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I comunisti e i cardinali 
Di Peter Godman
Tratto dal libro “Hitler e il Vaticano: dagli archivi segreti vaticani la vera storia dei rapporti fra il nazismo e la chiesa
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Il 18 novembre 1936, cinque giorni dopo la pubblicazione sull'«Osservatore Romano» dell'annuncio che disconosceva I fondamenti del nazionalsocialismo, i cardinali del Sant'Uffizio si riunirono per considerare cosa andasse fatto circa la condanna che Hudal aveva tentato di prevenire. Sebbene Pacelli fosse presente, non è rimasta traccia di alcun suo commento. Il cardinale-vicario di Roma, Francesco Marchetti Selvaggiani, parlò con insistenza a favore del silenzio. Hudal più tardi sostenne che fu perché Marchetti Selvaggiani temeva che un attacco al nazionalsocialismo si sarebbe ripercosso negativamente sulla Chiesa nell'Italia fascista. Ammesso che questo fosse il pensiero del cardinale, di certo non fu quel che disse alla riunione. Secondo i verbali della Congregazione del Sant'Uffizio, Marchetti Selvaggiani consigliò il silenzio (Silendum) o, in alternativa, una lettera papale rivolta ai lavoratori, per metterli in guardia e illuminarli. Gli altri cardinali votarono per una breve istruzione che ammonisse i fedeli su tali erronee teorie, in particolare sugli errori del comunismo. Il comunismo era l'unica delle «erronee teorie» all'ordine del giorno. Le altre, razzismo e totalitarismo, furono omesse. Era in corso un cambiamento di strategia.

La decisione era rinviata sine die, annunciò il Papa il giorno dopo. Pio XI voleva un documento sugli errori e i metodi del comunismo, opposti a «una chiara sintesi delle dottrine della Chiesa». La sua intenzione era di invitare i vescovi, il clero e l'Azione Cattolica a trattarne pubblicamente nell'ambito dell'insegnamento (superiore e no) e della catechesi e a propagare le opere sociali che fossero in relazione con esse. 
Da parte sua, dichiarò che «avrebbe fatto qualcosa». Nel contempo, il Sant'Uffizio avrebbe preparato un decreto e condannato «le proposizioni rilevanti».

Due mesi prima, il 19 settembre 1936, il gesuita Enrico Rosa pubblicava su « La Civiltà Cattolica » un articolo intitolato L’«Internazionale» della barbarie nella sua lotta contro la civiltà. Colpito dalla brutalità dei repubblicani, aiutati dai russi, nella guerra civile spagnola, Rosa deplorava l'assassinio di centinaia di ecclesiastici, la distruzione di edifici religiosi, lo stupro di suore, la mutilazione di preti. Questa denuncia «superò» qualsiasi cosa la rivista avesse pubblicato fino ad allora sui nazisti: «Le orrende tragedie, i delitti selvaggi, l’infernale tregenda di sangue, incendi, stragi, follia collettiva, dimostrano [che sì è] ormai scatenata sui popoli una satanica tempesta, foriera di morte, nonché di profonda decadenza delle nazioni». Era necessario intervenire.

L’Italia fascista intervenne a fianco di Franco e dei nazionalisti. La guerra civile spagnola fece avvicinare Mussolini e Hitler. Nell'ottobre del 1936 il Fuhrer s'incontrò con il genero e ministro degli Esteri del Duce, Galeazzo Ciano: venne annunciato «l'asse Roma-Berlino». Meno impegnativa rispetto a un'alleanza formale, l'«asse» equivaleva a poco più che un accordo a coordinare le rispettive politiche. Eppure a molti cattolici italiani sembrò una garanzia di sicurezza contro la minaccia del «bolscevismo ateo». Non immaginavano che, alla fine dell'anno seguente, il governo italiano avrebbe firmato con la Germania un patto anti-Comintern e avrebbe dato il via in patria a un programma di semi-nazificazione.

