nella misura dello 0,022%, pari ad un tassazione annua dell' 8%. Questa forma di tassazione non necessita di alcun controllo, di alcun documento fiscale per le operazioni economiche e le transazioni finanziarie, né di alcuna dichiarazione dei redditi. Non si applica ai redditi, alle persone, alle proprietà, ma è una semplice forma di deperimento monetario, equivalente al deperimento delle merci.

Svincolare il reddito dal lavoro – Reddito di Cittadinanza
Il problema dell'Ilva, come di tutte le imprese in crisi, si risolverebbe assai facilmente. In primo luogo la detassazione dell'economia renderebbe assai concorrenziali i prezzi delle merci prodotte nel nostro paese; e ciò farebbe gli interessi sia delle imprese che dei consumatori.
In secondo luogo, per fare anche gli interessi degli operai, tutelare la salute loro e della popolazione che muore di tumori e altre malattie “da progresso”, è necessario che si chiudano immediatamente tutte le aziende produttrici di morte.

La sussistenza dei lavoratori e di ogni cittadino deve essere garantita indipendentemente dal lavoro, attraverso un reddito incondizionato dalla nascita alla morte.
Le risorse per questo reddito devono provenire dalla tassazione della moneta,
tassazione che non può essere evasa e che non richiede alcun controllo.
Sul caso Ilva, stiamo assistendo ad un conflitto assurdo tra la magistratura che giustamente ha imposto il sequestro degli impianti e la loro messa in sicurezza e il Governo che ha dato l'autorizzazione alla riapertura per soddisfare l'esigenza dell'occupazione e del salario dei lavoratori.

Come si può accettare di andare a morire e di causare la morte di interi territori per un pezzo di pane? Stiamo producendo una quantità di merci doppia rispetto alle esigenze del consumo. Siamo sommersi di rifiuti. Nelle campagne i prodotti agricoli vengono buttati al macero perché i prezzi pagati alla produzione non ripagano nemmeno i costi della raccolta, mentre i prezzi al consumo vanno alle stelle per l'assurda imposizione fiscale su ogni operazione economica. La gente non dispone di un reddito adeguato per comprare ciò che viene prodotto e le aziende chiudono o falliscono una dopo l'altra. Non si può continuare a credere che l'unico modo di garantire il reddito e la sopravvivenza alle persone sia creare nuovi posti di lavoro, perché già si produce in eccesso, ci sono le macchine che aiutano l'uomo e che gli alleviano la fatica. Il progresso umano ha realizzato tecnologie avanzatissime perché l'uomo potesse liberarsi dalla schiavitù della fatica e potesse nutrire anche lo spirito, oltre che il corpo. E invece continuiamo a lavorare sempre più e nemmeno il corpo riusciamo ormai a nutrire. Il progresso tecnico è frutto della cultura e la cultura è patrimonio dell'intera umanità. Tutti hanno il diritto, in quanto uomini, di godere dei frutti della cultura. E tutti hanno il diritto a mangiare il pane che cresce sulla terra, perché anche se le terre sono proprietà privata, il sole, la pioggia e l'aria che fanno crescere il grano sono patrimonio dell'intera umanità.

Che interesse avrebbe il contadino a produrre alimenti se poi non ci fosse nessuno che li può acquistare perché non ha il lavoro e il denaro? Sarebbe solamente una perdita di lavoro e di denaro anche per lui.
E' interesse di tutti che ogni uomo disponga di un reddito di base, col quale può soddisfare i suoi bisogni primari e garantire anche un giusto guadagno ai produttori e alle imprese economiche.
Erogare questo reddito non è questione di buon cuore, ma è un'esigenza vitale per l'intero organismo sociale.

