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La democrazia della mezzaluna
E’ possibile conciliare Islam e democrazia senza seppellire tutto con bombe e missili? (Parte II)
di Carlo Bertani

Potremmo anche scoprire che alcune forme d’aggregazione sociale, in Occidente, non sono poi così distanti da quelle dei clan, ma procediamo con ordine.
La prima contraddizione che è saltata agli occhi dalle vicende irachene riguarda le trattative per liberare gli ostaggi presi prigionieri dalla guerriglia: se, da un lato, l’amministrazione americana sta cercando di creare istituzioni ricalcate sul modello occidentale, è altrettanto vero che nelle trattative per la liberazione degli ostaggi l’unica autorità presa seriamente in considerazione è stata ed è il Consiglio degli Ulema.
Gli Ulema sono sostanzialmente dei capitribù, l’espressione di maggior potere di ciascun clan: lo stesso fenomeno avvenne in Afghanistan dopo la caduta dei Taliban, quando – per creare una embrionale forma di rappresentatività – fu chiamata a riunirsi la Loya Girga , ovvero il corrispondente afgano del Consiglio degli Ulema iracheno.
La Loya Girga iniziò a dibattere i futuri assetti afgani, ma lo fece con tempi e modi che non furono graditi – ma soprattutto non compresi – dagli USA, tanto che si preferì iniziare un percorso democratico di stampo occidentale.
Subito dopo la caduta dei Taliban, il paese godette di relativa calma: ciò avvenne innegabilmente a causa della sconfitta militare degli studenti col mitra, ma anche perché gli afgani assegnavano alla Loya Girga valore di rappresentatività.
Man mano che il consiglio tribale perdeva importanza e si formavano le prime istituzioni sul modello occidentale, la lotta intestina fra le fazioni afgane riprese, inclusa – ovviamente – la guerriglia contro le truppe occidentali.

Se, da un lato, sono senz’altro valide altre giustificazioni per la ripresa degli scontri in Afghanistan (parecchi stati dell’area ed alcune potenze internazionali “soffiano sul fuoco”), dobbiamo ammettere che è stato sottratto agli afgani uno strumento di gestione del potere nel quale si riconoscevano. Attualmente, il Presidente Karzai regna soltanto su Kabul e dintorni, mentre nel resto del paese spadroneggiano gli ex “signori della guerra” come il generale Dostum (un ex sergente dell’Armata Rossa), ed i Taliban controllano nuovamente le città del sud-est.
Visti i pessimi risultati prodotti dalla semplice “esportazione” della democrazia occidentale – i successi sbandierati da Bush, Blair e Fini sono soltanto propaganda, giacché il vero successo sarebbe l’arresto del quotidiano fiume di sangue che è, invece, aumentato – perché non cercare altre vie? Sarebbe incongruo partire proprio dalle autorità locali riconosciute dalla popolazione per installare governi realmente identificabili dalla popolazione, anche se li riterremmo non completamente democratici secondo i nostri standard?
Potremmo anche chiederci se i nostri meccanismi democratici sono proprio così puri e “passati nella candeggina”: non dimentichiamo che Winston Churchill definì la democrazia parlamentare “il meno imperfetto” dei sistemi di governo.
In Italia, da quasi cinque anni, governa la tessera P2 n° 1816 [6] Silvio Berlusconi che applica molti punti del programma che fu - a tutti gli effetti - un'associazione che non aveva nessun legame con la vita democratica della nazione, eppure accettiamo lo stridore della situazione senza troppe proteste.

Nella P2 erano riuniti individui che non avevano un comune patrimonio ideale (sul modello illuminista), bensì politici, militari, banchieri ed una varia umanità che era cementata solo dalla difesa d’interessi consolidati, con l’obiettivo di stravolgere la Costituzione e le Istituzione laddove i loro interessi entravano in collisione proprio con le garanzie della sbandierata democrazia occidentale.
Nemici della P2 erano le organizzazioni dei lavoratori (da depotenziare e controllare), lo stesso Parlamento (ridotto a mero strumento d’approvazione per leggi scritte altrove), la Presidenza della Repubblica (sottratta al suo compito di controllo costituzionale per trasformarla in potere esecutivo): insomma, la riforma costituzionale che il governo di centro destra cerca d’approvare in barba a tutte le perplessità ed i timori di molti costituzionalisti.
Che cosa fu (o cos’è?) quindi quell’associazione? Un clan che difendeva in modo violentemente autocratico gli interessi d’alcuni settori dell’economia e della politica. Un clan che non nasceva dal legame del sangue, ma da quello del comune interesse, contro tutto e contro tutti coloro che cercavano di contrastarlo.
Lasciamo lo Stivale e spicchiamo un salto di là dell’Atlantico: come funzionano il Congresso ed il Senato degli Stati Uniti?
Grazie ad un meccanismo elettorale maggioritario, ogni Stato invia uno o più rappresentanti a Washington, i quali trovano comune appartenenza secondo se giungono dalle file dei Democratici o dei Repubblicani? Fino ad un certo punto.
Spesso, dagli USA giungono notizie di senatori e congressisti che votano all’opposto del proprio partito, bloccando od approvando leggi proposte dal Presidente, repubblicano o democratico esso sia.

