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Si aggrava la crisi del programma nucleare iraniano
Tratto da http://www.movisol.org/znews012.htm - 18/01/2006

EIRNA, 16 gennaio – La decisione presa il 10 gennaio dal governo iraniano di riavviare la ricerca sul combustibile nucleare nell'impianto di Natanz ha immediatamente provocato reazioni bellicose da parte dei fautori della guerra a Washington e Londra, istigati dai loro controllori nell'oligarchia finanziaria sinarchista. A livello internazionale diventa chiaro che l'aspra battaglia in difesa dell'ordine costituzionale negli Stati Uniti e la spinta verso un attacco missilistico e aereo contro gli impianti nucleari in Iran sono due facce della stessa medaglia.
È indicativo che il vicepresidente americano Cheney sia corso in Egitto, Arabia Saudita ed Oman il 16 gennaio, per proseguire il viaggio in Asia (Iraq, Afghanistan, Pakistan) che aveva interrotto alla fine di dicembre a causa della rivolta al Congresso contro le proposte anticostituzionali di Bush e la nomina del giudice Alito.
Il Premier britannico Blair ha definito la situazione “molto grave” aggiungendo: “Non escludiamo alcuna misura”. Parlando alla Fox TV il vicepresidente americano Cheney ha dichiarato: “Ritengo che il prossimo passo sarà quello di portare la questione di fronte al consiglio di sicurezza dell'ONU e il primo punto all'ordine del giorno sarà una risoluzione che imponga sanzioni se l'Iran non cederà”. Parlando ad un incontro dell'Aspen Institute a Berlino, l'ambasciatore all'ONU John Bolton ha denunciato l'Iran come “La peggiore minaccia al mondo civilizzato”, chiedendo che la questione venga discussa al consiglio di sicurezza. Anche George Bush, durante la conferenza stampa congiunta col Cancelliere tedesco Angela Merkel in visita a Washington, ha evocato lo spettro di un Iran dotato di armi nucleari come “una minaccia per il mondo intero”.

Il vertice dei ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Francia e Germania (UE-3), convocato in tutta fretta per il 12 gennaio, ha riesaminato la mossa iraniana, giungendo alla conclusione che i colloqui in corso con l'Iran da due anni fossero giunti a “un punto morto”. È stato indetto per il 16 gennaio un incontro a Londra tra i tre grandi europei, gli Stati Uniti, la Cina e la Russia per convocare un vertice speciale dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica a Vienna, e quindi portare la questione di fronte al consiglio di sicurezza dell'ONU.
Esperti militari ed altri ravvisano il pericolo concreto di un'escalation militare simile a quella in Iraq:
Il Col. Larry Wilkerson, ex assistente di Colin Powell quando era segretario di Stato USA, parlando di una “cricca Cheney-Rumsfeld” ha dichiarato che il Pentagono ha già preparato piani contingenti per un'azione militare contro l'Iran. Ha denunciato il governo americano per aver chiuso le porte alla diplomazia, rifiutandosi di parlare “con coloro che veramente contano a Teheran”. In questo caso “non si può far altro che contare sulla forza militare". "Assistiamo ad una situazione strategica che potrebbe rivelarsi più pericolosa di quella che affrontammo quando intervenimmo in Iraq”, ha affermato Wilkerson.
Il 14 gennaio l'Ammiraglio Capo della Marina britannica sir Alan West ha dichiarato: “L'impatto di un attacco contro l'Iran sarebbe assolutamente orrendo. È difficile usare il termine inconcepibile. Sarebbe molto sciocco farsi coinvolgere in un'azione militare. Non dovremmo farlo, dovremmo risolvere la questione in qualche altro modo”. Un attacco aereo contro bersagli iraniani, per non parlare di un'invasione vera e propria, sarebbero molto problematici e avrebbero risultati “disastrosi”. Alla domanda su un paragone con l'attacco israeliano contro il reattore iracheno di Osirak nel 1981 l 'Amm. West ha risposto: “Quello era solo un bersaglio. In Iran dovremmo attaccarli tutti. Ci sarebbero terribili ripercussioni se non lo facessimo”. Sir Alan, che andrà in congedo tra due mesi, è il primo ufficiale attivo a condannare così decisamente un'azione militare.

