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26
minuti prima della strage di Oslo
Scritto da Pino Cabras Domenica 28 Agosto 2011
di
Pino Cabras – Megachip.
Anche
a Oslo l’esercitazione antiterrorismo c’era, eccome se
c’era: il più importante quotidiano norvegese, «Aftenposten», il 26
agosto 2011 ha pubblicato nella sua versione on line un articolo
inquietante. Un reportage di Andreas Ground Foss conferma infatti che
anche per la strage del 22 luglio 2011 si è avuto lo stesso pazzesco
scenario di coincidenze presentatosi in occasione dell’11 settembre
2001 (in USA) e del 7 luglio 2005 (a Londra), così come in altre
occasioni di rilevanti attentati terroristici. In tutti questi casi la
scena del crimine ha letteralmente ricalcato simulazioni in corso degli
apparati di sicurezza.
Il
caso di Oslo in
un primo momento si era prestato a un equivoco a causa di un
altro articolo dello stesso «Aftenposten» che raccontava
un’esercitazione del 2010, ma con la data apparente del 22 luglio
2011. Molti erano caduti nell’errore, compreso chi scrive. Mi
sono scusato con i lettori di quella svista che avevo il
dovere di rettificare, spiegando che avevano contribuito all’errore
certi schemi interpretativi della cronaca che – visti i precedenti –
mi avevano spinto subito, a caldo, a cercare se per caso anche a Oslo
non vi fossero stati dei “war games” che si intersecavano con gli
eventi reali. Ebbene, l’interrogativo sull’eventuale ruolo delle
esercitazioni, dopo il nuovo articolo di «Aftenposten», ridiventa
immediatamente una questione cruciale per il corso delle indagini
sull’orribile massacro di Oslo, e riacquista una bruciante attualità.
Ho tradotto integralmente l’articolo, e consiglio di leggerlo qui di
seguito. Alla fine cercheremo di trarre qualche momentanea conclusione.
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C’era un’esercitazione sullo stesso scenario
di Utøya del 22 luglio
di Andreas
Ground Foss - «Aftenposten»
Solo
poche ore prima che Anders Behring Breivik iniziasse a sparare sui
ragazzi di Utøya le squadre di emergenza della polizia avevano concluso
un’esercitazione in cui avevano sperimentato una situazione quasi
identica.
Fin
da quattro giorni prima e nello stesso venerdì in cui l’attentato fu
perpetrato, unità speciali della polizia si sono esercitate in
un’operazione terroristica in corso che era quasi uguale alla
situazione che poche ore dopo gli ufficiali della squadra di emergenza
della polizia avrebbero affrontato nell’isola di Utøya.
«Aftenposten» ha ricevuto una conferma da fonti certe presso i
funzionari della polizia di Oslo che l’esercitazione si è conclusa
alle 15 di quello stesso venerdì.
Tutti
gli agenti delle squadre di emergenza che sono intervenuti nel quartiere
degli edifici governativi dopo l’autobomba e che più tardi sbarcarono
a Utøya per arrestare Anders Behring Breivik, avevano partecipato poco
prima in quella stessa giornata - nonché nei giorni precedenti – a un
addestramento basato su uno scenario similissimo.
Così
alla polizia non è restato che sospendere a quel punto
l’esercitazione per addestrarsi direttamente nella realtà.
In base a quanto appreso da «Aftenposten», l’esercitazione si
rifaceva direttamente a quanto aveva affrontato la polizia nel lago di
Tyrifjorden lo stesso giorno: un attacco terrorista mobile nel quale
l’unico obiettivo di uno o più esecutori consisteva nello sparare a
quanta più gente possibile e poi nel fare fuoco sui poliziotti al loro
arrivo.
«Era assai simile allo schema. Così ha voluto il caso», dichiara una
fonte attendibile della polizia, che ha chiesto l’anonimato.
Massacro
Lo
scenario dell’esercitazione della polizia non prevedeva così tante
vittime come quello verificatosi a Utøya.
Le unità speciali della polizia si addestrano in continuazione. Ma ogni
tre mesi i “moduli” su cui si esercitano vanno su tipi di scenario
diversi.
Ci sono diversi scenari che la polizia presume possano accadere e nei
quali le squadre di emergenza dovranno inserirsi. Possono essere azioni
in luoghi chiusi, nelle città o in altre ambientazioni.