Come si spiegano simili comportamenti, che all’apparenza sembrano strampalati? L’unica spiegazione è il fenomeno del lobbysmo.
Approdato a Washington, l’eletto entra subito a far parte di una commissione (Esteri, Ambiente, Energia, Agricoltura, ecc.) dove incontra ed intrattiene rapporti con gli altri componenti della commissione e, soprattutto, con il potente presidente.
I lobbysti sanno d’aver bisogno di copiosi fondi per le costosissime campagne elettorali, e per dare la scalata al potere (divenire Governatori o Presidente): inizia qui una vantaggiosa simbiosi fra le aziende, le holding finanziarie ed industriali ed i politici, una continua trattativa per giungere – infine – al reciproco beneficio. Peccato, però, che il senatore americano occupi quel posto per rappresentare i diritti dei cittadini del Kansas o del Montana – di tutti i cittadini del Kansas o del Montana – e non degli interessi dell’industria del tabacco, di General Motors, dell’industria armiera o di Microsoft (interessi che possono coincidere o collidere con quelli dei cittadini rappresentati).
Cosicché, la convergenza della lobby delle armi con la potente National Rifle Association, fa sì che negli USA non si riesca a porre un freno all’acquisto ed al possesso smodato ed irragionevole d’armi da fuoco.
Il cosiddetto “esercizio della democrazia” si riduce – infine – in una continua lotta fra i contrastanti interessi delle lobbies: ancora dei clan con struttura piramidale – non uniti dal legame del sangue – bensì dal comune interesse che lega l’operaio dell’industria automobilistica (spesso tramite sindacati collusi a gruppi d’interesse, mafiosi e non) agli interessi dell’azienda, a quelli del gruppo, fino alla commissione o sotto-commissione dell’industria automobilistica ed ai corrispondenti rappresentanti politici.

Immaginiamo d’ampliare la prospettiva, ed appare un colossale gioco internazionale costituito da continue lotte fra i petrolieri e l’industria nucleare, fra la Marina e l’Aeronautica, fra Monsanto e Dow Chemical e così via: eppure, ci sciacquiamo la bocca con il termine “democrazia” ed irridiamo il metodo musulmano del clan.
Neppure possiamo nascondere che il lobbysmo, i clan mafiosi e le associazioni segrete rappresentano una degenerazione della vera democrazia: sarebbe scorretto non ammetterlo, anche se da questa analisi i nostri sistemi così “democratici” ne escono un po’ con le ossa rotte.
Gli islamici si posero il problema?
In qualche modo sì, ma è molto difficile stabilire se l’Occidente non abbia avuto parte nella necrosi di quei tentativi: nel 1928 – ad Ismailiya, in Egitto – uno sconosciuto insegnante, Hassan Al-Banna, fonda la Fratellanza Musulmana , un’organizzazione che – nelle intenzioni – doveva cercare proprio una soluzione per conciliare l’Islam con il mondo moderno
L’associazione appoggia il colpo di stato di Gamal Abdel Nasser, ma non viene ripagata con buona moneta, tanto che uno dei leader dell’organizzazione, Said Qutb, viene impiccato proprio dai militari di Nasser: nell’Egitto che cercava alleanze con l’URSS c’era evidentemente poco spazio per l’Islam.
Seguono varie vicissitudini[7]. ed una diaspora che coinvolge molti paesi islamici: basti pensare che uno dei più importanti ex esponenti della Fratellanza Musulmana è il dottor Ayman Al-Zawahiri, oggi l’ideologo di Al-Qaeda.

Com’è possibile che, da un gruppo che si proponeva di conciliare Islam e modernità, sia scaturito il “numero due” di Al-Qaeda?
La Fratellanza Musulmana fu considerata, sin dalla sua nascita, un pericolo per tutti: dal socialismo pan-arabo di Nasser ai conservatori wahabiti sauditi, dai re “inglesi” di Giordania alla “dinastia” degli Assad in Siria; oltre, ovviamente, dalle ex potenze coloniali.
Nessuno volle mai sentir parlare di un processo evolutivo del mondo musulmano, un percorso autoctono per uscire dallo stallo dei secoli trascorsi in piena solitudine – l’infinito Medio Evo islamico – dopo la fine dei grandi califfati.
Purtroppo, dopo secoli d’indifferenza ed emarginazione, l’incontro con l’Occidente avvenne in epoca coloniale: dapprima fu l’Impero Britannico ad occupare parecchi paesi islamici, poi tutti iniziarono a rincorrere il gran gioco petrolifero.
Si guarda a Teheran come ad un grave pericolo, dimenticando che proprio in Iran uno stato musulmano sta cercando – faticosamente, pericolosamente, contraddittoriamente – di conciliare l’antico dilemma della separazione dei poteri fra Stato e Chiesa. Un processo che richiese secoli – in Occidente – per giungere ad una composizione e che ancora oggi suscita fermenti d’incomprensione (ad esempio, l’intervento del cardinal Ruini sui PACS). Oggi è Bush a lanciare l’anatema contro Teheran, colpevole di cercare a suo modo un percorso evolutivo[8]. Non intendiamo affermare che la democrazia regna in Iran, sarebbe assurdo, ma vogliamo ricordare che i “grandi alleati” (o forse, “ex-alleati”?) degli USA – ovvero i sauditi – continuano a tagliare la testa con la spada ai condannati a morte e non hanno nemmeno uno straccio di Parlamento consultivo.

