L’intervento americano e il boom del papavero
Di Giorgio Pietrostefani – «FuoriLuogo» supplemento del 26 settembre 2003  

L’Afghanistan è tornato a essere il primo produttore mondiale di oppio illecito. Nel 2002 le coltivazioni di papavero hanno coperto con 30.750 ettari, contro i 1685 ettari coltivati prima della cacciata dei Talebani da Kabul.
Il presidente Karzai, il 17 gennaio 2002, proibisce la coltivazione, il traffico e l’uso di oppio nel paese. L’iniziativa è presentata dalla Cnn e dai media americani con grande rilievo. In realtà, Hamid Karzai ripropone il bando già lanciato dai Talebani nel 2000. La coltivazione del papavero è, infatti, ripresa nel sud-est e nell’est del paese, subito dopo l’inizio dei bombardamenti americani. Con la scomparsa dei Talebani sono rientrati nelle regioni del papavero i coltivatori emigrati e hanno ripreso la loro attività.
In un articolo pubblicato il 1 aprile 2002, il «New York Times» lancia l’allarme affermando che il raccolto di quell’anno avrebbe inondato il mondo di eroina a basso prezzo. Lo zar della droga di George William Bush, John Walters, dichiara proprio in quei giorni che «non esistono in quel momento importanti centri di produzione nel paese». In realtà gli Stati Uniti non hanno intenzione di fermare il narcotraffico in Afghanistan, poiché ciò danneggia i signori della guerra. Gli americani e i loro alleati non intendono far crescere l’opposizione contro la loro presenza nel paese. I Talebani possono bastare.
La campagna di radicazione delle colture inizia l’8 aprile 2002 nelle province di Helmand and Nagarhar Provinces. Il governo di Kabul offre dollari per impedire la raccolta, troppo pochi perché i coltivatori possano accettare. Già il 7 aprile, alcuni coltivatori aprono il fuoco su una delegazione governativa nella provincia di Nangarhar: alcune persone restano uccise. Il giorno dopo, con l’inizio della distruzione delle piantagioni, gli scontri tra forze dell’ordine e coltivatori provocano la morte di sedici persone.
Col passare delle settimane cominciano a pervenire segnalazioni di raffinerie di oppio in attività. Ce ne sono sulle colline a sud-est di Jalalabad, a ridosso della frontiera pakistana, nel distretto di Acheen e in quello di Adal Khel nella provincia di Nangahar. Producono da 70 a 100 chilogrammi di eroina al giorno. Nel distretto di Ghani Khel, l’eroina e i precursori chimici necessari alla raffinazione sono in vendita liberamente nei mercati locali. I prezzi variano da 500 sterline inglesi per un chilo di eroina brown da fumo, a più di 1500 per eroina altamente raffinata da iniettare, quella stessa acquistabile in Gran Bretagna a non meno di 50.000 sterline. I prezzi, a metà del 2002, si mantengono bassi, per l’esistenza d’importanti scorte di oppio. Gli stock esistenti sarebbero sufficienti a rifornire il mercato per almeno dodici mesi.
In agosto, gli esperti dell’Onu denunciano il fallimento del governo Garzai nei suoi sforzi di distruggere le coltivazioni della produzione. Dopo l’estate comincia una sorta di rincorsa sulle previsioni della produzione. Secondo un rapporto del 26 settembre 2002, elaborato dall’organizzazione britannica Drugstore, la previsione oscilla tra le 1900 e le 2700 tonnellate contro le 185 tonnellate del 2001. Drugstore insiste sulla necessità di ricostruire le infrastrutture del paese e istituire dei dispositivi per spingere i contadini verso altre colture remunerative.
Il 17 ottobre 2002, nel corso di una conferenza a Kabul, il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Afghanistan, Lakhdar Brahimi prevede circa 2500 tonnellate e afferma che i 500 dollari per acro offerti dal governo afgano per un programma di sradicazione nazionale, non bilanciano i 6400 dollari per acro di guadagno sul raccolto di papavero: un rendimento dell’investimento 38 volte maggiore di quello del grano.
Il 25 ottobre 2002, a Roma, Antonio Maria Costa, successore di Pino Arlacchi alla direzione dell’Undcp, presentando l’Afghanistan Opium Survey 2002, comunica che le stime della produzione dell’oppio per il 2002 portano a una cifra pari le 3400 tonnellate, appena il «25% inferiore alla produzione record del 1999 (…) concentrata in appena cinque delle 32 province dell’Afghanistan». Costa precisa che «queste cifre non sono la manifestazione di un fallimento delle autorità afgane o degli sforzi del controllo droga internazionale. Possono essere soltanto interpretati nel contesto della realtà del paese nell’ultimo anno: la coltivazione ha avuto luogo durante il collasso totale della legge e dell’ordine nell’autunno 2001, molto prima che il nuovo governo di Hamid Karzai fosse in carica, e prima che lo sforzo coordinato delle Nazioni unite di ricostruire il paese devastato da due decenni di conflitto fosse ancora iniziato»
Tornano alla mente le parole di Tony Blair in uno sei suoi discorsi per preparare l’opinione pubblica inglese alla guerra in Afghanistan: «Le armi che i Talebani stanno comprando oggi sono pagate con le vite dei giovani britannici che comprano le loro droghe nelle strade della Gran Bretagna. Questo è un altro aspetto del loro regime che noi dobbiamo cercare di distruggere»
I Talebani avevano pressoché abolita la produzione dell’oppio. Certi analisti hanno avanzato l’ipotesi che la riduzione delle coltivazioni fosse compensata finanziariamente dalle mafie pakistane e dell’Asia Centrale che, grazie agli stock accumulati nel corso dei raccolti degli anni precedenti, rischiavano un crollo dei prezzi dell’eroina sui mercati internazionali. Un rapporto reso il 25 maggio 2001 da esperti dell’Onu al Consiglio di Sicurezza, accusava i Talebani di avere costituito enormi stock di oppio, ma Kofi Annan dichiarava in seguito di non avere prove concrete su tale affermazione. E’ vero che, dopo il crollo della produzione, il prezzo dell’oppio schizzava da 30 a 350 dollari al chilo.
Resta il fatto che durante la stagione 2001 sono stati coltivati in Afghanistan 7606 ettari di papavero da oppio, contro gli 82172 ettari del 2002. La sostanziale eliminazione della coltivazione del papavero realizzata nel 2001 sai Talebani non è mai stata negata dalle autorità internazionali. Nell’Undcp Annual Opium Poppy Survey for 2001, il rapporto annuale dell’Onu pubblicato nell’ottobre di quell’anno, si legge che la produzione di oppio è crollata di colpo del 94% da 3276 tonnellate a 185. Questa produzione residua proviene dal Badakshan, regione controllata dai mujaheddin dell’Alleanza del Nord, cioè dai nemici dei Talebani più legati agli americani e ai loro alleati.
Nel corso dei trent’anni in cui l’Afghanistan è stato ai vertici dell’esportazione mondiale dell’oppio e dei suoi derivati, non si è mai assistito a un crollo simile della produzione. Ciò è avvenuto nel momento in cui il regime talebano è arrivato, controllando il 90% del territorio afgano, a pacificare sostanzialmente il paese, mezzi utilizzati a parte. L’attacco degli americani e dei loro alleati ha reso impossibile verificare la strategia dei Talebani sulla droga sia stato un ripiegamento tattico momentaneo o una scelta coerente con le loro convinzioni religiose. Un dubbio che non sarà mai chiarito!

 
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