Secondo la polizia, questo era uno scenario su cui si sono addestrati più
volte all’anno e per vari anni, soprattutto dopo alcuni eventi
accaduti in altri paesi.
26
minuti
Appena
26 minuti dopo che l’esercitazione rivolta alle squadre di emergenza
si era conclusa, è esplosa l’autobomba nel quartiere dei palazzi
governativi. Le squadre di emergenza furono mobilitate prontamente.
Alle ore 17,30 il personale della polizia di Oslo ebbe notizia del fatto
che a Utøya era in corso una sparatoria. Fu data così tanta importanza
al messaggio che le squadre d’emergenza presero non solo le auto che
già avevano a disposizione presso i loro uffici, ma anche le macchine
che arrivavano dalla stazione di polizia di Grønland a Oslo.
Lungo il cammino, tentarono di mettersi in contatto con il distretto di
polizia di Nordre Buskerud, finché alle 18,02, sei minuti prima di
arrivare, presero contatto e concordarono d’incontrarsi a Storøya.
C’erano sette persone delle squadre di emergenza e tre agenti del
distretto di polizia di Nordre Buskerud in un unico gommone lungo 4,9
metri. Era così appesantito che iniziava a imbarcare acqua. La polizia
era assistita da un’imbarcazione civile e si diresse a Utøya.
FONTE:
http://www.aftenposten.no/nyheter/iriks/article4208952.ece.
****
Ecco,
dopo la lettura dell’articolo norvegese, è inevitabile che mi venga
in mente un altro caso, quello di Londra. Gli attentati di Londra del 7
luglio 2005 hanno coinciso, per tempi e luoghi, con lo svolgimento di
un’esercitazione anti-terroristica organizzata dall’impresa Visor
Consultants. In base alla clamorosa testimonianza del direttore
dell’azienda, Peter Power - registrata dal canale televisivo ITN - in
corso d’opera i responsabili hanno constatato nella sala comandi che
il loro scenario si realizzava ‘per davvero’ davanti ai loro occhi.
Cosa disse lo stesso Peter Power?
Vale la pena leggere la trascrizione dell’intervista:
Power: Alle 9:30 stamani eravamo infatti in piena
esercitazione, per una società che conta più di mille persone a
Londra, un’esercitazione basata su delle bombe sincronizzate e
pronte a esplodere esattamente in quelle stesse stazioni della
metropolitana dov’è accaduto stamattina. Mi si rizzano ancora i
capelli in testa.
ITN: Per esser più chiari, avevate organizzato un esercitazione per sapere come
gestire tutto ciò ed è capitato mentre conducevate tale esercitazione?
Power: Esatto, erano circa le 9:30 stamani. Avevamo pianificato questa
esercitazione per una società, per evidenti ragioni non vi dirò il suo
nome, ma sono davanti alla TV e lo sanno. Eravamo in una sala piena di
gestori della crisi che si incontravano per la prima volta. In cinque
minuti abbiamo realizzato che quel che succedeva era vero e abbiamo
attivato le procedure di gestione della crisi in modo da passare dalla
riflessione lenta alla riflessione rapida, e così via.
****
Di
recente Miguel Martinez ha scritto sul suo blog un
bell’articolo sul caso norvegese, che - oltre a spiegare in
modo mirabile il côté “fallaciano” dello stragista nordico
- consigliava implicitamente una prudenza estrema prima di ipotizzare
scenari analoghi alla strategia della tensione e allo stragismo
italiano. Suggeriva in particolare di semplificare la scena anche nel
caso Breivik, applicando il famoso “rasoio di Occam”. In pratica un
complotto per ragioni geopolitiche ai danni del governo norvegese
avrebbe potuto realizzarsi meglio con altri mezzi e non con l’azione
scellerata di Breivik, che al contrario ha compattato il popolo intorno
ai governanti attuali e intanto fa sì che l’attentatore possa
rimanere a lungo esposto al torchio delle autorità. Il rischio per gli
ipotetici mandanti sarebbe troppo alto. Ergo è improbabile che ci siano
mandanti.
Il
consiglio è buono. Ma dissento su un punto: il “rasoio di Occam”.
Occam era un filosofo medievale, e nel suo latino diceva: «entia non
sunt multiplicanda praeter necessitatem». Ossia «gli elementi non
sono da moltiplicare più del necessario». Usando una sensibilità del
XXI secolo il concetto può suonare così: «a parità di fattori, la
spiegazione più semplice tende ad essere quella esatta».
