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Da Samarra al lato oscuro delle Olimpiadi Torino 2006
Marcello Pamio 22/02/2006

Iraq: mercoledì 22 febbraio 2006
Nella città di Samarra - capitale del mondo islamico fino all’IX secolo – poco prima delle ore 7 di mattina (ora locale) è esplosa la moschea AL-Askariya, uno dei più venerati mausolei sciiti dell’Iraq. Secondo fonti statunitensi la cupola - ricoperta da 62 lastre d’oro - sarebbe stata completamente distrutta!
Nella moschea erano custodite le reliquie dell’X e XI Imam: Ali Al-Hadi e suo figlio Hassan Al-Askari (detto “l’integerrimo”). Quest’ultimo è il padre del XII Imam, Mohammed al Mahdi, il cosiddetto “Imam nascosto”, il cui ritorno “a regnare fino alla fine dei tempi è molto atteso dai fedeli.

Moschea AL- Askariya Veduta satellitare della moschea

La dinamica dell’attentato non è chiara: secondo l’Agenzia stampa Adnkronos, alcuni testimoni avrebbero visto entrare un commando di uomini armati che avrebbero fatto saltare in aria tutto, mentre altri testimoni parlando addirittura di un missile lanciato contro la cupola![1] Chi ha ragione? Ma soprattutto chi ha interesse ad attaccare in questo preciso momento storico un luogo così importante e sacro per l’islam?
Forse qualche cellula di al-Qaeda che da dormiente si è improvvisamente svegliata presto stanotte e con un lanciarazzi ha distrutto tale simbolo per farla pagare agli sciiti? O è stato un gruppo di sunniti, l’acerrima fazione contrapposta? Oppure sono state le cosiddette “forze di ostacolo”, che non hanno partito, né bandierine politiche e nemmeno credo religiosi, ma il cui unico scopo è la destabilizzazione del medioriente (secondo il motto «divide et impera») e la fomentazione dello “scontro di civiltà”?

Staremo a vedere nelle prossime settimane cosa accadrà: se finirà tutto in qualche pianto e/o preghiera, o se invece, gli scontri scatenatisi (dopo 3 mesi) dalla pubblicazione ad hoc in Danimarca delle dodici vignette (veicolate da gruppi anti-islamici di estrema destra, strettamente collegati con i neoconservatori americani) si accentueranno a dismisura.
Tutti ci auguriamo che non accada nulla, ma basterebbe analizzare attentamente i fatti - liberando il cervello dai condizionamenti di telegiornali e di tutte quelle trasmissioni demenziali trasmesse dal tubo catodico che riempiono il “palinsesto mentale” - per comprendere quanto delicato e pericoloso sia il momento. Una per tutti, in Iran il 20 marzo dovrebbe aprire la borsa petrolifera regionale (che scambierà il petrolio in euro), e l’ex Persia con la scusante dell’atomica, viene deferita al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Queste cose ce le dicono?

No! Però in compenso sappiamo ogni particolare dell’immane tragedia accaduta alla caviglia di Totti, del trans del Grande Fratello, degli sguardi degli atleti dopo la caduta alle Olimpiadi, ecc.
A proposito di Olimpiadi - che tengono incollate agli schermi circa 4 miliardi di persone - volete sapere quanti soldi costeranno a noi contribuenti? E magari chi ci guadagna in tutto questo?
Prima però di rispondere, apro una piccola parentesi sugli sponsor, i famosi “Olympic Partners”, cioè gli sponsor ufficiali del CIO (Comitato Olimpico Internazionale). 
Naturalmente si tratta di marchi etici, imbevuti del più sano Spirito Olimpico.

