Perizie killer
Di Rita Pennaiola - «La Voce della Campania», ottobre 2003

Colpo di scena per due fra le più sofferte vicende giudiziarie degli ultimi anni. Il Csm apre un procedimento disciplinare per il giudice che ha mandato assolto l’agente di polizia accusato d’aver ucciso il diciassettenne Mario Castellano.
Intanto anche sul perito che si è occupato di Carlo Giuliani spuntano clamorose novità.

La notizia, arrivata negli ultimi giorni della calda estate 2003, circola per ora solo a mezza bocca, tra pochi intimi: giusto un anno dopo la clamorosa sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise d’appello di Napoli che mandò assolto Tommaso Leone, condannato in primo grado a dieci anni di reclusione per l’assassinio del diciassettenne Mario Castellano, a finire sotto accusa è oggi il presidente della Corte che decise l’assoluzione. Si tratta di Pietro Lignola, anziano ed esperto magistrato che ha affrontato recentemente, fra l’altro, casi scottanti come l’omicidio di don Peppino Diana e il delitto di Franco Imposimato, fratello del giudice di Cassazione ed ex parlamentare diessino Ferdinando Imposimato. Lignola dovrà rispondere davanti al Consiglio Superiore della Magistratura – che sulla vicenda gli ha notificato l’avvio di un provvedimento disciplinare – per non essersi astenuto nel processo all’agente di Polizia, pur essendosi ampiamente soffermato su quel caso di cronaca nella sua veste di opinionista del quotidiano Roma, vicino ad Alleanza Nazionale.

Una circostanza che, peraltro, non era sfuggita ai difensori della famiglia Castellano: nel corso del dibattimento d’appello avevano infatti presentato un’istanza di ricusazione del presidente, adducendo alcuni articoli comparsi sul quotidiano nei quali traspariva la netta impronta innocentista di Lignola nei confronti di Leone. La Corte d’Appello aveva respinto quella richiesta e il giudizio era andato avanti fino al verdetto di assoluzione. La stessa Corte presieduta da Lignola, peraltro, a ottobre 2001 aveva rimesso in libertà l’agente, arrestato all’indomani del delitto, decidendo che non sussistevano più le esigenze cautelari a suo carico. La sera del 20 luglio 2000 il giovane Mario, studente all’istituto Nautico di Bagnoli ed incensurato, non si era fermato all’alt della Polizia, che lo aveva fermato perché guidava il motorino senza indossare il casco. Un colpo partito dalla pistola di Tommaso Leone gli trapassò il polmone, uccidendolo sul colpo.
Durante il processi di primo grado i difensori della famiglia Castellano, Gaetano Montefusco e Sabastiano Fusco, avevano fatto riaprire il fascicolo esistente alla Procura di Bari e relativo ad un precedente conflitto a fuoco che aveva visto sotto accusa per un episodio analogo lo stesso agente Leone. Una vicenda rapidamente archiviata. Non così l’omicidio di Agnano, per il quale Leone viene giudicato col rito abbreviato e condannato dal gup Alfonso Barbarano a dieci anni di reclusione. Poi il giudizio d’appello davanti alla Corte presieduta da Lignola e l’assoluzione.
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Le strane verità dei periti
La storia, qualche volta, si ripete. E un procedimento analogo a quello avviato al Csm per il caso Castellano potrebbe aprirsi in margine al «processo senza processo» per l’assassinio di Carlo Giuliani in piazza Alimonia, durante il G8 di Genova. Mentre infatti la famiglia del giovane, dopo aver rinunciato al ricorso in Cassazione contro il provvedimento che ha scagionato il carabiniere Placanica, intraprende la strada del ricorso alla corte europea per i diritti dell’uomo, viene alla luce nelle ultime settimane un editoriale che Paolo Romanini, il perito balistico che firmò la perizia «assolutoria», aveva scritto un mese dopo i fatti di Genova, a settembre 2001, sulla rivista Tac Armi, di cui è direttore responsabile. Spingendosi ben oltre le argomentazioni pubblicate da Lignola sul Roma in merito alla vicenda Castellano, con perfetta mira Romanini centra il bersaglio: «Carlo Giuliani è stato ucciso da un suo coetaneo terrorizzato e ferito, mentre infieriva con inaudita violenza contro un mezzo dei carabinieri, cercando con tutto se stesso di arrecare danno e nocumento ai militari». Cinque mesi dopo riceverà l’incarico dal pm Silvio Franz di guidare la task force di periti per il caso Giuliani.

Pietro Lignola avrebbe dovuto, secondo l’ipotesi formulata dal Csm, astenersi. E Romanini? Se anche Franz aveva deciso di fidarsi ciecamente di lui, non avrebbe dovuto rinunciare a quell’incarico, dopo aver mandato in stampa una sua versione dei fatti così netta e schierata?
Perito ovunque dei principali casi giudiziari italiani (dal delitto Calabresi a Marta Russo, passando attraverso Michele Profeta e perfino il mostro di Firenze), Romanini è in qualche modo l’uomo che fa da trait d’union fra la vicenda Castellano e l’inchiesta sulla morte di Giuliani. Due storie speculari, dal momento che a sedere sul banco degli assassini sono, nel primo caso, la Polizia e, nel secondo, i Carabinieri.
Per Castellano Romanini viene nominato nel giudizio di primo grado. Dopo il lavoro svolto a Napoli compila un documento che sovverte la tesi della difesa di Leone: il colpo non sfuggì in maniera accidentale per una caduta, ma fu sparato volontariamente. La polizia finisce KO. A ribaltare quella perizia aveva provveduto, nel giudizio d’appello, il perito scelto dalla Corte di Lignola, l’architetto Pietro Margiotta, titolare nel napoletano di una piccola società dedita alle ristrutturazioni edilizie.

Nelle indagini per l’omicidio Giuliani Romanini viene chiamato a coordinare una rosa di periti già passati alla ribalta delle cronache: Nello Balossino, Pietro Benedetti e Carlo Torre.
Ma chi è davvero Romanini? E quale fondamento hanno le voci di tribunale che gli attribuiscono «un passato trascorso a farsi le ossa nel Cis di Parma (oggi Ris, ndr), prima di «mettersi in proprio» ed esercitare la libera professione? (…)
Qualche indizio. Paolo Romanini è fra i pochi italiani membri della Forensic Science Society, l’organismo britannico che gli ha rilasciato il diploma internazionale in Firearms Examination.
A convalidare il diploma della Forensic Science Society è l’università della Strathclyde, l’ateneo scozzese (ha sede a Glasgow) che risulta tra i soci dell’European Network of Forensis Science Institut. Fondatore italiano dell’Efsi è il Racis dei Carabinieri.

 
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