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Puritani e la fondazione degli Stati Uniti
        d’America
        Tratto da “Storia
        non romanzata degli Stati Uniti d’America” di Kleeves
Quanti
        conoscono la vera storia
        della nascita degli Stati Uniti d’America? 
        Non mi riferisco alla propaganda ufficiale, in cui il galeone Myflower
        salpato il 6 settembre 1620 dall’Inghilterra, con a bordo 100 o 101 o
        102 (a seconda delle versioni) Pilgrim
        Fathers, Padri Pellegrini,
        sarebbe giunto nel Nuovo Continente dopo due mesi di navigazione.
        Intendo la vera storia, sconosciuta agli stessi americani, che aiuta a
        comprendere il passato e il presente dell’impero coloniale americano,
        dedito a liberalizzare i mercati del mondo, ad arraffare e conquistare
        risorse di altri paesi, invadere Stati sovrani per esportare la
        democrazia.
        E’ necessario fare un salto nel passato partendo dal Medioevo.
Il 
        Medioevo europeo
        I
        romani vedevano la società in termini di collettivo; ognuno di loro si
        sentiva una parte del tutto. Di qui l’organizzazione statale che si
        diede, altamente collettivista, burocratizzata, militarizzata. Al
        vertice dell’organizzazione non stava un Parlamento, ma un uomo solo.
        Le decisioni prese dai Parlamenti sono il frutto di compromessi e
        mediazioni fra interessi diversi.
        L’Impero Romano scoraggiò l’iniziativa privata, perché tutto era regolato dallo Stato! In particolare l’Impero
        annullò quasi del tutto i traffici commerciali privati, sia per terra
        che per mare e la figura del commerciante era sempre mal tollerata anche
        nella Roma repubblicana, divenne sempre più rara in tutto l’impero,
        sino a scomparire pressoché totalmente.
        Il modo di interpretare i rapporti umani in termine di collettivo fu una
        delle chiavi del clamoroso successo romano: la creazione dell’unico
        impero mondiale della Storia.
L’altra
        chiave fu il loro ateismo di fondo, a dispetto della loro complicata
        impalcatura religiosa. Ciò non impedì ai romani di adottare la
        religione cristiana, anche se non in toto.
        Questa religione si basa sull’intera Bibbia, che contiene due
        parti, il Vecchio e il Nuovo Testamento, le quali espongono una
        teoretica che si presta a fare da ideologia
        razionalizzatrice-giustificatrice rispettivamente per una visione
        individualistica (Vecchio Testamento) è una collettivistica (Nuovo
        Testamento) della vita e dei rapporti umani.
Non
        piacevano invece, ai romani le scritture ebraiche, fra le altre cose, la
        concezione di popolo eletto urtava contro la loro percezione di
        unità del genere umano, il loro universalismo.
        Così per farsi accettare dall’Impero, la religione cristiana, pur
        mantenendolo nominalmente nel proprio corpo dottrinario, all’atto
        pratico abbandonò ogni riferimento al Vecchio Testamento e divenne la
        religione cattolica nella parte occidentale dell’Impero e, più tardi,
        la religione greco-ortodossa in quella orientale.
Caduto
        nel 476 l’Impero d’Occidente, iniziò per l’Europa il periodo
        cosiddetto del Medioevo: un periodo di totale continuità culturale con
        il passato. Non c’era più un’autorità politica centrale,
        sostituita parzialmente dalla Chiesa di Roma, ma dal punto di vista
        della vita di tutti i giorni le cose cambiarono ben poco.
        La logica feudale del tempo si adattava abbastanza alla loro concezione:
        la terra era di Dio, e quindi di tutti; per esigenze pratiche la Chiesa,
        rappresentante di Dio, ne affidava l’amministrazione ai nobili, che
        sopraintendevano quindi all’attività di tutti gli altri,che erano
        considerati uguali, tutti - chi più chi meno - “servi della gleba”.
        Emblematica è la teoria medioevale del giusto prezzo, che era il
        massimo prezzo cui poteva essere venduta una merce, calcolato in base ai
        contenuti di materie prime, lavorazione e qualità finale.
        I traffici privati, così, continuavano ai soliti livelli minimi del
        tempo dell’Impero, mentre invece quelli interregionali e
        internazionali, allora gestiti dall’autorità centrale, erano cessati
        o divenuti sporadici.
Con
        le Crociate inizia la fine del Medioevo. Le Crociate furono otto, la
        prima nel 1096 e l’ultima nel 1270. Esse ebbero l’effetto di portare
        gli europei a un contatto da secoli mai così profondo con il mondo
        arabo, le sue merci, la sua superiore cultura e le sue superiori
        cognizioni scientificotecnologiche, iniziando così una catena di eventi
        che avrebbe cambiato il volto non solo dell’Europa, ma del mondo
        intero. Iniziarono i primi commerci privati, via mare e via terra, per
        portare in Europa le novità dell’Oriente. Sorsero i primi magazzini,
        aziende di import-export, e con queste, naturalmente, i primi
        commercianti e imprenditori.
        Attraverso gli arabi arrivarono in Europa alcune invenzioni cinesi di
        grande portata: la polvere da sparo, le lenti ottiche e i caratteri da
        stampa mobili, usati in Cina circa dall’anno 700.
Nei
        due secoli successivi si svilupparono le conseguenze di quelle premesse:
        i commerci crebbero in modo esponenziale, soprattutto nelle zone
        dell’Europa settentrionale, le meno influenzate dalla mentalità
        romana. Aumentò di molto la circolazione del danaro, e di tutti quegli
        strumenti atti ad agevolarla, come lettere di credito, cambiali,
        transazioni bancarie. Per l’anno 1500 in Inghilterra il secolare
        sistema del baratto era stato completamente sostituito dall’uso del
        danaro; anche paghe e salari erano corrisposti in danaro. Aumentarono di
        conseguenza i commercianti e gli imprenditori, attorno ai quali si formò
        una categoria di personaggi
Lo
        sviluppo dei commerci creò una forte domanda di ordine, sicurezza dei
        trasporti, uniformità di leggi e regolamenti.
        La scoperta del cannone, un’arma costosa, stava però rafforzando le
        monarchie. Il perfezionamento dei caratteri da stampa terminato da
        Gutenberg verso il 1450 permise la diffusione di molti libri in latino.
        Grazie all’effetto combinato dello sviluppo dei commerci, del
        rafforzamento delle monarchie e dell’imporsi di lingue locali le varie
        ex province dell’impero cominciarono a sentirsi delle entità autonome
        da ogni punto di vista, economico, politico, culturale e cominciarono a
        originare gli Stati nazionali europei, i primi dei quali furono le
        monarchie di Portogallo, Spagna, Francia e Inghilterra.
La Riforma Protestante 
        Fece
        la comparsa una nuova mentalità in seno all’Occidente, una mentalità
        che sul piano economico si esprime col capitalismo. 
        Lo sviluppo del commercio privato, e delle attività a esso correlate,
        aveva solo creato tanti commercianti e imprenditori vari; in altre
        parole, tante persone dedite all’accumulo di ricchezza tramite attività
        private.
Non
        era mai stato creato un sistema capitalistico. L’avidità di
        per sé non crea il capitalismo crea tante persone che, quando le
        condizioni esterne sono adatte, accumulano potere di acquisto, cessando
        tale attività quando le condizioni esterne non sono più favorevoli. Un
        sistema capitalistico si ha invece quando tali condizioni favorevoli
        sono sistematicamente ricercate, e su di esse è basato il funzionamento
        della società. L’avidità è una condizione necessaria, ma non
        sufficiente, per la vita di un sistema capitalistico. Per questo occorre
        che l’avidità sia giustificata. 
        Tale giustificazione fu offerta dalla Riforma Protestante.
Viene
        da chiedersi se nell’Europa del tempo ci sarebbe stata la Riforma
        Protestante se contemporaneamente Gutenberg non avesse introdotto i suoi
        caratteri da stampa mobili, che permettevano di stampare libri a una
        velocità sino allora impensabile. 
        Gutenberg cominciò a stampare il primo libro nel 1450 e per l’anno
        1500 si calcola che in Europa fossero già in circolazione dai 15 ai 20
        milioni di libri. Erano quasi tutti bibbie, compreso il primo, la famosa
        edizione di Gutenberg finita nel 1455.
Il
        Vecchio Testamento, quello scheletro nell’armadio che la Chiesa
        Cattolica si era silenziosamente portato dietro per tanti secoli, era
        stato scoperto; la mina vagante aveva urtato l’Europa. Iniziava così
        la Riforma Protestante. 
        La Riforma Protestante nasce infatti dalla constatazione che tutta
        l’organizzazione gerarchica e gran parte dei dogmi, dei sacramenti,
        delle credenze e consuetudini che la Chiesa di Roma aveva trovato nel
        Nuovo Testamento, nel Vecchio Testamento non trovano riscontro alcuno,
        anzi in genere sono chiaramente contraddetti.
Con
        l’avvento della stampa tutte quelle critiche alla Chiesa di Roma
        ebbero grande risonanza e addirittura si moltiplicarono. Lo scisma che
        portò alla nascita della religione protestante iniziò con le obiezioni
        del tedesco Martin Luther (1483-1546), per gli italiani Martin Lutero,
        che nel 1517 affisse le sue 95 tesi sul portone del duomo di Wittemberg,
        seguito rapidamente da molti altri teorici, fra i quali particolarmente
        importanti l’avvocato francese Jean Chauvin (1509-1564), Giovanni
        Calvino per gli italiani.