Il primo Worldwide Partner della lista è la GE, Generale Electric®, uno dei più grossi contractor della difesa USA, fornisce armi, mine antiuomo, missili, elicotteri, aerei, ma anche tutto quello che può servire nelle missioni umanitarie. Non poteva mancare la Coca-Cola ® che a parte qualche problemuccio con i sindacati in Colombia e la lavorazione delle foglie di coca, fornisce ottime e dietetiche bibite. L’arco d’orato della Mc Donald’s® riempie i cuori e lo stomaco di tutti i veri atleti, anche se, pure la multinazionale non ha ottimi rapporti con i sindacati e con i dipendenti. La Eastman Kodak invece può vantarsi di apparire nella lista delle 150 industrie che hanno contribuito ai programmi militari iracheni durante il regime di Saddam Hussein.
Vediamo adesso gli Sponsor Principali, cioè coloro che in qualche maniera hanno avuto degli irrisori benefici economici da tutta la manifestazione sportiva, essi sono: Fiat, San Paolo-IMI, Telecom e Tim.

La San Paolo IMI si è aggiudicata assieme ad altre due banche l’appalto per l’erogazione del finanziamento con un limite di impegno quinquennale di 800 milioni di euro. La banca è ai primi posti tra le banche italiane nelle transazioni finanziarie relative alle esportazioni di armi (2004 transazioni per 366 milioni di dollari).[2]
Il gruppo Fiat della famiglia Agnelli, ha avuto numero vantaggi: Fiat engineering ha ottenuto una parte dei lavori nel Palavela di Torino, gli impianti di Sestriere Spa hanno ospitato le gare di scii. Non è un caso, visto che fu l’avvocato in persona a volere le Olimpiadi a casa sua, qualche anno fa.
La Telecom secondo voci non confermate sta lavorando ad una sorte di Echelon (Grande Fratello, quello vero però!). Tralasciamo la voragine finanziaria…

Tra gli Sponsor Ufficiali figurano marchi come Iveco e Finmeccanica ecc.
La Fiat/Iveco esporta armi in diversi paesi (220 milioni di euro nel 2002), e ultimamente è stata coinvolta nella produzione di veicoli usati come camere di esecuzione in Cina.
La Finmeccanica è il principale gruppo italiano nel settore degli armamenti

Uno Spirito Olimpico veramente esplosivo!
Per non parlare del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) che tra i membri d’onore figura il Premio Nobel per la Pace, Henry Alfred Kissinger! Mai premio è stato più azzeccato: Kissinger è senza forse il più influente lobbista guerrafondaio americano (anche se è un immigrato tedesco), membro non solo del CIO, ma anche della maggior parte dei gruppi elitari e/o massonici mondiali. Negli  ultimi cinquant'anni il suo nome figura in tutte, o quasi, le vicende più tristi.
Tornando al discorso lasciato in sospeso dei costi per noi contribuenti delle Olimpiadi nostrane, la stessa ditta privata
Torino 2006 Spa riporta nel sito ufficiale (www.torino2006.org) la cifra di 1700 milioni di euro (1,7 miliardi di euro, circa 3000 miliardi delle vecchie lire), “coperta in parte da investitori privati”.
[3] Non si sa nulla di questi fantomatici investitori, forse sono come quelli del “Ponte sullo stretto” di Messina: inesistenti!
Mi sa tanto che alla fine sarà Pantalone a pagare il conto, e cioè noi felici telespettatori.

E il conto sarà molto più salato di quello previsto. Ad Atene 2004, l’edizione estiva delle Olimpiadi ha lasciato un cratere di sei punti in percentuale del PIL. Avete capito bene? Il deficit lasciato dallo Spirito Olimpico, e dal magna-magna generale, è stato del 6,1% del prodotto interno lordo.[4] Senza contare il disastro ambientale. 
E gli impianti costruiti a Torino che fine faranno? Faranno la fine di quelli di Atene 2004 o Sydney 2000? Nella metropoli australiana per esempio, ogni anno spendono 27,6 milioni di euro per tenere aperti gli stadi
[5]
E secondo voi chi pagherà in Italia, noi o la Fondazione Agnelli? 

[1] http://www.adnkronos.it/3Level.php?cat=Esteri&loid=1.0.319839204 
[2] “I giochi del Potere”, Roberto Bosio, macro ed.
[3] Idem
[4] Idem
[5] Sydney Morning Herald

 
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