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Inchiesta «Mostro di Firenze»
Gabriella Pasquali Carlizzi  
27 maggio 2004 - esclusiva per Disinformazione.it

Su «L’Espresso» oggi in edicola (n.13, anno L, 1 aprile 2004), alla pagina 73, un titolo che è tutto un programma, «Connection mostruosa», e un sottotitolo che appare una elencazione di eventi "forzatamente" collegati: «La misteriosa morte di un medico. La sua vita cancellata. Cadaveri scambiati. Dalle indagini di Perugia inquietanti ipotesi sui delitti toscani».
La prima cosa che mi viene spontaneo chiedermi, è perché il collega autore dell'articolo non abbia contattato la sottoscritta, che se non altro nella veste di testimone-chiave, avrebbe potuto fornire notizie più precise e capaci di vanificare il concetto di «mostruosità» ingiustamente addebitato a coloro che sostengono l'esistenza di una connessione tra la vicenda relativa alla morte del medico perugino Francesco Narducci e i cosiddetti delitti toscani. 0 c'è dei mostruoso nel definire collegamenti conseguenti ad indagini giudiziarie, usando la parola «connection»? Che da qualche tempo l'ordine di scuderia sembri essere quello di creare confusione, non vi è dubbio almeno questa è l'impressione che gli attenti lettori interessati al caso in questione, ne hanno ricavato, specie se si osserva il «passaggio di consegne» dell'argomento da un gruppo editoriale a quello della concorrenza. Ciò non esonera però chi scrive, chiunque esso sia, dal riferire correttamente i fatti controllando anche le virgole, che come tutti sanno possono addirittura stravolgere il senso della verità. 
Ora, tornando all'articolo In questione, mi si consenta di osservare che un lettore «estraneo» ai fatti, ne ricaverebbe piuttosto confusione e sfiducia nel buon fine dell'inchiesta, anziché un sereno interesse verso una vicenda pur tanto dolorosa nella storia di questo nostro Paese. A meno che non sia proprio questo l'intento da raggiungere, onde canalizzare il percorso giudiziario, senza se e senza ma, verso il più sereno sbocco del Mar dei Misteri Italiani, il soggiorno più gradito dagli affossatori delle verità di Stato.