        La religione protestante si impose rapidamente e in modo uniforme in
        tutta l’Europa settentrionale a eccezione dell’Irlanda, e a macchia
        di leopardo nell’Europa centrale; non ebbe invece alcun successo
        nell’Europa meridionale, in particolare in Portogallo, Spagna e
        Italia. In Gran Bretagna le cose andarono un po’ diversamente.
Nominalmente
        entrò nel panorama protestante nel 1534, quando il re Enrico VIII,
        sottraendola al papa, rivendicò per sé la suprema autorità sulla
        Chiesa Cattolica inglese, che da allora si chiamò Chiesa Anglicana.
        La Riforma protestante fu dunque uno scisma in seno alla religione
        cattolica dovuto al fatto che una vasta parte dei fedeli, diciamo così,
        di quest’ultima si accorse che il suo insegnamento non corrispondeva
        esattamente con la Bibbia.
        Mentre il Nuovo Testamento è un corpo dottrinario che implica una
        visione collettivista della vita e dei rapporti umani, il Vecchio
        Testamento ne implica una individualista.
Come
        vuole il Dio del Vecchio Testamento che si comportino gli uomini per
        essere approvati? Egli non dice “ama il prossimo tuo come te
        stesso”, ma dà una serie di dettagliate prescrizioni - i comandamenti,
        che in totale sono 613, dei quali i primi in ordine di tempo sono i
        Dieci Comandamenti - osservate le quali c’è sicuramente
        l’approvazione. In questi comandamenti non c’è alcun accenno alla
        fratellanza di tutti gli uomini, alla loro uguaglianza, al rispetto cui
        ognuno ha diritto.
        Non c’è alcuna condanna dell’egoismo materiale e dell’ingordigia;
        nessuna condanna dell’accumulazione individuale di ricchezza o di
        proprietà privata; dello sfruttamento di uomini da parte di altri
        uomini, sino al punto che la schiavitù è presa come un dato di fatto. 
        Si può essere malvagi di animo, ma se si riesce a rispettare la forma
        dei precetti, magari con astuzie e cavilli, l’approvazione non mancherà
        (specialisti in questo erano quei Farisei coi quali ebbe a scontrarsi
        Gesù).
        Lo “Stato” non esiste; il “bene comune” non esiste.
Contrariamente
        a quanto insegnato e fatto da Gesù, la ricchezza materiale non è
        condannata nel Vecchio Testamento, anzi, essa è addirittura considerata
        come il segno tangibile del favore divino.
        Tutto
        quanto detto sopra fu condensato da Giovanni Calvino in pochi concetti:
        Non si ha l’obbligo di fare bene agli altri; ognuno deve pensare a sé
        stesso; l’unico obbligo è quello di seguire alla lettera i
        Comandamenti; la salvezza avviene per via di
        In
        poche parole, lo scopo della vita è di cercare di diventare ricchi!
        Si chiede solo il rispetto formale dei Comandamenti. Fatta la legge
        trovato l’inganno, e nel rispetto formale dei Comandamenti si può
        compiere qualunque ingiustizia sostanziale nei riguardi del prossimo. 
Infine
        nel Vecchio Testamento c’è il concetto di popolo eletto, che
        per definizione è contraddistinto dalla prosperità materiale.
        Era questa la nuova interpretazione della vita cercata dai nuovi ricchi
        dell’Europa del Quattro-Cinquecento. L’avidità di beni materiali
        aveva trovato una giustificazione, l’ideologia protestante.
        La contemporaneità, in pratica, della comparsa nell’Europa del primo
        Cinquecento del Capitalismo e del Protestantesimo, e il fatto che queste
        due prassi abbiano la stessa giustificazione ideologica non è certo
        sfuggito a storici e sociologi, il solo dubbio essendo a quale dei due
        fenomeni attribuire la parte della causa e a quale quella
        dell’effetto. 
        Nell’Europa del Cinquecento i Protestanti, dove arrivarono, spinsero
        sempre per l’eliminazione della monarchia e in subordine, se ciò non
        era possibile, per affiancarle almeno un Parlamento, che tramite i
        requisiti minimi patrimoniali sempre richiesti agli elettori era sempre
        espressione della borghesia molto agiata.
Il
        Vecchio e Nuovo Testamento riflettono due modi assolutamente antitetici
        di vedere la vita. In effetti sono due religioni diverse.
        Martin Lutero e i suoi seguaci, dai quali derivarono principalmente la
        Chiesa Luterana, Battista e la Metodista, cercarono di conciliare il più
        possibile i due Testamenti. Giovanni Calvino e i suoi seguaci, dai quali
        ebbero origine una miriade di denominazioni diverse nella forma ma non
        nella sostanza, fra le quali le più importanti sono la Chiesa
        Presbiteriana e la Chiesa Riformata, trascurarono nei fatti anche se non
        nelle parole ogni concetto espresso da Gesù.
Vecchio
        e Nuovo Testamento non sono logicamente conciliabili e quindi il
        luteranesimo risulta un corpo dottrinario un po’ confuso, incerto, che
        dal punto di vista culturale lascia ancora dei disagi esistenziali; il
        calvinismo invece è una dottrina altamente coerente, logica. Questa
        differenza spiega il tipo di diffusione che ebbe il Protestantesimo nel
        Cinquecento. Il luteranesimo, nelle sue varie denominazioni, si diffuse
        a macchia d’olio su aree vaste dove ogni tanto c’erano zone o città
        commercialmente sviluppate: esso andava bene ai commercianti e ai ricchi
        in genere ma non urtava eccessivamente la massa nullatenente ex
        medioevale. Esso prese piede nella Germania settentrionale, nella
        penisola scandinava e sulle coste baltiche. 
Il
        calvinismo invece si diffuse in modo molto selettivo, in aree piuttosto
        ristrette (almeno inizialmente) dove i commerci erano molto sviluppati.
        Esso attecchì in alcuni centri della Germania settentrionale, della
        Francia, della Polonia e della Svezia. Le aree di maggior successo
        furono invece la Svizzera, l’Olanda e la Gran Bretagna, specie in
        Galles e Scozia. In Inghilterra i calvinisti erano frazionati in varie
        denominazioni: c’erano i Presbiteriani,i Riformati, i Separatisti e i
        Puritani. Questi ultimi, inizialmente chiamati i Precisi (Precisians),
        si distinguevano per l’implacabile interpretazione letterale del
        Vecchio Testamento e per la sorprendente totale omissione del Nuovo.
        Essi, tutti commercianti e arricchiti vari, erano l’ala destra del
        calvinismo europeo.
Con
        l’arrivo dei Protestanti iniziò in Europa un periodo di sommovimenti
        e guerre civili che durò sin quasi al Settecento. 
        I Protestanti volevano o abolire le monarchie o almeno affiancare loro
        dei Parlamenti eletti dai ricchi. Le diatribe sui dogmi, sulla Trinità,
        sulla libertà di culto, sull’autorità del Papa e così via erano
        solo una scusa per provocare, per tirare la corda, e per prepararsi al
        confronto, anche armato. Le lotte del periodo vedevano sempre da una
        parte i Protestanti e dall’altra una monarchia, la Chiesa Cattolica.
Durante questo periodo di guerre civili alcune delle frange più estreme del Protestantesimo europeo, che erano tutte calviniste, abbandonarono a varie riprese l’Europa, un po’ perché minacciate dai vincitori del momento e un po’ perché allettate dalla fama di opulenza ormai consolidata delle nuove terre scoperte da Colombo in poi. Alcuni Puritani inglesi prima si trasferirono in Olanda, fra i Presbiteriani olandesi e quindi, avendo trovato anche là degli ostacoli insormontabili, a partire dal 1620 emigrarono nell’America settentrionale, dove furono seguiti da ben più alti numeri di Puritani partiti direttamente dall’Inghilterra.
La colonizzazione
        dell’America
        L’impulso
        a intraprendere le esplorazioni che avrebbero portato alla scoperta
        dell’America venne dalla caduta dell’Impero Romano d’Oriente
        avvenuta nel 1453.
        In seguito a questa si interruppero le usuali e vecchie vie di
        comunicazione che portavano in Europa le merci dell’Estremo Oriente,
        di quelle “Indie” o “Isole delle spezie” che erano
        principalmente la Cina, il “Catai” di Marco Polo. In particolare
        l’Impero Ottomano bloccò entrambe le vie di terra usate per quei
        traffici: la Via delle steppe dei nomadi, che tagliava l’Asia a
        metà seguendo più o meno sempre lo stesso parallelo e che arrivava
        alla penisola di Crimea, ormai nelle mani dei turchi; e la Via della
        seta, che correva quasi parallela alla precedente, ma più a sud,
        arrivando in Libano, anch’esso occupato dai turchi.
C’erano
        anche diverse rotte marinare, che però arrivavano tutte nel Mar Rosso,
        con un ultimo trasporto via terra sino ad Alessandria d’Egitto. Anche
        l’Egitto, come tutto il nord Africa del resto, era stato fagocitato
        dall’Impero Ottomano.
