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- Pagina economia

- Abitanti --> 1.5 miliardi di persone
- Stipendio medio --> 40 centesimi di euro all’ora
- PIL (prodotto interno lordo) --> 6,6 trilioni di dollari = 6.600 miliardi di dollari
- Riserve di valuta estera --> 500 miliardi di dollari
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Titoli di Stato USA (debito) detenuti --> 480 miliardi di dollari
- Produce il 40% di tutti i mobili americani
- Sforna 5 miliardi di scarpe e 8 miliardi di calzini ogni anno
- Importa il 40% di tutto il cemento del mondo
- Importa un quarto del mondo di alluminio e acciaio
- Ecc. ecc.

Parliamo di soldi
Tratto dal libro “CINA SPA”
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Gli investitori che cercano di evitare un coinvolgimento economico in Cina troveranno la cosa difficile quanto evitare qualsiasi contatto con l'economia americana, giapponese o dell'OPEC.
Non si può fare, tutto qui. Il motivo, naturalmente, è che la valuta della Cina è legata al dollaro americano.
Questo cosa significa esattamente? Dal 1997 la Cina ha mantenuto costante il valore della propria valuta, che si è attestato a 8,3 yuan al dollaro, un livello a cui si trova ancora a maggio 2005. Si tratta di un modo antiquato ma efficace di gestire una valuta. Prima che Richard Nixon liberalizzasse il valore del dollaro all'inizio degli anni '70 tutte le maggiori valute del mondo avevano tassi fissi di cambio reciproci. Al centro di questo sistema c'erano l'oro e il dollaro americano. Le nazioni potevano scambiare con gli Stati Uniti i dollari guadagnati grazie alle transazioni commerciali ottenendo una corrispondente quantità d'oro, che veniva venduto a un prezzo fisso. Allora gli americani non potevano possedere lingotti d'oro in quantità e le grandi riserve auree americane erano detenute soltanto dal governo, che comprava e vendeva oro a un tasso ufficiale stabilito dal vecchio sistema valutario internazionale.

Oggi, quando il dollaro perde o acquista valore in rapporto alle altre valute mondiali, lo yuan cinese oscilla insieme a lui. La Cina è l'unica grande nazione dedita al commercio ad aver legato la propria valuta al dollaro, e lo ha fatto stabilendo che ogni volta che lo yuan viene scambiato con valuta estera la transazione deve avvenire al tasso ufficiale e attraverso una banca controllata dallo stato.
Anche altri paesi, in particolare altri stati dell'Asia come la Corea del Sud e il Giappone, che si affidano molto anch'essi alle esportazioni per sostenere la loro crescita economica, sono molto attivi nell'ambito dei mercati valutari internazionali. Intervengono quando le loro valute acquistano troppo valore nei confronti del dollaro, cosa che va a scapito della loro possibilità di esportare. Anche queste nazioni influenzano i mercati valutari utilizzando il potere delle loro enormi riserve di valuta estera, intervenendo per comprare e vendere valuta con la speranza di veder aumentare o diminuire i tassi di cambio, ma non di controllarli.
Perché la Cina è l'unico grande attore che conserva un tasso di cambio fisso? Hufbauer spiega che i cinesi considerano di grande valore la valuta estera, specialmente il dollaro. In Cina quest'ultimo ha il ruolo che un tempo aveva l'oro negli Usa e negli altri paesi. La banca centrale cinese possiede praticamente tutti i dollari della nazione, che si accumulano sui conti del governo via via che le imprese cinesi che traggono profitti dagli scambi con l'estero cambiano i dollari con gli yuan, e che gli investitori stranieri portano denaro estero in Cina per comprare imprese o beni di proprietà.

Nella prima metà del 2004, complessivamente, le riserve di valuta estera della Cina superavano i 460 miliardi di dollari, una cifra impressionante. Ciò significa che il valore della riserva complessiva di dollari di Pechino è quasi pari a un terzo del suo PIL (detto in altri termini, è quasi pari al valore complessivo degli scambi commerciali del Brasile, che è la quindicesima economia mondiale, nel 2004. Teoricamente la Cina potrebbe, di punto in bianco, decidere di usare i suoi dollari per comprare tutte le merci del mercato brasiliano).
Per favorire il controllo della loro valuta e per contrastare l'eventuale nascita di un mercato nero molto vasto, spiega Hufbauer, i cinesi offrono alle aziende e ai cittadini incentivi per stimolarli a cambiare i dollari presso le banche governative: il governo paga molto bene i dollari, dando in cambio una quantità di valuta cinese più elevata di quella che darebbe se lo yuan non fosse soggetto a vincoli e il mercato fosse più libero.
Per molto tempo poche società e nazioni hanno espresso biasimo per le politiche cinesi. In un primo tempo l'economia della Cina non era abbastanza prospera o estesa da suscitare l'interesse altrui. E quando alla fine degli anni ' 90 l 'Asia è precipitata in una profonda crisi finanziaria e le valute di Corea, Indonesia e Thailandia sono crollate, la Cina , che aveva la possibilità di svalutare lo yuan, ha mantenuto il suo legame col dollaro ed è stata lodata per aver portato stabilità in un contesto che appariva precario. Mentre alle economie in crisi sono serviti molti anni per cominciare a riprendersi, la crescita della Cina si è rimessa in moto subito, visto che il legame tra yuan e dollaro trasformava le esportazioni cinesi in occasioni irripetibili per il mondo esterno e attirava quegli investimenti stranieri che ora stanno gettando le basi per la Cina del futuro.