Né potevano sapere che, il 19 novembre 1936, Giuseppe Bottai, il ministro dell'Istruzione italiano, aveva annotato nel suo diario la seguente dichiarazione di Mussolini sul «problema razziale»: «Bisogna affrontarlo, introdurlo nella letteratura e nella dottrina fasciste» Quello stesso giorno, in Vaticano, Pio XI aveva scelto di rivolgere la sua attenzione al comunismo e di distoglierla dal razzismo nazista.
Il comunismo, l'ultimo degli «errori dell'epoca» nell'esame del Sant'Uffizio, passò in testa alla lista nel novembre del 1936. Le ragioni di questo cambio di priorità furono politiche. Niente d'importante era stato aggiunto ai motivi dottrinali e morali di condanna già raccolti. Al contrario, rimasero più tenui ed esili delle prove raccolte contro il nazionalsocialismo dai gesuiti a partire dal 1934. Ma ora i nazisti erano alleati dei fascisti contro il brutale nemico della Chiesa. Nel suo cuore romano, nel Supremo Tribunale, Pacelli non assunse il comando della linea anticomunista. Condivideva la posizione pressoché unanime degli altri cardinali.

La politica veniva per prima e la dottrina per seconda, nel definire l'ordine di priorità della Chiesa. L'equazione, emersa qualche mese prima, tra comunismo, nazionalsocialismo e totalitarismo (nella sua variante fascista), tutti allo stesso livello di eresia, fu accantonata. La rinuncia a quella strategia permise a Hudal (che l'aveva avversata) di salvare, almeno in parte, la faccia. Lui, il fiero anticomunista, aveva scritto un libro disconosciuto ma non condannato. Ora la condanna dei nazisti e dei fascisti non era più opportuna. Tempo e circostanze parevano dalla sua parte e, se aveva fallito un'offensiva, ora vi sarebbero state nuove opportunità.
Le opportunità presenti a Roma, nel tardo 1936, parevano più limitate che all'inizio di quell'anno. Dall'estate Pacelli riceveva dalla Germania appelli per un'enciclica. Uno di essi, datato 15 luglio, deplorava «un'inarrestabile discesa negli abissi» e implorava «una parola...di verità redentrice». «Da dove dovrebbe giungere quella parola, se non dalla Santa Chiesa? [...] Mai quanto oggi potrebbe essere efficace». Rappresentativa di analoghe petizioni inviate alla Segreteria di Stato, questa differiva dalle altre per le parole con cui iniziava. «Con la più viva ansia» era la frase d'apertura - un precedente o un modello per il titolo della famosa enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge del marzo 1937.

Se la posizione della Chiesa in Germania allarmava, la situazione in Spagna alimentava i fuochi dell'antibolscevismo e rinvigoriva il Partito nazista, riportò Orsenigo il 17 ottobre 1936. Deplorando la «povertà culturale» di un recente discorso del ministro Kerrl, il nunzio descrisse le tattiche nazionalsocialiste come finalizzate a fare appello alla fede in Hitler quale salvatore. «Capace di smuovere le montagne», quella fede aveva portato ordine nel caos seguito alla prima guerra mondiale. La popolazione vedeva nel Fuhrer un baluardo contro l'insurrezione comunista. Nei mesi seguenti Orsenigo osservò e deplorò la battaglia dei nazisti contro il cristianesimo e i loro tentativi di egemonizzare l'istruzione dei giovani, tanto che il nunzio si fece pessimista riguardo all'eventualità di un negoziato condotto sulla base del Concordato, ipotesi che paragonò, con insolita eleganza, a un invito a studiare medicina di fronte all'impegno di resuscitare un morto.
I vescovi bavaresi, informati del colloquio di Faulhaber con Hitler, risolsero, il 25 e il 26 novembre 1936, di condannare il bolscevismo e riaffermare la loro «lealtà e atteggiamento positivo verso l'attuale forma di Stato e verso il Fuhrer». In quella risoluzione, che avrebbe dovuto esser osservata dal resto dell'episcopato, c'era tutta l'ambiguità dei vertici ecclesiastici tedeschi. Sinceramente anticomunisti e ansiosi di essere percepiti come cittadini leali, risposero alle aperture del Fuhrer circa un accordo facendo proprio il suo gioco.