        I mercanti di Genova e Venezia avevano così il monopolio di questo
        traffico di spezie e merci varie che diventava sempre più scarso. Era
        dunque necessario trovare delle rotte alternative per l’Estremo
        Oriente. La rotta doveva essere via mare. 
        Cominciò il Portogallo, con l’idea di raggiungere l’Oriente
        navigando costantemente verso oriente, circumnavigando cioè l’Africa.
        Re Ferdinando di Spagna invece finanziò il tentativo della rotta verso
        Occidente che era venuto a proporre Cristoforo Colombo un cartografo
        della concorrenza.
Il
        12 ottobre 1492, l’esploratore genovese sbarcò su un’isola dei
        Caraibi chiamata dagli autoctoni Ganahani e che lui ribattezzò
        San Salvador, quindi, prima di tornare indietro, toccò Cuba e
        Hispaniola. 
        Il Nuovo Continente aveva ormai una importanza commerciale strategica!
        La spinta a trovarvi un passaggio che immettesse nel Pacifico, e quindi
        alle Indie, portò così anche Francia, Inghilterra e Olanda a
        familiarizzare con le Americhe. 
        In
        questi frangenti, verso l’anno 1600, i francesi che stavano esplorando
        il Canada orientale per cercare un passaggio verso il Pacifico fecero
        una scoperta di eccezionale importanza: la zona a nord-est dei Grandi
        Laghi era ricchissima di castori e di animali da pelliccia in genere. La
        scoperta era importantissima perché le pellicce erano la merce di
        scambio più ambita dai cinesi, le cui merci a loro volta - il tè e le
        stoffe - erano le più ricercate dagli europei fra le “spezie” e le
        “meraviglie” dell’Oriente.
Gran
        Bretagna, Francia e Olanda cercavano tutte e tre di procurarsi le
        pellicce nella zona a nord-est dei Grandi Laghi per poi scambiarle in
        Cina con tè e stoffe. 
        Iniziava la colonizzazione dell'America.
Per
        tutto il Cinquecento gli inglesi cercarono di inserirsi nello scacchiere
        americano, sempre per il passaggio a nord-ovest.
        Nel periodo di regno di Elisabetta I (1558-1603) l’Inghilterra era
        diventata una ragguardevole potenza marinara, e voleva a tutti i costi
        impossessarsi almeno di una parte delle enormi ricchezze che vedeva
        affluire nei forzieri dell’Escoriai di Filippo II. Pirati inglesi
        cominciarono così ad attaccare i galeoni spagnoli che tornavano dalle
        Americhe. Elisabetta negò ripetutamente, e per iscritto, al re Filippo
        che la Corona inglese avesse a che fare con quei pirati. In realtà era
        proprio lei a organizzare le spedizioni!
La
        regina aveva infatti deciso di cercare di creare dei possedimenti in
        America settentrionale principalmente per due motivi: sul fronte interno
        era riuscita a sedare i disordini seguìti alla Riforma Protestante (i
        gruppi protestanti continuavano a rimanere una minaccia per la Corona) e
        considerato ciò che volevano probabilmente sarebbero stati i primi a
        inseguire la ricchezza coloniale; per la politica estera l’eventuale
        passaggio a nord-ovest poteva solo essere trovato con una ricerca
        sistematica, che necessitava di una presenza in loco.
        Per fare questo, le società mercantili inglesi interessate alle
        merci dell’Oriente vennero divise dalla Corona in due gruppi: erano
        entrambi diretti alle “Indie” ma uno cercava di passare da occidente
        e l’altro da oriente. Il primo gruppo era capitanato dalla London
        Company e dalla Massachusetts Bay Company, il secondo dalla East
        India Company.
Il
        primo gruppo doveva formare colonie sulla costa nord orientale
        americana, tagliando la strada agli spagnoli; dall’altra parte doveva
        reperire le importantissime pellicce nella zona dei Grandi Laghi
        contrastando il più possibile francesi e olandesi. Le pellicce
        sarebbero state utilizzate dalla East India Company. La East
        India Company infatti avrebbe subito commerciato con la Cina
        seguendo la rotta della circumnavigazione dell’Africa e cercando di
        farsi largo nella numerosa concorrenza di spagnoli, portoghesi, francesi
        e olandesi.
        Un ideale e necessario punto di appoggio per aggredire il mercato cinese
        era l’attuale India.
La
        Gran Bretagna, per la presenza dei suoi numerosi calvinisti, aveva
        cominciato a sentire l’influenza della nuova mentalità: l’economia
        cominciava a prendere la forma di una libera economia di mercato. 
        La Corona gradualmente cessò di cercare di dirigere tutti gli aspetti
        della vita dei cittadini, a cominciare da quello economico; abbandonò
        la tradizionale preoccupazione medioevale che ognuno avesse di che
        mangiare e si limitò  a
        presiedere all’attivismo dei singoli, e il suo ruolo nell’economia
        generale divenne quello di agevolare il più possibile gli affari di
        quei singoli che volevano farli, e che facendoli aumentavano il gettito
        fiscale. La Royal Navy divenne il braccio armato della sua
        borghesia mercantile: stava nascendo l’Impero Inglese, un impero
        commerciale dettato dalla volontà di far arricchire le proprie
        borghesie anche alle spese di altri popoli.
        La colonizzazione inglese dell’America avvenne secondo questa
        filosofia!
Fa
        parte della retorica di Stato americana che i colonizzatori inglesi
        fossero persone in cerca di libertà religiosa o politica, o persone in
        disperate condizioni economiche. Ciò fu vero per una minoranza esigua,
        che non ebbe mai alcuna influenza nell’andamento delle cose coloniali.
        La caratteristica comune della maggioranza dei colonizzatori era il
        livello economico alto del quale godevano in patria. In effetti il costo
        pro capite del viaggio, che ognuno doveva sostenere di tasca
        propria, era molto alto.
        Erano in genere commercianti, ai quali erano aggregati artigiani,
        mezzadri di vasti poderi, professionisti vari.
        I pochi emigranti inglesi dell’epoca realmente poveri, non potevano
        pagare il biglietto e venivano imbarcati con la qualifica di Indentured
        Servant (“servo a tempo”), in base a un contratto nel quale
        l’individuo si impegnava a lavorare nella colonia alle dipendenze
        della società organizzatrice per un periodo di sette anni.
I
        primi colonizzatori comunque non furono troppo rappresentativi del
        quadro, ora esposto: erano un gruppo di 107 uomini, trasportati su tre
        vascelli dal capitano John Smith, sbarcati nell’attuale Virginia, dove
        nel 1607 fondarono la città di Jamestown, pensarono di seguire le orme
        degli spagnoli e cercarono l’oro, che non c’era. Essi furono aiutati
        da Pocahontas (1595-1617), la figlia di un capo indiano che sposò un
        colono garantendo la pace dopo iniziali dissapori. 
        Per coltivarlo essi per primi importarono schiavi neri.
        Nello stesso anno giungeva dall’Inghilterra anche un carico di donne,
        e la colonia della Virginia (così chiamata in onore di Elisabetta I, la
        Virgin Queen) cominciava a nascere a tutti gli effetti.
Arrivano i Pellegrini
        Nel
        1620 arrivò l’avanguardia dei veri fondatori della civilizzazione
        americana.
        Essi, e non gli inglesi di Jamestown che pure furono i primi, sono
        chiamati dall’iconografia ufficiale americana i Padri Fondatori (Founding
        Fathers). I nuovi coloni si autodefinivano i Pellegrini (Pylgrims).
        Destinati dalla London Company alla Virginia e imbarcati sul
        veliero Mayflower, a causa di una tempesta approdarono
        nell’attuale Massachusetts, dove la società concesse loro di restare
        in attesa di definire la posizione con la Corona. 
        Il quarto giovedì di novembre del 1621 organizzarono una cerimonia di
        ringraziamento a Dio, dopodiché pranzarono con carne di tacchino; tale
        giorno è rimasto una festa nazionale statunitense, il Thanksgiving
        Day (giorno del ringraziamento). In numero di 100 ο 101 ο
        102 a seconda delle versioni, appartenevano tutti alla Chiesa
        Presbiteriana inglese come i Puritani, ma erano chiamati Separatisti.
        A dispetto dell’iconografia questo gruppo non ebbe alcuna rilevanza
        nel fissare le caratteristiche della colonizzazione: erano già pochi, e
        oltretutto durante il primo inverno la metà circa di loro morì di
        freddo e fame prima che gli indiani potessero aiutarli.
Arrivano i Puritani
        Con
        l’arrivo, nel 1630, di 2.000 Puritani, seguiti entro il 1640 da altri
        18.000, inizia la vera colonizzazione degli Stati Uniti. 
        I Puritani fondarono la Massachusetts Bay Colony, utilizzando il nome
        della compagnia con la quale avevano stipulato il contratto di
        colonizzazione, ossia la Massachusetts
        Bay Company di Londra, società nella quale molti di loro avevano
        una compartecipazione azionaria. 
        Nessuno si era imbarcato come indentured servant. Nello stesso
        1630 fondarono la città portuale di Boston. Nei seguenti decenni
        diedero luogo alle colonie del cosiddetto New England puritano. 
La
        forma di governo adottata nelle colonie era simile a quella inglese di
        allora. 
