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L’affare Telecom non è un affare italiano
Tratto da Movisol -  www.movisol.org 

Mentre si sta per decidere il futuro dell’industria delle telecomunicazioni italiana e delle relative infrastrutture, lo scandalo Telecom rischia di spostare l’attenzione sulle faide politiche interne e di far perdere di vista la posta in gioco. Occorre distinguere due livelli:

1.    L’inchiesta sulle intercettazioni illegali;
2.    Il futuro della struttura e degli assetti proprietari di Telecom.

Sul punto 2, il piano degli attuali proprietari è indubbiamente quello di scorporare per vendere; oggi la TIM , domani magari anche la rete fissa. In agguato sono le solite “locuste”: una schiera di private equity funds, capeggiati da Carlyle, il cui manager per l’Italia è quel Marco De Benedetti che fino all’anno scorso era amministratore delegato di TIM. Questa prospettiva va evitata assolutamente: il governo deve scendere in campo con tutti i mezzi a disposizione e l’opposizione deve capire che qui sono in ballo gli interessi nazionali.

Sul punto 1, non bisogna dimenticare che, anche se i tempi dei recenti arresti sono sospetti, in quanto sembrano essere stati concepiti per togliere Prodi dalla graticola, l’inchiesta della magistratura milanese era partita da tempo e riguardava le complicità italiane nel rapimento del cittadino egiziano Abu Omar, nel febbraio 2002 a Milano. Nel corso dell’inchiesta si è appurato che, mentre ufficialmente il SISMI rifiutò di offrire la propria collaborazione alla CIA, si mosse parallelamente il gruppo della “banda Bassotti”, capeggiato dal numero due del SISMI Marco Mancini e formato dal suo vecchio collega Giuliano Tavaroli e dal comune amico Emanuele Cipriani. Sia il passato di Mancini, all’ombra del famoso colonnello Bonaventura nella Divisione Pastrengo dei Carabinieri, sia i legami intimi di Cipriani con la famiglia Gelli indicano la presenza di reti piduiste.

Dunque la magistratura ha sollevato il velo su una struttura parallela che svolgeva attività di sorveglianza e intercettazione per conto della CIA, nell’ambito della “guerra al terrorismo” di Bush-Cheney condotta con mezzi illegali su suolo italiano. L’inchiesta stabilirà se le schedature dei politici sono riconducibili anch’esse agli ordini transatlantici.
Lo strano “suicidio” di Michele Bove, il responsabile della sorveglianza di TIM che apparentemente si lanciò da un cavalcavia al centro di Napoli il 21 luglio, in pieno giorno, aggiunge una dimensione sinistra all’affare. Bove era un collaboratore prezioso degli inquirenti proprio sul caso Abu Omar. Un “suicidio” simile era avvenuto in Grecia l’anno scorso: vittima, un ingegnere informatico di Vodafone, Costas Tsalikidis, che aveva scoperto un sofisticato software collocato nella rete di telefonia mobile della compagnia, che permetteva di spiare le telefonate del capo del governo e altri ministri, funzionari, attivisti contro la guerra ecc. Tsalikidis fu trovato appeso ad un cappio legato alle tubature del proprio bagno.

A questo punto si chiede se ci sia una relazione tra l’attività della “Banda Bassotti” e i viaggi in Italia di Michael Ledeen, il consigliere neocon dell’amministrazione Bush già sospettato di aver imbastito la bufala del “nigercake” con i suoi vecchi amici piduisti. Se è vero che il SISMI detiene un dossier sulle attività di Ledeen in Italia, va rinnovata la richiesta di aprirlo

 
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