Ora però, agli occhi del resto del mondo, il tasso di cambio cinese appare assai inferiore a quello che sarebbe se lo yuan potesse essere scambiato liberamente sui mercati valutari del pianeta. Tra i più critici in assoluto contro le politiche valutarie della Cina ci sono i fabbricanti americani come quelli delle acciaierie, delle fonderie, della lavorazione della plastica e i produttori di macchine utensili e attrezzi. Attraverso le loro associazioni commerciali sostengono che la Cina tiene volontariamente basso il valore della propria valuta rispetto al dollaro almeno del 40%, una stima che appare decisamente per eccesso.
Tuttavia i fabbricanti americani che effettivamente spostano la produzione in Cina spesso realizzano risparmi che sembrano dar credito a percentuali di questo tipo. Naturalmente il tasso di cambio non ha conseguenze solo sulle merci cinesi, ma anche sulle tecniche di produzione (se il cambio è così sbilanciato, impiantare un'industria in Cina costa un milione di dollari, mentre altrove costa 1,4 milioni). Il paniere cinese delle occasioni, secondo i produttori americani, è alimentato solo dalla manipolazione dei tassi di cambio da parte del governo cinese ed è quindi artificiale e ingiusto.
Gli avvocati americani, accogliendo le proteste, citano lo statuto del Fondo Monetario Internazionale per sostenere che i controlli e le manipolazioni monetarie da parte della Cina sono illeciti. Le accuse sono quasi sempre un bluff, e pochi pensano veramente che un tribunale internazionale si accollerebbe l'onere di giudicare le politiche monetarie cinesi. L'illegalità o meno delle azioni cinesi dipende solo da come si interpretano le righe piccole delle regole del FMI.

In pratica, osserva Jeffrey A. Frankel, economista che ha fatto parte del Consiglio Economico durante l'Amministrazione Clinton e che ora lavora presso la Kennedy School of Government di Harvard, la legalità o meno delle politiche monetarie della Cina è irrilevante, visto che i governi stranieri, compreso quello degli Stati Uniti, possono fare ben poco per cambiare il modo in cui un altro grande paese decide di gestire la propria valuta. Frankel sottolinea inoltre che "quando i legislatori americani accusano la Cina o un'altra nazione di manipolare in modo illecito gli scambi di valuta, spesso affermano che è stata violata qualche legge statunitense formulata in modo vago e non qualche accordo multilaterale".
Quando la Cina , nell'ottobre del 2004, è stata invitata a un incontro informale coi rappresentanti dei paesi del G7, il prezzo del biglietto per essere ammessa è stato il fatto di ascoltare le preoccupazioni delle autorità finanziarie straniere, non più disposte ad accettare la dipendenza dello yuan dal dollaro. In occasione dell'incontro la Cina , come suo solito, si è dichiarata disponibile a cambiare le regole, ma senza specificare come e quando ciò dovrebbe avvenire.
Al contrario, i cinesi hanno precisato di voler procedere con decisione verso quello che considerano il perseguimento dei loro interessi e di quelli di chiunque altro. "Stiamo cercando di creare le condizioni per un tasso di cambio basato sul mercato", ha detto il vice governatore della banca centrale cinese, Li Ruogu, in occasione di un incontro dei bancari di Washington mentre si svolgeva il meeting dei G7. "Se obbligate la Cina a cambiare, ciò avrà conseguenze negative per gli Stati Uniti. Sarebbe come uccidere la gallina dal e uova d'oro".'
I mercati e i regimi valutari sono altalenanti e le notizie che li riguardano cambiano rapidamente. Eppure alcune caratteristiche della strategia valutaria cinese, nel lungo periodo, resteranno fondamentali per il benessere del resto del mondo, a prescindere dagli stimoli che arriveranno dal governo cine e nel breve periodo. Questi benefici più duraturi sono legati a obiettivi fondamentali che difficilmente la nazione sarà disposta a rinnegare immediatamente: la Cina deve svilupparsi per sollevare il proprio popolo dallo stato di povertà in cui versa e ci riuscirà se conserverà una valuta in grado di offrire tutta l’economia nazionale a prezzi concorrenziali. Inoltre è molto probabile che la Cina non agisca né in modo troppo radicale né troppo rapido. I leader cinesi sanno, infatti, che non solo entrambi questi comportamenti metterebbero a rischio la sua crescita economica, ma scuoterebbero anche le altre economie del pianeta.

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