        Al posto del re o della regina c’era un governatore con ampi poteri,
        quindi un Parlamento bicamerale in cui la Camera Alta, corrispondente
        alla Camera dei Lord d’Inghilterra, era eletta dal governatore e la
        Camera Bassa era eletta dal “popolo”.
        Questo solo sulla carta; in realtà solo i ricchi potevano votare. 
Per
        poter sia votare sia ricoprire cariche pubbliche occorreva innanzitutto
        essere maggiorenni, maschi e bianchi; generalmente nel New England occorreva
        anche essere degli anziani della Chiesa Congregazionalista, così come i
        Puritani chiamarono, in America, la loro confessione. 
        I requisiti minimi patrimoniali erano dappertutto molto alti
        (Massachusetts e Connecticut bisognava avere un’attività che rendesse
        40 sterline all’anno, oppure beni immobili valutati almeno la stessa
        cifra; in Rhode Island 40 sterline e che rendesse almeno la stessa cifra
        ogni anno; in New Jersey almeno 40 ettari di terreno, più un’attività
        o dei beni immobili valutati almeno 50 sterline; in Virginia minimo 20
        ettari di terreno, più una casa in città; Georgia e nella Carolina del
        Nord minimo 20 ettari di terreno; nella Carolina del Sud almeno 40
        ettari di terreno e una casa in città, ecc.).
        Da questo livello di requisiti, traspare quanto si fossero divaricate,
        fin da subito, le economie dei due “blocchi” coloniali: il New
        England si dirigeva verso il commercio e le colonie del sud verso il
        latifondo agricolo.
I Puritani 
        I
        Puritani del New England furono in schiacciante superiorità
        numerica sino alla Guerra di Indipendenza, e mantennero una maggioranza
        fino al 1880 circa.
        Traevano
        ogni ispirazione dal Vecchio Testamento, o almeno erano convinti di
        farlo.
        L’idea fondamentale era che la ricchezza materiale, e il benessere
        materiale, compreso quello fisiologico, rappresentava un segno di
        elezione divina. 
        Un individuo era eletto se Dio lo predestinava alla virtù di osservare
        i Comandamenti. Non c’era obbligo alla solidarietà reciproca né a
        compiere opere di bene. Il rispetto richiesto per i Comandamenti era
        letterale, cioè formale. La figura di Gesù era totalmente ignorata,
        benché certamente si definissero “cristiani”.
        I Puritani, come tutti gli altri Protestanti, operarono una certa mirata
        selezione anche nell’ambito del Vecchio Testamento, a ulteriore
        dimostrazione del principio utilitaristico alla base di tutta
        l’operazione. Questo si può vedere nella schiavitù, proprietà
        privata, capitalismo, nell’obliterazione dei debiti, ecc. Accolsero
        dalle Sacre Scritture quello che più faceva comodo.
        Un concetto molto importante per i Puritani, che si rivelò gravido di
        conseguenze inaspettate, fu quello di popolo eletto. 
        Al
        popolo eletto Dio destina una patria opulenta, e i Puritani certamente
        si diressero in America pensando che fosse la loro Terra Promessa. Gli
        indiani erano destinati alla distruzione per loro mano così come lo
        erano stati i cananei per Giosuè e i Giudici. Non solo, ma quando i
        Puritani scorgeranno un po’ più in là una terra ricca o in qualche
        modo appetibile penseranno sempre di averne diritto, un diritto che
        giustificherà anche i mezzi più cruenti, stermini compresi.
        Naturalmente il rispetto dei Comandamenti era limitato all’ambito del
        popolo eletto.
I Puritani e la politica
        Nelle
        colonie i residenti avevano un’ampia possibilità di autogoverno. 
        I
        governatori badavano a che fossero salvi i principi della legislazione
        inglese, soprattutto nella forma, e cercavano di intervenire il meno
        possibile; il loro stipendio era poi fissato dai coloni. 
        I Puritani poterono così organizzarsi come volevano, tranne che per
        l’eliminazione della monarchia, che riuscirono a realizzare solo con
        la Guerra di Indipendenza.
        In campo religioso essi non riconobbero più la gerarchia della Chiesa
        d’Inghilterra, e bandirono tutte le manifestazioni esteriori di culto
        introdotte arbitrariamente dalla Chiesa Cattolica: i vestimenti rituali,
        il segno della croce, particolarmente nel battesimo, la genuflessione
        durante la Comunione, l’uso della fede nel matrimonio, l’osservanza
        delle festività per i Santi, compresa la celebrazione del Natale.
L’organizzazione
        politica era basata su due concetti fondamentali: l’uomo singolo che
        doveva essere assolutamente libero di poter fare la sua fortuna
        materiale, vincolato solo dai Comandamenti; e la comunità che doveva
        solo sorvegliare a che i medesimi fossero appunto rispettati.
        I Puritani non operavano nessuna distinzione fra autorità politica e
        religiosa; ogni congregazione era quindi una piccola teocrazia.
        L’autorità era esercitata da una sorta di consiglio dei saggi o degli
        anziani, che ricalcava il concetto del Presbiterio di Calvino.
        Le colonie inglesi del Nuovo Mondo erano quindi delle oligarchie basate
        sul danaro; quelle del New England e di alcune del Sud erano anche
        teocratiche.
        I Puritani rappresentavano l’antitesi della democrazia. 
        Essi
        non credevano affatto che gli uomini fossero tutti uguali, e tantomeno
        che avessero tutti gli stessi diritti. Alcuni in effetti potevano anche
        essere ridotti in schiavitù.
        L’accesso a tale oligarchia non poteva essere negato a chi, diventato
        ricco, dimostrava di essere per definizione uno di loro. Di qui deriva
        un altro aspetto della loro apparente democraticità, oltre che del loro
        repubblicanesimo: l’abolizione del concetto di élite per via
        ereditaria e l’introduzione del concetto di elite aperta, appunto
        “democratica”. 
In
        pratica, alla nobiltà per diritto divino, indimostrabile, di stampo
        medioevale i Puritani sostituirono la nobiltà per diritto divino
        dimostrabile, appunto attraverso la ricchezza materiale. Gli americani
        attuali accettano di buon grado che i loro dirigenti politici e alti
        funzionari dello Stato siano quasi tutti uomini estremamente ricchi, e
        la giustificazione risiede implicitamente in quel ragionamento puritano.
I Puritani e l’economia
        I
        Puritani naturalmente diedero vita ad un sistema capitalista puro. Tale
        sistema è ancora il sistema, non solo economico, ma sociale in senso
        lato degli attuali Stati Uniti, dove tutto o quasi è privato o gestito
        da privati, come ad esempio molte carceri. 
        Per i Puritani tutto si poteva comprare col danaro, e tutto doveva
        essere venduto per danaro; sempre nel rispetto formale dei Comandamenti.
        
        Così nel New England c’erano pure gli schiavi: neri comprati
        dai mercanti di schiavi calvinisti olandesi ma anche indiani e indiane
        catturati sul luogo e tenuti come domestici o stallieri. Però la
        schiavitù non ebbe mai nel New England una diffusione
        paragonabile a quella del Sud: la sua economia era basata sul commercio
        e la sua agricoltura era floridissima ma suddivisa in tante piccole
        aziende a conduzione familiare, dove la produzione era diversificata e
        la mano d’opera richiesta piuttosto specializzata. Nei porti di Boston
        e New York invece c’erano molti schiavi. 
        Le tasse saranno sempre la questione primaria nelle colonie: i Puritani
        non accettavano il principio di affidare al governo la gestione del
        gettito fiscale; c’erano rischi di una politica di redistribuzione dei
        redditi. 
I Puritani e la morale
        La
        morale dei Puritani consisteva nel rispetto formale dei Comandamenti,
        che permetteva loro ogni iniquità nella sostanza. In più tale legge
        valeva solo nell’ambito del popolo eletto dei Puritani: gli altri, in
        particolare i selvaggi indiani, potevano essere derubati, catturati come
        schiavi, anche uccisi. 
        Per esempio i rapporti sessuali con le donne indiane non costituivano
        reato, neanche da parte di Puritani sposati. 
        Le donne erano ritenute le “sorelle di Eva tentatrice”, il
        mezzo preferito dal Maligno per tentare la virtù degli uomini e
        distoglierli dal loro patto con Dio. Non potevano mostrare in pubblico
        più della faccia e delle mani, e ciò valeva anche per le bambine di
        ogni età.
        Anche il divorzio, da sempre in uso presso gli americani, era ammesso
        dai Puritani, che lo praticavano con ancora maggiore frequenza vista la
        seria proibizione dell’adulterio. I reati sessuali erano puniti con
        straordinario rigore. Per l’adulterio e l’omosessualità era
        comminata la pena di morte. L’adulterio si verificava anche nel caso
        in cui la donna fosse solo fidanzata. 
        Ogni comunità aveva i suoi watchmen (“sorveglianti”),
        dipendenti comunali il cui compito era di controllare il comportamento
        delle persone e di riferire al pastore della chiesa. Erano dei delatori,
        che origliavano dietro gli angoli e spiavano dalle finestre. Scapoli e
        zitelle erano naturalmente i più controllati.
        I Puritani collegavano la salute fisica con l’intervento divino, e i
        disordini mentali con quello del Diavolo.
I Puritani e la cultura
        Alla
        scuola i Puritani dedicarono subito una attenzione che precorreva i
        tempi. 