Il dott. Ali Ansari, esperto iraniano del Royal Institute for International Affairs (RIIA) di Londra, ha dichiarato: “L'opzione militare è stata già presa in considerazione, non se ne parla apertamente perché sarebbe molto impopolare. Sicuramente si stanno considerando attacchi aerei. Non credo che si opti per un'invasione”. Ha proseguito aggiungendo che non ci sarebbe alcun sostegno internazionale per gli attacchi aerei e che, anche se questi ottenessero il loro scopo, “peggioreranno molto la situazione in Medio Oriente”.
Il presidente della Commissione Esteri del Parlamento Europeo, il democristiano tedesco Elmar Brok, ha dichiarato alla radio tedesca Deutschlandfunk il 13 gennaio che, anche se sono falliti i negoziati tra Iran ed Unione Europea, non c'è alternativa alla via del negoziato. “Dobbiamo vedere le pericolose implicazioni di un'opzione militare. Abbiamo già molti problemi in Iraq. In Iran sarebbe ancora più difficile, e non è neanche facile lanciare un attacco preventivo come quello lanciato dagli israeliani contro l'Iraq all'inizio degli anni Ottanta, quando distrussero i piani nucleari di Saddam con un singolo attacco contro un impianto nucleare. L'Iran ne ha tanti di impianti, almeno 40, molti dei quali, a quanto si dice, sotto terra; quindi è molto più complicato. Nello stesso contesto vanno viste le ramificazioni psicologiche, considerata la situazione in Iraq ed in Iran, e la situazione in Medio Oriente con la condizione di Sharon e le elezioni palestinesi”. Brok ha aggiunto: “Le sanzioni contro l'Iran potrebbero rivelarsi sanzioni contro noi stessi”.

LaRouche sulla crisi iraniana
Parlando a Washington l'11 gennaio, l'economista e leader democratico Lyndon LaRouche ha affrontato il tema della crisi iraniana. Il problema fondamentale, ha dichiarato LaRouche, è la “follia” dell'amministrazione Bush-Cheney e del governo di Blair in Gran Bretagna, che “minacciano una nuova guerra” e “creano un incentivo a che le nazioni si dotino di armi intimidatorie, come le armi nucleari, che hanno un certo vantaggio ricattatorio”.
Secondo LaRouche l'Iran “ha bisogno di energia nucleare per sviluppare la propria economia. Ha il diritto di usare questa tecnologia. Ci sono tuttavia delle regole secondo cui l'accesso alle armi nucleari è limitato solo a un certo numero di paesi che già appartengono al club (…) mentre ad altri non è concesso farne parte. Possono avere l'energia nucleare, ma non armi nucleari. Il problema sorge soltanto perché siamo abbastanza folli da far emergere il desiderio di armi nucleari. L'uso di armi nucleari da parte di qualsiasi paese, di propria iniziativa, con un atto volontario, sarebbe una pazzia criminale”. Quindi “il mondo deve mettere fine all'uso di armi nucleari. Non hanno alcun scopo militare per il pianeta in questo momento. Il pianeta è cambiato”.
Su questa base “dovrebbero proseguire i negoziati con l'Iran”. LaRouche ha elogiato in questo contesto la recente proposta russa per un impianto comune russo-iraniano di arricchimento dell'uranio, definendola fattibile. “Quanto hanno offerto i russi, e con cui tendenzialmente dovrebbero essere d'accordo anche gli europei, sembra una soluzione perfettamente razionale.” LaRouche si è appellato alla pazienza. “Il punto è che non c'è nessuna fretta! A meno che qualcuno non abbia fretta di entrare in guerra”.
Nel frattempo è urgente un cambiamento nella configurazione politica a Washington. “Non vedo altra soluzione”, ha insistito LaRouche. “Gli Stati Uniti devono liberarsi di George Bush e Dick Cheney, dimostrare che siamo una nazione e che siamo in grado di stabilire delle regole di comportamento veramente eque”. Quanto all'”instabile” governo iraniano, ed alle dichiarazioni contro Israele del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che LaRouche definisce “altrettanto folli”, dovrà essere il popolo iraniano ad occuparsene: “Il popolo iraniano non vuole una guerra nucleare, e potrà occuparsi del suo governo. Fatto questo, potremo mettere fine all'annosa questione di chi abbia il diritto di decidere in che consista la tecnologia delle armi nucleari”.