Il mio tono, scusatemi, non vuole certo innescare polemiche, ma allo stesso tempo è dimostrativo che i testimoni leggono anche «L'Espresso», e che i testimoni possono contribuire con le proprie responsabili dichiarazioni a correggere eventuali errori di stampa e soprattutto a mettere in guardia chi ingenuamente prende per ora colato il condensato di trentasei anni di inchiesta, così come ospitato in due pagine di sia pur nobile carta patinata. 
Passo a chiarire alcune circostanze. 
Anche se può apparire strano, effettivamente da quando dal 1995 si è dovuta prendere in considerazione una nuova «lettura» dei caso giudiziario cosiddetto «Mostro di Firenze», risalendo ad una vera e propria organizzazione criminale, Internazionalmente ramificata, le indagini si sono imbattute in personaggi di provenienza diversa da quella propriamente fiorentina, con ruoli ben distinti, così come si ipotizza avere avuto anche Francesco Narducci. Per quanto relativo alla mia testimonianza, tali ipotesi non sono certo scaturite da vani ricordi di chi guardando una foto sbiadita sembra riconoscere qualche somiglianza, né credo che la Magistratura inquirente sarebbe ricorsa alla riesumazione di un cadavere dopo ben diciotto anni, se non si fossero poste le condizioni formali a sostegno di un atto istruttorio più che dovuto. Come è noto, fui proprio io a riferire in corso di interrogatorio circa l'aver appreso che Francesco Narducci era stato «suicidato», e che il cadavere ripescato nel Trasimeno, poteva appartenere a diversa identità. All'epoca di tale mia testimonianza, il dottor Mignini, Magistrato titolare dell'inchiesta perugina, era in possesso di una intercettazione telefonica in ordine ad altra indagine relativa ad attività di usura, intercettazione dalla quale era emerso un chiaro riferimento non solo alla morte procurata a Francesco Narducci ma forse anche alla morte procurata ad altra persona, già nota alle cronache come «Mostro di Firenze». E di qui il sospetto, tutt'altro che mostruoso, di eventuali collegamenti con i delitti toscani. A questo punto le indagini presero una direzione tale da esigere che anche le due relative inchieste si collegassero tra di loro, anche se, i nuovi fatti emersi a Perugia avrebbero potuto portare le precedenti tesi o anche sentenze fiorentine ad una revisione. Già perché nel frattempo c'era stata la condanna definitiva a carico dei cosiddetti «compagni di merenda», tra i quali Pacciani, improvvisamente morto nel 1998, poco prima dell'inizio del processo che lo richiamava in causa, e nel cui dibattimento il contadino di Mercatale aveva assicurato alla sottoscritta di svelare i nomi dei veri «mostri», unico modo per difendersI da un'accusa in concorso con altri, evidentemente esclusi dalle trattative che portarono alla assoluzione di Pacciani da ben quattordici ergastoli in meno di un'ora di camera di consiglio! Ma torniamo a Francesco Narducci. Effettivamente, già prima della sua scomparsa, giravano negli esclusivi salotti perugini voci piuttosto inquietanti, voci forse alimentate dagli sfoghi accorati di chi magari cercando qua e là un qualche indizio capace di motivare un comportamento anomalo del medico ebbe a trovarsi di fronte ad una realtà a dir poco sconcertante. 
Quanto alla asserita corrispondenza delle date dei delitti toscani con le assenze da Perugia di Francesco Narducci, ad onor del vero, fu proprio un accertamento espletato dall'allora Procuratore dottor Piero Luigi Vigna ad escludere eventuali corresponsabilità dei medico perugino, avendo rilevato che in occasione di due delitti costui si trovava all'estero in America. Vi è poi da dire che anche Pacciani aveva fatto alcuni riferimenti ad un medico di Perugia, indicandolo però nella specializzazione di «ginecologo», mentre come tutti sanno Francesco Narducci era un gastroenterologo, ed è assai difficile attribuire proprio a Pacciani uni errore tanto grossolano da scambiare uno stomaco con la parte femminile da lui più ambita! Tra l'altro, se si sostiene che Pacciani è stato ucciso perché «sapeva», non ci si può dimenticare che nel febbraio dei 1996, la stampa nazionale, tra cui «Il Messaggero», pubblicò un memoriale dei contadino che con dovizia di particolari indicava il vero mostro, il luogo di residenza, Roma, la professione, il grado di cultura, l'altezza, i tempi liberi, l'appartenenza ad apparati riservati, insomma un vero e proprio identikit, non riconducibile a Francesco Narducci: a chi si riferiva allora Pacciani?

Certamente a qualcuno ancor oggi vivo, dato quanto continua a rendere difficile il sereno svolgimento dell'inchiesta. Quanto poi alla giusta osservazione circa l'interruzione di quei duplici delitti coincidente con la scomparsa di Narducci, ciò non deve indurre a identificare in costui il «mostro di Firenze», poiché l'organizzazione è ancora operante, ricorrendo a rituali che si diversificano a seconda del movente. Come pure, le dichiarate frequentazioni tra il Narducci e altri attualmente indagati e, all'epoca forse visti insieme secondo ricordi che riaffiorano nella memoria di qualcuno in quei di San Casciano, appare questa una tesi che seppure oggi suggestiva, pronta a cadere in un'aula dibattimentale. Narducci invece poteva a buon diritto frequentare il paese dove l'azienda di suo suocero svolgeva la propria attività di produzione di «merendine», e si sa da quelle parti le «merende» accomunano interessi di vario genere...
Ma allora, come andarono le cose? E' legittima la domanda, e doverosa la risposta.
Esistono soggetti, di elevato livello culturale ma vittime di devianze che inibiscono la normalità delle naturali e fisiologiche espressioni di vita. Spesso la medicina tradizionale non è in grado di fornire risposte adeguate ed efficienti, e pertanto l'alternativa per costoro è il percorso esoterico, ben più costoso ma vincolante ad una speranza reiterata nel tempo, e capace di intessere ricatti trasversali come nel caso in questione. E Pacciani, che c'entrava? Pacciani, come disse l'avvocato Fioravanti: «non era lui ad uccidere». E allora, che faceva? Quello che ha sempre fatto il guardone, e anche il «guardiano» di quei tanti segreti che qualcuno minaccia di svelare nel prossimo libro, forse giustificativo di entrate straordinarie. L'Autore chi sarà? Domanda ininfluente e superflua: ancora una volta il morto che parla, appunto Pacciani.