        C’erano due necessità, i Comandamenti e gli affari: per seguire i
        primi occorreva conoscere la Bibbia, e quindi saper leggere, mentre per
        i secondi oltre a ciò occorreva saper fare i conti. Ogni township quindi
        aveva almeno una scuola e un maestro, pagati dalla municipalità, e ce
        n’erano altri nelle città. Il livello di alfabetismo fra i Puritani
        era senz’altro il più alto delle colonie americane.
        Nel 1640 c’erano già nel New England circa 300 pastori
        diplomati in loco. L’Harvard College, divenuto
        gradualmente una università, è il più antico college degli
        Stati Uniti. Sempre come seminari nacquero nel 1701 l’università di
        Yale, nel 1764 l’università di Brown nel Rhode Island e nel 1769
        l’università di Darthmouth nel New Hampshire. 
        Tali istituzioni garantirono ai Puritani una superiorità culturale
        schiacciante nell’ambito coloniale sino alla Guerra di Indipendenza.
        Il poema più letto dagli americani di tutti i tempi è The Day of
        Doom (Il Giudizio Universale) pubblicato nel 1662 in Massachusetts
        dal puritano Michael Wiggleworth, nel quale la teologia calvinista è
        messa in versi settenari.
        Le caratteristiche culturali e psicologiche dei Puritani si sono
        conservate negli americani: anche per loro tutto deve mirare al
        raggiungimento della ricchezza.
        L’editoria quindi ha un carattere essenzialmente pratico, con prodotti
        che nei vari generi hanno raggiunto col tempo livelli di eccellenza (i
        manuali americani sono punti di riferimento nei vari settori). Gli
        autori di talento, più che indagare la realtà, cioè la verità,
        mirano a confezionare opere di successo presso il vasto pubblico. Così
        si sono specializzati nella fiction, nelle opere di evasione,
        dove di nuovo eccellono di gran lunga su tutti per la capacità di
        presentare storie e situazioni assurde in modo verosimile. Hollywood
        riassume tale attitudine tipicamente americana. 
L’Indipendenza
        Per
        quanto riguarda l’economia, quella del New England assunse
        rapidamente dimensioni gigantesche.
        La pirateria era praticata in grande stile in tutte le colonie, con
        l’approvazione dei governatori quando aveva per oggetto mercantili non
        inglesi.
        Ma più di ciò fu la qualità dell’immigrazione puritana a
        determinarne il successo economico. In varie ondate a partire dal 1630
        questa portò in America non un insieme casuale di spiantati, ma una
        società completa, forse piccola ma organizzata in ogni sua parte. I
        soci della London Company selezionavano accuratamente i
        componenti dei viaggi.
        Gli altri inglesi che si sistemarono nelle colonie del Sud non erano
        niente di paragonabile. 
        Diedero in tal modo origine a colonie ricche ma poco articolate dal
        punto di vista economico e sociale. La loro unica risorsa era la
        schiavitù: il 75% delle famiglie possedeva uno o più schiavi.
La guerra d’Indipendenza
        I
        Puritani erano andati in America con uno scopo ben preciso: avere la
        possibilità di arricchirsi senza costrizione alcuna. Per questo
        volevano autogovernarsi Il loro obiettivo era dunque, fin dall’inizio,
        di liberarsi della Corona inglese e dei suoi governatori. 
        I Puritani del New England si rendevano conto di non potersi
        ribellare alla madrepatria da soli, senza la collaborazione delle altre
        colonie, anzi magari con la loro opposizione.
        Essi quindi si dedicarono con estrema energia ai loro affari commerciali
        ma ogni volta, quando se ne presentava l’occasione, non dimenticavano,
        tramite i loro Parlamenti e la loro propaganda, di attaccare la Corona o
        i suoi governatori. L’obiettivo era sempre di dimostrare alle altre
        colonie quanto nociva fosse la presenza della Corona anche per le loro
        possibilità di arricchimento: avevano già molto, ma avrebbero potuto
        avere di più. 
        Tale polemica, presente sin dall’inizio del 1630, andò aumentando
        mano a mano che l’incremento di popolazione e l’indebolimento sul
        continente nordamericano di francesi e spagnoli rendevano sempre meno
        necessaria la protezione dell’esercito di Sua Maestà.
        I principali argomenti politici dei Puritani furono gli indiani, la
        schiavitù negra, i territori dell’Ovest e naturalmente le tasse.
La
        Corona perseguiva una politica di accomodamento con gli indiani. Questi
        erano utili come alleati nelle guerre combattute contro i francesi per
        spodestarli dai Grandi Laghi. 
        I Puritani invece sostenevano che era meglio sterminare gli indiani,
        come del resto avevano subito iniziato a fare.
        I Puritani si erano accorti presto che alla loro economia gli schiavi
        neri non servivano; anzi erano di intralcio. Sapevano che erano
        fondamentali per i latifondisti del Sud e assunsero questo
        atteggiamento: da una parte li appoggiarono concretamente nel chiedere
        alla Corona il permesso di tenere gli schiavi nelle colonie americane,
        dall’altra mantennero nel New England una fronda anti-schiavitù,
        dando spazio nei giornali e al Parlamento ai pochi sinceri
        antischiavisti che c’erano.
        Dal 1689 al 1763 Francia e Gran Bretagna si combatterono pressoché
        ininterrottamente. Materia del contendere era il controllo del Mercato
        dell’Oriente.
Le
        tasse erano sempre troppe e sempre ingiustificate per i Puritani. Esse
        servivano alla Corona per coprire le spese di amministrazione delle
        colonie, per la loro difesa, e per finanziare le guerre.
        Nelle colonie del Sud la maggioranza dei bianchi si interessava poco di
        politica, ma semmai non vedeva altro che svantaggi dall’indipendenza.
        Nel New England solo i grandi mercanti, finanzieri e imprenditori
        avrebbero tratto tangibili e immediati vantaggi dall’indipendenza, che
        avrebbe significato il loro stesso autogoverno.
        La svolta avvenne al termine della Guerra dei Sette Anni, (1756-1763).
        Questa guerra vedeva opposti Gran Bretagna e Prussia e dall’altra
        Francia, Spagna, Austria e Russia. Si trattava della resa dei conti
        finale per stabilire il controllo di buona parte del Mercato
        dell’Oriente.
        La Gran Bretagna vinse la guerra  e
        le condizioni della pace furono fissate dal Trattato di Parigi del 10
        febbraio 1763, che stabiliva anche le sorti dei possedimenti
        nordamericani degli sconfitti.
L’esito
        della guerra, pur così favorevole, sarebbe però costato alla Gran
        Bretagna le sue 13 colonie americane. Esso forniva infatti un tremendo
        impulso alla causa puritana dell’indipendenza.
        Nell’America settentrionale non c’era più la temuta Francia, e
        potenza della Spagna già da tempo era in declino, per cui la presenza
        dell’esercito inglese non era più necessaria. 
        Il fatto che ora la Gran Bretagna, dopo aver liberato il nord America
        dai francesi, bloccasse tuttavia l’espansione ad Ovest alle sue
        colonie americane (con la scusa di riservare territori agli indiani) i
        grandi mercanti Puritani, volve adire che la Corona intendeva lasciare
        il Mercato dell’Oriente alla East India Company, bloccando per
        sempre la strada verso il Pacifico alle colonie americane. 
        Fu questo in ultima analisi il vero grande motivo della Guerra di
        Indipendenza americana: il Mercato dell’Oriente. 
Infine
        le tasse: la Gran Bretagna doveva recuperare le spese sostenute nella
        guerra in America.
        Nel 1764 furono introdotti il Sugar Act e il Currency Act, nel
        1765 lo Stamp Act e il Quartering Act, nel 1767 il Townshend
        Act. 
        I Parlamenti del New England furono in prima fila
        nell’esprimere le proteste delle colonie, e la loro abilità consisté
        nell’indurre il governo inglese a spostare gradualmente la tassazione
        verso beni di largo consumo, che colpivano la classe povera e media…
        La causa dei Puritani cominciava a prendere piede anche negli strati
        bassi della popolazione. 
        I grandi mercanti del Massachusetts decisero di spingere
        sull’acceleratore e incaricarono i loro media (giornalisti,
        intellettuali, preti dal pulpito) di mantenere viva la polemica con la
        madrepatria. In tale clima cominciarono a crearsi degli incidenti… 
Nel
        maggio del 1773 alcuni mercantili della East India Company che
        trasportavano tè furono respinti nei porti di Boston, New York e
        Philadelphia. Nell’ottobre un altro mercantile veniva incendiato ad
        Annapolis. Infine il 16 dicembre del 1773 ci fu l’episodio del Boston
        Tea Party, un gruppo di uomini travestiti da indiani rovesciò in
        acqua il carico di tè di una nave alla banchina.
        Il re Giorgio III era furioso col Massachusetts e ordinò la chiusura
        del porto di Boston sino a che il danno non fosse stato ripagato, quindi
        tolse al Massachusetts molti poteri di autogoverno.
        Il Massachusetts convocò allora tutti i Parlamenti coloniali per una
        riunione che si tenne a Philadelphia dal 5 settembre al 26 ottobre del
        1774. Fu il cosiddetto Primo Congresso Continentale. 
        Le colonie si riunirono ancora a Philadelphia durante il Secondo
        Congresso Continentale. 