Il punto è questo, Occam diventa estremamente inadatto quando si tratta
di valutare il terrorismo di questo secolo. Nella scacchiera delle mosse
terroristiche gli elementi si moltiplicano, e si complicano oltre ogni
necessità normalmente misurata dall’uomo della strada o perfino dalle
redazioni degli organi di stampa.
In quasi tutte le vicende terroristiche rilevanti degli ultimi decenni
ci sono interferenze di strategie di apparati d’intelligence in grado
di sopportare dei prezzi per ottenere risultati strategici. E in molti
casi le azioni dei terroristi non si riassumono in rapporti fra mandanti
ed esecutori, ma in relazioni molto più complicate e soggette a
intermediazioni in grado di mascherare i padroni del gioco. È uno degli
strumenti di lavoro preferiti da chi organizza operazioni coperte. Si
chiama “plausible deniability”, ossia la possibilità di negare
plausibilmente qualsiasi legame con un atto o con delle persone legate a
quell’atto.
Sulla
funzionalità delle esercitazioni nei casi di attentato rimando a questo
articolo: Il
caso di Tripod II e altri giochi di guerra dell’11/9.
Un estratto potete anche leggerlo come appendice del presente articolo.
Oslo
è decisamente un caso ancora aperto.
_________________________________________
Appendice:
Estratto
da P. Cabras, Il
caso di Tripod II e altri giochi di guerra dell’11/9,
10 settembre 2009.
Il
vantaggio di una tale strategia appare del tutto comprensibile e
plausibile, volendo iniziare su basi diverse dal passato una vera
inchiesta.
In primo luogo dobbiamo ritenere che militari, funzionari governativi o
membri dei servizi d’intelligence che avessero in mente azioni
eversive non potrebbero organizzare degli attentati senza farsi
scoprire. Da qui la prima funzione di un’esercitazione: essa offre
agli organizzatori la copertura idonea a mettere in moto l’operazione,
permette loro di utilizzare i funzionari e le strutture governative per
realizzarla e fornisce una risposta soddisfacente ad ogni domanda che
dovesse sorgere su stranezze e movimenti insoliti. Perché possa
funzionare, è chiaramente necessario che lo scenario
dell’esercitazione sia a ridosso dell’attentato progettato.
In
secondo luogo, se prevista nella data dell’attentato,
l’esercitazione permette di schierare legittimamente degli uomini sul
terreno, uomini che indossano l’uniforme dei servizi di sicurezza o di
soccorso. Piazzare fra questi coloro che sistemano delle bombe o
coordinano dei movimenti è relativamente facile, senza che sorgano
sospetti.
In terzo luogo, lo svolgimento delle esercitazioni in simultanea con i
veri attentati permette di scompigliare la buona esecuzione delle
risposte da parte dei servizi di sicurezza o di soccorso leali per via
della confusione fra la realtà e la finzione. Le contraddizioni e le
scoperte di singoli spezzoni dei fatti non intaccano l’insieme. Anzi,
aiutano a truccare e rendere incomprensibile il mosaico. L’11
settembre – a un certo punto della mattinata – decine di aerei
furono segnalati come dirottati, e si rincorrevano voci di ulteriori
attentati. Dove dunque bisognava inviare le pattuglie, quali edifici
occorreva proteggere per primi? Si può immaginare il caos che tutto ciò
ha potuto sollevare nelle sale comando.
Le
operazioni di questa natura sono modulari, mirano a diversi obiettivi
compresenti e intercambiabili, altrettante strade a disposizione verso
il medesimo effetto, e sono percorse in simultanea, finché la regia,
ovunque si trovi, non sceglie una trama tra le diverse trame preordinate
che intanto avanzavano alla pari.
Le persone incaricate di eseguire soltanto certi segmenti
dell’operazione, obbediscono – spesso in perfetta buona fede - a
ordini di personalità a loro sovraordinate che a loro volta conoscono
solo un dettaglio, ma non l’intera pianificazione, né i suoi
obiettivi.
Sto
descrivendo meccanismi normalmente usati nelle azioni dei servizi
segreti, che si esasperano nei casi in cui operano le “leve lunghe”
e le operazioni coperte, fino a ingigantirsi in occasione di grandi
operazioni terroristiche usate come base politica per drammatiche svolte
costituzionali e per le guerre.