Non era quella la loro intenzione. Desideravano prendere una posizione ferma contro il «bolscevismo» e una più discreta, seppure altrettanto netta, contro la persecuzione dei cattolici. Che l'accento andasse posto sulla prima posizione diventò chiaro nella corrispondenza tra Bertram. e Faulhaber. A Faulhaber il cardinale di Breslau espresse la sua convinzione che la «stampa ostile» avesse sminuito l'anticomunismo della Chiesa.
Nessuno in Germania avrebbe potuto dubitare del ferovore dell'episcopato cattolico al riguardo, se fosse stato possibile leggere la lettera pastorale approntata dai vescovi la vigilia del Natale 1936. Violentemente ostile, essa contrapponeva il cristianesimo al comunismo come l'acqua al fuoco, enfatizzando la lunga storia delle condanne cattoliche delle «armate di Mosca» e della «bandiera rossa». Con maggior concisione e circospezione, la lettera pastorale menzionava anche i diritti dei cattolici garantiti dal Concordato. I toni misurati e diplomatici con cui era descritta la situazione in Germania spiccavano per il netto contrasto con l'apprensione espressa nei confronti del «bolscevismo». Ciononostante, era troppo: le autorità naziste non autorizzarono la pubblicazione della lettera pastorale. E Bertram, il 29 dicembre 1936, stette a preoccuparsi se i cardinali tedeschi dovessero inviare a Hitler un telegramma di felicitazioni per il nuovo anno.

La miseria delle tattiche di accomodamento attuate dai vescovi tedeschi alla fine del 1936 era ormai evidente. Non era dunque il momento che Roma prendesse l'iniziativa? Pacelli non era esattamente nella posizione di richiedere una condotta risoluta perché, a dispetto del suo scetticismo sulle rassicurazioni del governo tedesco, aveva incoraggiato l'episcopato a «sfruttare qualsiasi reale opportunità di spianare la strada a un accordo responsabile». Nel frattempo tre cardinali tedeschi (Bertram, Faulhaber e Schulte) e due vescovi (Galen di Munster e Preysing di Berlino) vennero convocati a Roma, dove presero alloggio (tutti tranne Schulte) a Santa Maria dell'Anima, ospiti di Alois Hudal. L’uomo che aveva «pugnalato alle spalle» la gerarchia, come lo aveva definito il cardinale Faulhaber, faceva gli onori di casa.
Una mosca sul muro dell'Anima a metà gennaio del 1937 avrebbe potuto percepire un'atmosfera carica di tensione. Fresco di un'udienza con Hitler in cui era stato intimidito con argomenti tratti da I fondamenti del nazionalsocialismo, Faulhaber godette del dubbio privilegio di esser ospite dell'autore di quel volume. E gli altri membri della gerarchia, accusati pubblicamente da Hudal di intransigenza, si accingevano ad affrontare il Papa e il segretario di Stato nel momento in cui ogni loro sforzo verso un accomodamento si era dimostrato vano. Si poteva tagliare la tensione con un coltello, e c'era un'ampia scelta di schiene in cui conficcarlo.

In queste difficili circostanze ebbe luogo una serie di incontri. Sono ben documentati, e alcuni dei documenti sono stati resi noti di recente. Basate su appunti vergati da Pacelli, esistono, nell'Archivio Segreto Vaticano, delle registrazioni dattiloscritte delle udienze tra la gerarchia romana e quella tedesca, con correzioni o integrazioni nella tipica, chiara grafia del segretario di Stato. E poiché Pacelli si prese la briga di annotare ciò che fu detto. è possibile ricostruire nel dettaglio uno degli incontri più significativi tra i prelati cattolici della Germania nazista e il capo della loro Chiesa.
L’udienza si tenne il 17 gennaio 1937. Due giorni prima Bertram e Faulhaber vennero ricevuti da Pacelli…

Tratto dal libro “Hitler e il Vaticano: dagli archivi segreti vaticani la vera storia dei rapporti fra il nazismo e la chiesa

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