Dopo
        mesi di discussioni, la minoranza indipendentista, i cui leader erano
        i grossi mercanti puritani John Adams, Samuel Adams e John Hancock, e i
        grossi piantatori del Sud, James Madison, Alexander Hamilton, Thomas
        Jefferson e George Washington, riuscì a convincere l’assemblea a
        decidere per la separazione definitiva dall’Inghilterra.
        Alla fine i Puritani erano riusciti nel loro intento: il 4 luglio 1776
        veniva così enunciata la Dichiarazione di Indipendenza, anche se
        più di un terzo della popolazione coloniale era contraria.
        Il reale motivo della ribellione era il Mercato dell’Oriente. Per
        quello era necessario avere a disposizione le pellicce del Canada. 
        La Gran Bretagna avrebbe vincere la guerra ma ciò che realmente le
        premeva in America era solo la zona dei Grandi Laghi e bloccare per
        quanto possibile l’espansione verso il Pacifico ai Puritani.
        La Gran Bretagna riconosceva l’indipendenza delle 13 colonie, e
        inoltre metteva a loro disposizione l’Ohio Territory, però manteneva la proprietà del Canada, chiamato da allora British
        North America (B.N.A.), disegnandone i confini a sud in modo da
        comprendere la zona a nord-est dei Grandi Laghi, la zona delle pellicce.
        
La Dichiarazione
        d’Indipendenza
        I
        firmatari della Dichiarazione offrono l’esatto quadro dell’élite
        rivoluzionaria americana: 10 ricchissimi mercanti del New
        England; 11 grandi latifondisti negrieri del Sud; 12 avvocati; 13
        giudici; 4 medici; e quindi un fattore agricolo, un editore-scrittore,
        un pastore protestante, un politico, un militare e un fabbro.
        Il loro intento era quello sempiterno dei Puritani: non importa quanto
        ricchi, bisognava avere la libertà di poter tentare di arricchirsi di
        più. 
        Allo scopo la monarchia inglese non andava più bene. Occorreva
        l’autogoverno degli imprenditori ricchi; occorreva instaurare
        un’oligarchia mercantile. E questo dice la Dichiarazione di
        Indipendenza americana. Quel “popolo” al quale essa attribuisce
        il diritto di autogoverno non è altro che il corpo elettorale che già
        eleggeva i Parlamenti coloniali, che per via dei requisiti di ricchezza
        minima richiesti per il voto era la parte più ricca della popolazione,
        il 15-25% del totale a seconda della colonia.
        Il loro leader era Thomas Jefferson, che come George Mason, era
        un ricchissimo latifondista della Virginia che impiegava migliaia di
        schiavi.
La
        Dichiarazione di Indipendenza americana, e la retorica di Stato
        che l’ha sempre avvolta, ha ingannato molte persone. 
        Lo slogan del caso fu il Principio dell’Autodeterminazione dei
        Popoli. Ma era appunto uno slogan per coprire le mire al Mercato
        dell’Oriente. Infatti gli americani mai riconobbero quel principio a
        nessun altro, quando non conveniente sul piano economico.
        Vincendo la guerra per l’indipendenza le 13 colonie erano diventate 13
        Stati indipendenti. Lo erano sia nei riguardi dell’Inghilterra che
        l’una nei riguardi dell’altra. 
        L’economia del New England era di tipo fortemente mercantile,
        quella del Sud agricola in modo estensivo. Nel Nord predominavano i
        Puritani, nel Sud c’era un’ampia maggioranza di ex membri della
        Chiesa d’Inghilterra.
        Con una procedura iniziata nel 1777 fra le varie legislature e conclusa
        nel 1781 i 13 Stati si riunivano ufficialmente in una federazione,
        chiamata sempre gli Stati Uniti d’America e regolata dagli Articles
        of Confederation and Perpetual Union.
        Gli Stati, così, erano sempre in lite fra loro, generalmente per
        ragioni di commercio.
Così
        nel 1787 i 13 Stati si accordarono per modificare tale statuto e il
        risultato fu una solenne Costituzione redatta a Philadelphia da 55
        delegati riuniti in assemblea con la presidenza di George Washington.
        Ogni tanto nel tempo vennero fatte delle modifiche, delle
        puntualizzazioni o degli aggiornamenti, chiamate Emendamenti.
        Tali Emendamenti entrano a far parte integrante della Costituzione: i
        primi dieci, approvati in blocco nel 1791, sono chiamati il Bill of
        Rights. 
        La Costituzione degli Stati Uniti non è la Costituzione di uno
        Stato, ma di una federazione di Stati, ognuno dei quali ha una sua
        propria Costituzione. 
        Anche oggi ognuno dei 50 Stati della federazione ha una sua
        Costituzione.
        Al momento dell’adozione della Costituzione federale tali Stati erano
        tutti delle oligarchie basate sulla ricchezza, funzionanti con un
        sistema politico repubblicano e un sistema economico liberista. Tutti
        nelle loro Costituzioni prevedevano requisiti minimi di ricchezza per
        poter votare, che erano all’incirca quelli già visti.
La
        Costituzione federale non fa altro che cristallizzare tale sistema negli
        Stati, impedirgli che nel futuro possa evolvere in quel senso che oggi
        viene chiamato “democratico” (la parola “democrazia” non è mai
        citata nella Costituzione, né lo era stata nella Dichiarazione di
        Indipendenza). 
        Molte sono le agevolazioni per la classe mercantile messe al sicuro
        nella Costituzione: la proibizione di porre tasse sulle merci esportate
        (Art. I, Sez. 9, par. c) ; la proibizione per uno Stato di diminuire il
        valore dei debiti contratti (Art. I, Sez. 10, par. a) ; la proibizione
        di porre barriere tariffarie a merci provenienti da altri Stati (Art. I,
        Sez. 10, par. b); il divieto di porre tasse federali sul reddito, ma
        solo pro capite (Art. I, Sez. 9, par. d). Benjamin Franklin, che era
        anche uno scrittore e inventore, approfittò per far riconoscere (Art.
        I, Sez. 8, par. h) i diritti d’autore e di brevetto.
La
        proibizione di porre tasse federali sui redditi ha resistito per 126
        anni, e cioè sino al 1913, quando già da decenni si erano formati
        colossali monopoli posseduti da una sola persona fisica (i vari
        Carnegie, Colgate, Rockfeller, Vanderbilt, Schiff, Morgan ecc., per gran
        parte della loro vita non pagarono mai un dollaro di tassa sul reddito).
        
        Ancora oggigiorno alcuni Stati non prevedono tasse statali sui redditi
        ma solo excise taxes, tasse indirette sul venduto (una specie di
        IVA; sono però basse, mediamente del 7%). 
        Gli Stati Uniti erano diventati così una spaventosa plutocrazia:
        l’economia era dominata da alcuni privati, titolari degli enormi
        monopoli formatisi negli anni a cavallo del secolo in tutti i settori
        (acciaio, petrolio, alimentazione, farmaceutica, ecc.) tranne che in
        quello delle Poste, riservato dalla Costituzione al governo federale.
        Secondo Charles Austin Beard (1874-1948), il più grande storico
        americano di tutti i tempi: «Il movimento per la Costituzione degli
        Stati Uniti fu originato e realizzato principalmente da quattro gruppi
        di interessi corporati che erano stati danneggiati dagli Articoli della
        Confederazione: denaro, titoli pubblici, manifatture, commercio ed
        armatoria navale.
        La Costituzione del 1787 - che alle multinazionali diede il via - è
        un documento antidemocratico prodotto da qualche decina di portatori di
        grandi interessi corporati e di già multinazionali.
La Guerra di Secessione 
        si stava già profilando in
        quel periodo il grande contrasto intestino che avrebbe portato alla
        Guerra di Secessione: quello fra il grande capitale liquido del Nord-Est
        puritano e il grande latifondismo negriero del Sud.
        L’Emendamento più importante è il X, di grande valenza politica. Il
        sistema politico americano non si regge sulla Costituzione del 1787, ma
        sui poteri che quella silenziosamente lascia alle legislature degli
        Stati.
        Ottenuta l’indipendenza, il Mercato dell’Oriente fu dunque subito il
        grande obiettivo della politica estera americana; occorreva raggiungere
        la costa del Pacifico.
        L’Ovest costituiva un’occasione di per sé: dal punto di vista
        economico (enormi estensioni a disposizione degli americani) da quello
        politico (le nuove colonizzazioni sarebbero servite come valvola di
        sfogo per le masse di disoccupati e diseredati).
        All’Ovest, dunque. Il primo passo fu l’apertura dell’Ohio
        Territory alla, colonizzazione.
La
        Guerra di Secessione non era stata provocata dal problema dello
        schiavismo che scandalizzava il Nord puritano: i motivi erano economici,
        seppur intrecciati con lo schiavismo.
        Dal 1840 al 1860 giunsero nel New England 4 milioni di immigrati
        (Gran Bretagna e Irlanda), nel Sud invece la rivoluzione industriale non
        arrivò, non ne aveva bisogno, era il regno del latifondismo schiavista.
        Il vero problema era che Nord e Sud avevano due economie completamente
        diverse: il capitalismo del laissez faire al Nord, ed il
        latifondismo agrario del Sud, per di più basato sulla schiavitù. I due
        tipi di economia non potevano coesistere!
