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- Pagina guerra in Iraq

«L'ordine era: dovete torturare»
Patricia Lombroso - «Il Manifesto»

Intervista al disertore dell'esercito americano Camilo Mejias. «Il generale Myers mente: le sevizie sono pratica abitudinaria in Iraq per rendere più malleabili i prigionieri per gli interrogatori». In che modo? «Privandoli del sonno, terrorizzandoli con un'accetta e con finte esecuzioni»
Il sergente di fanteria Camilo Mejia, nicaraguense di 28 anni spedito in prima linea, in Iraq con la promessa di un passaporto americano, dopo sei mesi di orrori della guerra in Iraq, il 14 ottobre scorso, scelse di disertare entrando in clandestinità con il nome di «Carlos». Si è rifiutato di tornare in Iraq e «partecipare ad una guerra illegale, ingiusta, immorale», come ha dichiarato a il manifesto, il 22 novembre scorso. Ora si è costituito alla base di Fort Stewart in Georgia, annunciando di rappresentare oltre 7.500 soldati che si rifiutano di tornare al fronte, e dovrà così affrontare il processo come «disertore», «assente dall'obbligo di servire la patria in guerra», il prossimo 19 maggio, davanti alla Corte marziale. Tra gli orrori della sua esperienza in Iraq, nell'intervista in esclusiva a il manifesto a tarda notte e registrata dalla base di Fort Stewart, il sergente Camilo Mejia racconta gli ordini a cui è stato obbligato dai suoi superiori: infliggere la tortura di deprivazione del sonno ai prigionieri iracheni, prima degli interrogatori con le tecniche barbare mostrate nelle foto della prigione di Abu Ghraib.

Lei, ovviamente sta seguendo lo scandalo provocato dalle foto di tortura dei prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib. Lei ha partecipato a questo tipo di sevizie e torture, inflitte ai prigionieri iracheni, durante la missione in Iraq?
Il mio battaglione di fanteria venne costretto dagli ordini dei comandanti superiori a infliggere la tortura preparatoria per gli interrogatori successivi dei detenuti iracheni.

Dove avvenne questo «incarico»?
Noi non eravamo stati assegnati alla prigione principale di Abu Ghraib, ma ad una delle 16 prigioni improvvisate dai militari americani subito dopo l'inizio della guerra.

Quale era il posto?
Il campo di detenzione, improvvisato dai militari si chiamava al Asad.

In quale parte dell'Iraq?
Non ricordo bene. Non so se fosse vicino alla nostra base di Ramadi, dove siamo stati per quattro mesi.

In quale periodo lei ha svolto questo compito di tortura di deprivazione del sonno nei confronti dei prigionieri iracheni?
Il periodo era ai primi di maggio del 2003. Per una settimana.

Il capo di stato maggiore delle forze armate americane Myers dichiara che la tortura e le sevizie sono soltanto «eccezioni» e ne sono stati messi al corrente soltanto ora, marzo 2004.
Non è la verità, perché questo modo di applicare sevizie e torture erano una pratica abitudinaria durante la mia esperienza diretta in Iraq, a maggio dell'anno scorso.

Quali furono gli ordini impartiti dai suoi comandanti?
Il nostro battaglione aveva l'incarico di gestire questo campo di prigionia, per tutti i prigionieri di guerra iracheni che giungevano lì.

Quali erano esattamente i metodi che dovevate applicare secondo gli ordini dei comandanti?
Ci venne impartito un addestramento di un'ora in totale. Ci dissero come dovevano essere suddivisi e preparare con la tecnica della deprivazione del sonno a «renderli più malleabili per gli interrogatori».

Dove si svolgevano queste torture preparatorie agli interrogatori?
In bunker che appartenevano alle forze armate irachene per ripararsi dalle incursioni aeree dei bombardamenti americani. L'area era suddivisa in tre parti. Ciascuna di queste circondata da filo spinato.

Quali erano le istruzioni che vi venivano impartite?
Per una settimana lì queste erano le istruzioni. Questi sono i «good guys», e questi sono i «bad guys, combattenti nemici». Dovete tenerli svegli.

Come facevate, in pratica?
Ci hanno fornito delle enormi accette. La prima fase era la seguente. Urlavamo ai detenuti, incappucciati e ammanettati con legacci di plastica, che entravano nel bunker dopo già 72 ore di deprivazione del sonno e stare svegli per 24 ore. Urlavamo forte a gente completamente disorientata e terrorizzata: «Alzatevi», «inginocchiatevi». Permettevamo loro pochi secondi di tregua e poi, non appena accasciati a terra, urlavamo di stare in piedi. Questo durava 24 ore continuative. Proseguivamo per 48 ore di seguito. Se il metodo non otteneva il risultato desiderato dovevamo passare alla seconda fase. Usavamo l'accetta consegnataci dai comandanti e dovevamo colpire, ripetutamente contro il muro del bunker. Creava un boato impressionante e terrorizzava i prigionieri. Se anche questo metodo non aveva il risultato di tenerli svegli passavamo alla fase di «fittizia esecuzione».

In che cosa consisteva?
Prendevamo una pistola di 9 millimetri, ci avvicinavamo ai prigionieri iracheni e caricavamo le pallottole in canna puntandole con la minaccia di una «esecuzione» con un colpo alla testa. Era un metodo che li terrorizzava e faceva sì che non si accasciassero per terra tramortiti per il sonno.

Come veniva fatta la distinzione dei prigionieri iracheni, tra chi era un innocente civile iracheno finito nelle mani dei militari americani e chi era un «nemico combattente»?
La selezione e suddivisione dei prigionieri, giunti nel bunker veniva effettuata da tre agenti, non in uniforme, ma in abiti borghesi. Due erano americani con un traduttore arabo. Avevano dei nomi fittizi come «Artie», un altro si faceva chiamare «Scooter», il terzo nome non lo ricordo. In gergo militare li chiamiamo «military spooks».

Chi sono i «military spooks»?
Sono degli agenti militari che generalmente non si sa se fanno parte della Cia, dei Delta Force, dei berretti verdi, dei «private contractors», assoldati dal Pentagono per vari incarichi. Loro erano esperti di tecniche degli interrogatori ed esperti di munizioni.

La vostra unità non partecipò alle tecniche di tortura fisica applicate dagli agenti che effettuavano l'interrogatorio?
No. Il nostro compito ordinato dai comandanti era quello di effettuare la prima fase di tortura psicologica, applicando il metodo della deprivazione sensoriale con la deprivazione del sonno dei prigionieri per 48 orse consecutive da aggiungere alle 72 ore di deprivazione del sonno già effettuate da altri. L'intero battaglione della nostra unità effettuava turni di sei ore ciascun gruppo per 24 ore.

Terminata questa forma di tortura ai prigionieri cosa avveniva?
I tre agenti «military spooks» che non sapevamo realmente chi fossero, entravano nel bunker e indicavano quelli designati come «combattenti nemici». Venivano trasferiti in un altro settore a loro riservato. Noi dovevamo caricare i prigionieri lasciati liberi. Toglievamo loro il cappuccio nero dal capo, li slegavamo, li caricavamo su un camion portandoli al villaggio vicino al campo di prigionia, improvvisato.

Nell'impartire gli ordini vi è stato mai detto che partecipavate ad atti considerati crimini di guerra in violazione della convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra?
No. L'addestramento era sommario e mai ci venivano spiegate le responsabilità cui saremmo incorsi partecipando a violare i trattati di condotta del codice militare di guerra e delle norme internazionali.

 
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