Ogni Uomo è sovrano
La politica non ha il compito di organizzare l'economia e la cultura. Le attuali condizioni sociali provengono da questo errato pensiero, quello dello Stato unitario che organizza interamente la vita delle persone.
Solo all'individuo compete decidere della propria vita, stabilire quali siano i suoi bisogni e su quali valori fondare la propria esistenza. Lo Stato deve solo garantire le pari opportunità, le pari condizioni di partenza. E l'unico modo di provvedervi è di garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni primari, del diritto alla vita e ad un'esistenza degna dell'uomo.
La via percorsa finora ha ampiamente dimostrato di essere sbagliata nelle premesse, perché ha causato la crisi economica e la miseria.
Lo stato deve creare il terreno dell'uguaglianza, agendo non sulla volontà degli individui con leggi imposte dall'alto, ma solamente sullo strumento del denaro che è in se stesso ingiusto e fuori controllo. Rendendolo deperibile si riporterà sotto il controllo dell'uomo, si ricollegherà all'economia reale delle merci, al servizio del benessere di tutti.

Non sarà più possibile accumulare denaro senza lavorare, perché esso con la tassazione diminuirà nel tempo e sarà redistribuito a tutti i componenti dell'organismo sociale per tutelarli nei loro bisogni primari. Non si lavorerà più per il salario, ma per produrre ciò che occorre agli uomini.
Saranno i bisogni reali a determinare le produzioni e non la necessità di creare posti di lavoro per garantire il reddito.
La decrescita e il risanamento ambientale avverranno spontaneamente e in breve tempo quando gli uomini saranno liberi di decidere della propria vita. Nessuno sarà più costretto ad accettare un lavoro indegno dell'Uomo. Le produzioni pericolose per l'uomo e l'ambiente non troveranno più operai disponibili. Chi vorrà lavoratori per la propria impresa dovrà rendere il lavoro sicuro e gratificante per il lavoratore. I rapporti di lavoro si modificheranno, perché tutti potranno lavorare per scelta, nel campo in cui sono dotati di talento e in un confronto costruttivo coi collaboratori. Il rapporto di lavoro dipendente gradualmente sparirà e si avranno liberi accordi di collaborazione e divisione del lavoro. Attraverso la libera contrattazione ogni lavoratore potrà chiedere un compenso corrispondente al valore economico delle sue prestazioni. Si realizzerà così la meritocrazia. Ci si potrà arricchire solo essendo altruisti, producendo beni per soddisfare i bisogni umani. E comunque questo aumento di ricchezza personale andrà sempre redistribuito a vantaggio di tutti attraverso la tassa sulla moneta e il reddito di cittadinanza.

La proliferazione tumorale della finanza sarà finalmente vinta. E il denaro, da strumento di schiavitù diverrà ministro di fraternità.

Il potere dell'Uomo
L'Uomo è un essere dotato di enormi possibilità evolutive. E' sì un essere creato dalla Natura, ma può completarsi solo da se stesso, attraverso la coscienza dello Spirito che è in lui.
Amore e Conoscenza sono le forze trainanti di questo divenire, forze che lo fanno emergere dall'oscura incoscienza dell'essere creatura alla chiara coscienza di poter essere creatore. Creatore di qualcosa di nuovo che è trasformazione continua del male in bene, riconoscimento che il proprio essere non è separato dal mondo e dagli altri esseri umani, ma solo nella comunione trova se stesso.
Comunione che può essere solo libera offerta, mai socializzazione obbligata dal bisogno di natura o da “principi etici”. Offerta di ciò che è massimamente sacro, della propria unicità, del contributo individuale alla comunità che è prezioso più dell'oro solo in quanto può essere unico. E può essere unico solo quando è libero.
Oggi abbiamo una grande possibilità, quella di liberare questo enorme potere dell'Uomo dalle catene che noi stessi inconsapevolmente ci siamo costruiti. Ci siamo incatenati da soli affinché riconoscessimo che siamo noi stessi i nostri più grandi nemici. Solo così saremmo riusciti, amando noi stessi, ad amare anche i nostri nemici, a riconoscere di essere tutti parte di un'unica Umanità.

Stefano Freddo
Verona, 4 dicembre 2012


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