Un
        problema non secondario era l’immigrazione, invocata dal Nord ma
        avversata dal Sud. Comportava costi federali che non gli competevano e
        il Sud temeva una immigrazione secondaria dal Nord, che avrebbe portato
        masse di mano d’opera non necessaria con conseguenti probabili
        contraccolpi sociali interni.
        Il problema fra Nord e Sud era davvero lo schiavismo del Sud, alla fin
        fine, ma non per ragioni morali: bensì per le ragioni economiche che
        implicava I politici e i capitalisti del Nord non scatenarono la
        campagna antischiavista allo scopo preciso di provocare una guerra
        civile, essi semplicemente volevano esercitare una pressione sul Sud per
        convincerlo ad allinearsi alla loro politica economica federale.
        Il Sud credette che il Nord facesse sul serio con lo schiavismo, che non
        fosse solo una questione di tariffe, e prese l’iniziativa di secedere
        dall’Unione.
        Fu la guerra più sanguinosa in assoluto per gli Stati Uniti, con il suo
        milione di morti, metà dei quali civili (nella Seconda Guerra Mondiale
        i morti saranno 407.316, quasi tutti militari).
Dopo
        le prime vittorie sudiste, caratterizzate dalle loro cavallerie, la
        dovizia di uomini e mezzi del Nord ebbe alla fine la meglio.
        Durante la guerra su iniziativa del Segretario al Tesoro Salmon P. Chase,
        poi fondatore della Chase Manhattan Bank ed eminente membro della
        Chiesa Episcopale, si iniziò a stampare sulla moneta la frase In God
        We Trust.
        Il mondo del Sud fu dunque distrutto nel 1865.
        L’esito della Guerra Civile del 1861-1865 accentuò la colonizzazione
        culturale puritana, soprattutto al Sud dove, finita la guerra, si
        precipitarono orde di commercianti e imprenditori provenienti dal New
        England.
        I Puritani così cambiavano nome: 
        diventavano gli americani.
Indiani e neri
        Ottenuta
        l’indipendenza, le 13 ex colonie americane avevano subito affrontato
        il problema indiano. Era chiaro che gli indiani dovevano scomparire.
        Il Congresso scelse una tattica strisciante e attendista: non bisognava
        lasciare capire agli indiani le intenzioni finali; le tribù andavano
        messe le une contro le altre sfruttando le loro ataviche rivalità; i
        loro mezzi di sussistenza andavano erosi lentamente ma costantemente; le
        tribù dovevano essere illuse di poter contrattare la loro sorte con
        trattati che in realtà non si aveva alcuna intenzione di rispettare.
        Gli indiani erano costantemente provocati: i coloni sterminavano la
        selvaggina, avvelenavano le sorgenti nascondendo sul fondo carogne di
        animali, assoldavano individui senza scrupoli perché uccidessero gli
        indiani.
        Finita la Guerra Civile il generale Sherman fu nominato capo delle
        operazioni militari all’Ovest e la sua prima decisione fu di affamare
        gli indiani delle pianure sterminando i bisonti. Egli invitò «tutti
        i cacciatori dell’America del Nord e di Gran
        Così
        si estinsero gli indiani americani: nel 1630 erano almeno 5 milioni e al
        censimento generale dell’anno 1900 se ne calcolarono 250 mila.
        Nel periodo della tratta degli schiavi, compreso fra il 1600 circa e il
        1860, scomparvero dall’Africa fino a 50 milioni di persone
        Il periodo di schiavitù dichiarata, durato nel Sud fino al 1865, fu
        tremendo: lavori forzati, punizioni con la frusta, morìe, selezioni
        della razza, smembramenti dei gruppi familiari, padroni che in caso di
        bisogno faceva strappar loro i denti, assai ricercati per le dentiere
Il fondamentalismo americano
        Le
        Chiese protestanti americane si possono raggruppare in una cinquantina
        di correnti: Avventisti, Battisti, Luterani, Metodisti, Pentecostali,
        Presbiteriani, Riformati. Altre Chiese protestanti americane, portando
        così il numero delle congregazioni indipendenti a circa 140.
        I membri attivi delle confessioni protestanti sono 80 milioni, dei quali
        70 bianchi.
        I Mormoni sono 4 milioni; i Testimoni di Geova sono 700 mila; i membri
        dell’Esercito della Salvezza 430 mila; gli aderenti a Worldwide
        Church of God alcune migliaia.
        Il maggior raggruppamento protestante è rappresentato dai Battisti, 26
        milioni di membri in 90 mila chiese; i Metodisti, 13 milioni e 52 mila
        chiese; i Luterani, 9,5 milioni di e 19 mila chiese; i Pentecostali, 3,5
        milioni di membri e 25.500 chiese; i Presbiteriani, 3,4 milioni di
        membri con 14 mila chiese; i Riformati, 600 mila membri in 5 con 1660
        chiese.
        Il numero totale delle chiese protestanti è di 275 mila.
        Sono detti Fundamentalists gli americani protestanti che credono
        nell’interpretazione letterale della Bibbia, cioè del Vecchio
        Testamento. Sono attualmente circa 20 milioni e sono trasversali a tutte
        le congregazioni.
Il sistema oligarchico
        Gli
        Stati Uniti non sono uno Stato: sono una federazione di Stati. Tutti gli
        Stati membri sono oligarchie basate sulla ricchezza,
        Il nocciolo duro dell’elettorato, quello che dirige le sorti del
        paese, è il 25-30% che vota alle elezioni locali: esso vota anche a
        tutte le altre elezioni e ne determina l’esito. É costituito in
        grande maggioranza dai cosiddetti W.A.S.P.
        Esistono sulla carta una ventina di partiti negli Stati Uniti,
        all’atto pratico ci sono solo due partiti, il Repubblicano e il
        Democratico.
        Il duopolio non si può rompere. Infatti i partiti repubblicano e
        democratico esprimono l’establishment oligarchico americano in
        modo necessario e sufficiente.
        Questo accade dal 1787.
Il
        partito repubblicano è il partito del capitale statico, o soddisfatto
        è votato da persone abbastanza soddisfatte e sicure della propria
        situazione materiale. Si tratta in genere di piccoli e medi imprenditori
        di tutti i settori, di artigiani costruttori e riparatori, di
        professionisti, negozianti, agricoltori e allevatori, dipendenti fidati
        di vecchie e solide aziende manifatturiere di dimensioni piccole e
        medie, con mercato locale o al massimo nazionale. Esso raccoglie inoltre
        la maggioranza dei pensionati.
        Il partito democratico è
        invece il partito del capitale dinamico, insoddisfatto, fluttuante.
        Sono
        favorevoli al partito democratico generalmente i titolari di redditi
        altissimi e quelli dei più bassi. Da una parte abbiamo le grandi società
        per azioni americane (multinazionali) e dall’altra la moltitudine
        degli operai e dei salariati vari, fra i quali certamente la maggioranza
        dei dipendenti pubblici.
        In effetti tutti i conflitti più gravi nei quali gli Stati Uniti si
        sono impegnati hanno avuto inizio con presidenti democratici. Il Lincoln
        della Guerra Civile, il Wilson della Prima Guerra Mondiale, il Roosevelt
        della Seconda, il Truman della Guerra di Corea e i Kennedy e Johnson
        della Guerra del Vietnam erano democratici.
Il politica estera
        Gli Stati Uniti sono sempre
        stati il paese più “interventista” dello scenario internazionale.
Prima Guerra Mondiale
        All’epoca
        era presidente Woodrow Wilson, un Presbiteriano, l’“uomo di Wall
        Street” e cioè del grande capitale. a Wilson faceva comodo
        pronunciarsi a favore della neutralità; così fece e fu rieletto nel
        1916 con lo slogan “He kept us out of war” (“ci
        ha tenuto fuori dalla guerra”). Le cose cambiarono nel 1917 in
        conseguenza dell’improvvisa debolezza mostrata dalla Russia, che stava
        entrando nelle doglie della rivoluzione.
        Gli americani amano dire che entrarono in guerra perché un sommergibile
        tedesco aveva affondato il piroscafo inglese Lusitania, provocando
        la morte di 1.198 persone. C’era una guerra e ogni nazione affondava
        le navi dirette verso l’avversario. Prima della partenza del Lusitania
        il consolato tedesco a New York aveva fatto pubblicare annunci sui
        giornali avvisando
        C’è invece la quasi certezza che il governo americano fosse alla
        ricerca di episodi del genere per giustificare un’ipotetica necessità
        dell’entrata in guerra nei confronti di una opinione pubblica molto
        intimorita dall’idea di una guerra in Europa contro gli europei. Il
        motivo della partecipazione americana alla Prima Guerra Mondiale fu
        soltanto la preoccupazione che venisse pregiudicata la Balance of
        Power in Europa continentale, con la conseguente fine del sogno
        americano per il Mercato dell’Oriente.
Seconda Guerra Mondiale
        Per
        gli americani le cose cominciarono a mettersi male a partire dalla fine
        degli anni Venti. Il Giappone si era industrializzato con una velocità
        e un successo sorprendenti e già dalla fine dell’Ottocento aveva
        cominciato a reclamare per sé lo status di potenza dominante
        nella regione sia dal punto di vista militare sia, naturalmente,
        commerciale. Nel 1931 il Giappone occupò la Manciuria, regione chiave
        della e nel 1937 iniziò l’invasione del resto della Cina. Questa era
        una minaccia mortale alle secolari mire americane sul Mercato
        dell’Oriente.