L'Iran non si piegherà
Le dichiarazioni ufficiali degli iraniani, sia dei negoziatori che delle personalità di governo, non lasciano dubbi: essi non capitoleranno alle sanzioni o alle minacce militari sulla questione del nucleare.
Ali Larijani, capo dell'Agenzia nazionale suprema per la sicurezza, intervistato dalla CNN il 12 gennaio, ha confermato l'intenzione dell'Iran di continuare i negoziati con l'Europa, la Russia ed altri, se i colloqui saranno “genuini”. Larijani ha difeso il diritto dell'Iran alla tecnologia nucleare. Ha specificato che la decisione di riprendere le attività negli impianti di Natanz si limitano alla ricerca e non prevedono la produzione. Ha citato l'Articolo 3 dello statuto dell'IAEA e l'Articolo 4 del Trattato di Non Proliferazione (NPT) in cui si garantisce a ciascun paese il diritto al ciclo nucleare completo e si riconosce il dovere degli altri paesi a fornire aiuto. Larijani ha anche affermato che se un paese volesse davvero produrre armi nucleari non accetterebbe la sorveglianza dell'IAEA, come invece l'Iran ha fatto. Gli è stato chiesto in merito alla proposta russa per un impianto di arricchimento comune, da realizzare sul territorio russo, e Larijani ha risposto che questa proposta “del nostro vicino ed amico” è una base valida per i negoziati che proseguiranno il mese prossimo a Mosca.
Il giorno successivo, il ministro degli Esteri Manucher Mottaki ha detto che il suo governo “sarà obbligato a porre fine a tutte le misure che ha preso volontariamente” se la questione del programma nucleare iraniano “sarà presentata al Consiglio di Sicurezza dell'ONU”. Questo non significherebbe recidere ogni cooperazione, ma piuttosto “procedere secondo le regole”, e cioé rispettare le procedure burocratiche per ogni ispezione dell'IAEA, invece di consentire controlli non annunciati, come era consentito nel regime di cooperazione volontaria.
L'ex presidente Hashemi Rafsanjani, sebbene si trovi ad affrontare divergenze interne con il presidente Mahmoud Ahmadinejad, ha dato il suo pieno sostegno al programma nucleare iraniano, che è considerato una prova decisiva per rompere l'apartheid tecnologico contro il settore in via di sviluppo. Lo stesso Ahmadinejad ha detto in una conferenza stampa del 15 gennaio che l'Iran avrebbe continuato in ogni caso il suo programma nucleare.
Un aspetto che spesso sfugge in questa situazione è il peso della Siria nella crisi di Teheran. I leader iraniani hanno visto che ad ogni concessione fatta da Damasco alle pressioni internazionali (il ritiro di 15 mila soldati dal Libano a tempo di record, il consenso all'interrogatorio di personalità di governo siriane da parte della Commissione dell'ONU sull'assassinio di Hariri, ecc.) hanno condotto soltanto a pressioni crescenti e a richieste di portata sempre più vasta da parte dell'amministrazione Bush-Cheney e dei suoi sostenitori a Londra e Parigi

 
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