A nessuno interessa un fico secco della democrazia nel mondo musulmano: anzi, è vista dalle holding internazionali dell’energia come fumo negli occhi. E’ bastato che Gheddafi deponesse la spada della ricerca nucleare e si dimostrasse più sensibile ai voleri delle società petrolifere per farlo rientrare, con tutti gli onori, nel salotto buono della politica internazionale. Qualcuno ha chiesto qualcosa sul fronte della democrazia? Le recenti elezioni in Egitto hanno visto una decina di candidati “correre” a fianco di un Hosni Mubarak che deteneva tutte le leve dei media: qualcuno si è scandalizzato?
Quando a vincere elezioni-farsa era Saddam Hussein si promettevano bombe, se invece lo fa Mubarak si promettono finanziamenti e contratti d’ogni tipo.
Insomma, se si desiderasse veramente promuovere la democrazia nel mondo musulmano, si potrebbe iniziare ad analizzare – con rispetto ed attenta analisi – le forme tradizionali di partecipazione alla vita pubblica, giacché non è possibile condannare un miliardo d’esseri umani soltanto perché non hanno vissuto (se non come forma embrionale di pensiero, e più di mille anni fa) una stagione illuminista.
Le strutture democratiche – tenendo conto dei diversi percorsi evolutivi – potrebbero essere trovate: sistemi bicamerali dove una delle due assemblee sia l’espressione dei clan, oppure monocamerali con una quota degli eletti riservata ai clan: il problema non è la forma, ma l’accettare un principio che sarebbe compreso dalle popolazioni.

Spesso, chi non s’allinea con l’imperante assioma della guerra al terrorismo e dell’acritica diffusione della democrazia nel mondo musulmano, viene cacciato d’imperio nel calderone di chi difende il terrorismo, dimenticando che da quel turgido contenitore sgorga solo sangue e nessuna idea.
Ciò avviene perché chi tenta di seguire la strada dell’intelligenza si pone su un percorso arduo, pieno d’insidie, a volte contraddittorio e che presta il fianco a critiche strumentali, ma da quel dibattito possono nascere vere soluzioni, non le semplicistiche teorie che ci hanno condotti agli attuali sabba di morte.
Più facile parlare di “scontro di civiltà” e di “rabbia ed orgoglio”: fra l’altro, pare che renda un sacco di soldi.  

<-- I PARTE

Carlo Bertani  bertani137@libero.it  www.carlobertani.it


[1] Sulla posizione possibilista di Casini è meglio non coltivare troppe illusioni: nella precedente legislatura, fu uno dei più accesi sostenitori della tesi secondo la quale “non si cambia la legge elettorale prima delle elezioni”. Con quella bocca può dire ciò che vuole.
[2] Fonte: British Petroleum Statistical Review – 2004.
[3] www.newamericancentury.org: leggere (solo inglese) per credere.
[4] La scuola filosofica dei Mutaziliti (Separatisti) si affermò nel periodo aureo dei califfati abbasidi, sotto i tre grandi califfi Al-Mansur, Al-Rashid ed Al-Mamun (750 – 833 d. C.). Will Durant – Arabi ed Ebrei – Edizioni Araba Fenice.
[5] La scuola filosofica Qaramita (Carmanziani) intorno all’anno 900 d. C. sosteneva la comune proprietà delle terre e delle donne: organizzarono il lavoro in corporazioni e predicarono l’eguaglianza sociale. Will Durant op. cit.
[6] Il numero della tessera P2 di Silvio Berlusconi compare nell’elenco originale sequestrato dagli inquirenti allo stesso Licio Gelli: non si tratta, quindi, di nessuna “manipolazione” a posteriori.
[7] Molti accadimenti che si sono sviluppati nel mondo musulmano nell’ultimo mezzo secolo traggono origine dalla Fratellanza Musulmana, che viene deliberatamente ignorata nei dibattiti sull’Islam. Per una più completa spiegazione della genesi della Fratellanza Musulmana, e degli effetti che ha prodotto, rimando al libro che ho scritto sull’argomento: C. Bertani Al-Qaeda, chi è, da dove viene, dove va – Malatempora – Roma – 2004.
[8] Per chi s’ostinasse a credere al “pericolo nucleare” iraniano, ricordiamo le armi chimiche e batteriologiche di Saddam, il suo programma nucleare, le false fialette d’antrace, ecc.

 
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