        Contemporaneamente all’attacco giapponese alla Cina, in Europa
        cominciava a ripresentarsi con la Germania di Hitler il solito pericolo:
        la formazione di un Super-Blocco europeo continentale fortissimo dal
        punto di vista sia commerciale sia militare. In un primo momento, visto
        il profondo anticomunismo dei nazionalsocialisti, Stati Uniti, Gran
        Bretagna e Francia cercarono di dirigere la Germania solo verso la
        Russia, uno scontro che secondo loro si sarebbe risolto con un nulla di
        fatto. Era questo, come tutti sanno, il senso degli Accordi di Monaco
        del 1938. Ma il piano non riuscì e poco dopo in Europa scoppiò la
        guerra.
        Che fare? Intervenire subito su tutti e due i fronti, contro Germania e
        Italia da una parte e contro il Giappone dall’altra. Franklin Delano
        Roosevelt lo capì subito, e si adoperò per far entrare il paese in
        guerra. Non era così facile perché il presidente americano aveva due
        ostacoli, l’opinione pubblica e una parte del Congresso.
Il senatore Harry Truman: «Se vediamo che la Germania sta
        vincendo la guerra, allora dovremmo aiutare la Russia; e se la Russia
        sta vincendo, dovremmo aiutare la Germania, e così fare in modo che si
        ammazzino fra loro il più possibile»82.
        Poco dopo Roosevelt scelse Truman come vicepresidente!
Gli
        Stati Uniti dovevano intervenire in Europa come in Asia, sperare che
        vincesse la parte cui si erano legati e cercare di controllare le
        condizioni di pace affinché in Europa permanesse la situazione
        precedente, e in Asia il Mercato dell’Oriente venisse lasciato loro.
        L’unica soluzione era l’entrata in guerra al fianco di Gran Bretagna
        e Francia, e purtroppo anche della Russia.
        Così, mentre si dichiarava neutrale, Roosevelt si adoperava per
        provocare i belligeranti della parte scelta come avversa. L’11 marzo
        del 1941, diciotto mesi dopo l’inizio della guerra in Europa, riuscì
        a far approvare il Lend-Lease Act, che destinava agli avversari
        di Germania e Italia aiuti per 7 miliardi di dollari (per il Piano
        Marshall di dieci anni dopo saranno stanziati 12 miliardi di
        dollari, neanche il doppio e in moneta già inflazionata dalla guerra). 
Nel
        1940 gli Stati Uniti avevano vietato l’esportazione in Giappone di
        kerosene per aviazione, petrolio e rottami di ferro; fu questo ad
        indurre il Giappone alla firma del trattato di mutua difesa con Germania
        e Italia. Nel 1941, inoltre, in seguito all’occupazione giapponese
        dell’Indocina, gli Stati Uniti congelarono i beni giapponesi nel loro
        territorio e bloccarono tutto l’interscambio commerciale. I giapponesi
        non volevano una guerra con gli Stati Uniti perché abbisognavano delle
        loro merci, così il 20 novembre 1941 si dichiararono disposti a
        lasciare l’Indocina e altre posizioni nel Pacifico, e ad abrogare il
        trattato con Germania e Italia.
        L’attacco di Pearl Harbor non fu affatto una sorpresa per
        Roosevelt. Alle ore 8 di quella domenica l’ufficio OP/20/G di
        Washington era
        già a conoscenza dell’attacco programmato a Pearl Harbor per le ore
        13.
        Inutilmente:
        il generale Marshall autorizzò l’invio di un messaggio di
        avvertimento alla base di Pearl Harbor solo alle ore 13 esatte, quando
        cominciavano a cadere le prime bombe. Furono affondate almeno una
        ventina di navi (fra cui otto corazzate) e morirono 2.300 uomini, mentre
        altri settecento circa rimasero feriti.
        Gli Stati Uniti entravano finalmente in guerra.
Gli
        Stati Uniti sono un paese che, in poco più di duecento anni di storia
        ufficiale, ha compiuto un uguale numero di guerre e interventi armati
        all’estero, un fenomeno mai documentato prima nella Storia.
        Ha provocato centinaia di milioni di morti
Gli
        indiani furono sterminati (circa cinque milioni); i neri furono non solo
        schiavizzati, ma trattati come animali. In conseguenza dello schiavismo
        americano furono sterminati in Africa circa 40 milioni di individui.
        Con i bombardamenti di civili durante la Seconda Guerra Mondiale
        uccisero tre milioni di persone, in Europa e Giappone. Provocarono poi
        la morte di un milione di prigionieri di guerra tedeschi, su un totale
        di tre milioni. Sempre con i bombardamenti sterminarono quattro milioni
        di persone in Corea e probabilmente sei milioni di persone in Vietnam,
        Laos e Cambogia. 
        Il totale di queste vittime, come si è detto in precedenza, è da
        valutare intorno ai 30 milioni.
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        Tratto da “Gli
        ebrei e la vita economica” di Werner Sombart*, vol. I, 1911
Gli
        ebrei hanno preso parte molto attiva alla fondazione di tutte le
        colonie. 
        Questo è normalissimo, dato che il Nuovo Mondo offriva loro maggiori
        prospettive di felicità che non la vecchia e tetra Europa.
        Si trovano impegnati in tutti i tipi di operazioni nei possedimenti
        olandesi dell’Oriente. Una parte considerevole del capitale azionario
        della Compagnia Olandese delle
        Indie Orientali era in mano agli ebrei e li ritroviamo anche fra i
        direttori della Compagnia delle
        Indie Orientali.
        Da un capo all’altro l’America si rivela un paese ebraico.
Risultano
        coinvolti in maniera straordinaria intima nella scoperta dell’America:
        si direbbe che il Nuovo Mondo sia stato scoperto unicamente in loro
        onore, con la loro assistenza, che i Colombo siano stati semplicemente
        gli incaricati d’affari di Israele.
        Il denaro ebraico rese possibile le prime due spedizioni di Colombo. Il
        primo grazie alle sovvenzioni fornite dal consigliere reale Luois de
        Santangel, il vero protettore della spedizione di Colombo.
        Molti ebrei sono imbarcati sulla nave di Colombo e il primo europeo i
        cui piedi toccano il suolo americano è un ebreo: Luis de Torres.
        “Ma lo stesso Colombo (il
        cui vero nome sarebbe Cristobal Colon)
        è stato di recente rivendicato dagli ebrei come uno di loro”
Non
        appena le porte del Nuovo Mondo si dischiusero agli europei, gli ebrei
        vi si precipitarono in massa. Non a caso, la scoperta dell’America
        ebbe luogo lo stesso anno in cui gli ebrei vennero espulsi dalla Spagna!
        I primi mercanti sono ebrei e i primi stabilimenti industriali nelle
        colonie americane sono stati fondati da loro. 
        Nella prima metà del XVII secolo tutte le grandi piantagioni di
        zucchero sono nella mani di ebrei e difficilmente possiamo avere idea
        dell’enorme importanza che allora assumeva l’industria e il
        commercio dello zucchero.
Il
        presidente Roosevelt parlando dei servigi resi dagli ebrei agli Stati
        Uniti: “Gli ebrei hanno concorso
        ad edificare il paese” e l’ex presidente Grover Cleveland
        affermava: “Tra le nazionalità di cui si compone il popolo americano poche ve ne
        sono - ammesso che ve ne siano - che abbiamo esercitato maggiore
        influenza, diretta o indiretta, sulla formazione dell’americanismo
        moderno”[1]
Gli
        ebrei assistono allo svegliarsi dello spirito capitalistico sulle rive
        dell’Oceano Atlantico, nelle foreste e nelle steppe del Nuovo
        Continente. Il 1655 viene considerato l’anno del loro arrivo: una nave
        carica di ebrei provenienti dal Brasile giunge nella baia di Hudson e
        chiedono di essere ammessi alla Compagnia Olandese delle Indie
        Occidentali. 
        Durante
        il XVII e XVII secolo il “commercio ebraico era la fonte che
        permetteva all’economia nazionale delle colonie americane di vivere.
        Dato che l’Inghilterra obbligava le sue colonie ad acquistare nella
        madrepatria i prodotti manufatti , la bilancia commerciale delle colonie
        si chiudeva sempre in negativo. Se non avessero ricevuto dall’estero
        un afflusso continuo di metallo prezioso, vi sarebbe stato il
        deperimento dell’economia. Era appunto il commercio ebraico a far
        affluire dall’America Centra e del Sud alle colonie inglesi del Nord.
Durante
        l’intera fase di formazione degli Stati Uniti l’immigrazione degli
        ebrei è stata intensa e ininterrotta.
        L’influenza dell’alta finanza giudaico-olandese supera i confini del
        paese, poiché durante il XVII e il XVIII secolo l’Olanda rimane il
        serbatoio che alimenta le casse di tutti i sovrani europei a corto di
        denaro.
*
        Werner Sombart (1863-1941) economista e sociologo tedesco, docente
        all’Università di Berlino che all’epoca era una delle più
        prestigiose del mondo 
[1]
            “The 250 anniversary of the Settlement of the Jew in the USA”,
            1905, p.18