Come dicevo, l'esoterismo sostiene la possibilità di alcune guarigioni mediante rituali che contemplano il «sacrificio umano» in quanto per il cerimoniale il «sacerdote» o la «sacerdotessa» consacrano come «ostia» li feticcio da asportare alla vittima. Nei delitti toscani il sacrificio fu di coppie in applicazione di un insegnamento esoterico codificato dall'esoterista «Erim», nobile fiorentino, tale Alberti di Catenaia.
Dei duplici delitti solo quattro videro l'asportazione del feticcio, corrispondenti due a due alla domanda di due committenti o di uno solo affetto da due diverse patologie. Più precisamente, una patologia era riconducibile al rapporto con la donna, un'altra patologia al rapporto con la madre. Per ogni guarigione sono necessari due feticci, uno di inizio terapia, uno di fine terapia. E dunque per due volte fu asportato il pube, e per altre due volte furono asportati insieme il pube e il seno. Come si dimostra che i delitti con l'asportazione del medesimo feticcio sono collegati tra di loro e si riferiscono ad un'unica domanda di guarigione? Qui si deve accedere al mondo criptico del codici segreti di cui dispongono appunto organizzazioni esoteriche di altissimo livello, codici utilizzati normalmente per dialogare tra di loro servendosi dei mass‑media, sotto gli occhi di tutti. Anche nei delitti in questione, la sottoscritta ha recuperato il codice scientifico, un dato incontestabile e provabile a tutti coloro che lo richiederanno fin d'ora. Dunque le connessioni definite mostruose forse sarebbe meglio considerarle inquietanti sulla base soprattutto di quelle tante complicità che si presume abbiano coinvolto pezzi dello Stato.

Vi sembra possibile, che per «coprire» una verità scomoda di una famiglia, potente quanto si vuole, ma pur sempre composta da privati cittadini, sia pure appartenenti alla Massoneria, vi sembra possibile che tante figure istituzionali abbiano posto a rischio la propria immagine, infranto leggi, occultato prove, il tutto in una intesa più veloce della luce, lo spazio che non bastò nemmeno alla vedova dei medico perugino, che trovò il cadavere già chiuso nella bara? Oppure, quel cadavere, ripescato nel 1985 nel Trasimeno, non solo non apparteneva a Narducci ma fu inaspettatamente riconosciuto in qualcuno dato per morto anni prima, con il benestare di rappresentanti dello Stato, e altri rappresentanti di quello stesso Stato furono di fatto d'accordo a tacere? A chi, fuori dal contesto familiare, fece comodo attribuire a Francesco Narducci, il corpo di un altro? E quest'altro che ruolo aveva avuto per lo Stato? Fu ucciso nel 1985, perché si era diffusa la notizia che era vivo, e stava bene, e scriveva pure alla fidanzata, reclusa in un carcere di massima sicurezza? Forse è questo il motivo che rende tanto scomoda l'inchiesta perugina? A proposito, chissà perché all'improvviso è stata negata la «Grazia» ad Adriano Sofri? Connection mostruose? Può darsi, ma ancora più mostruosa sarebbe a questo punto l'assenza di domande, alle quali sono pronta a rispondere responsabilmente.

Gabriella Pasquali Carlizzi

 
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