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Blackout e privatizzazioni
di Víctor Flores Olea - El Universal
Domingo 17/08/2003


«Siamo una superpotenza con una rete e un sistema elettrico del Terzo Mondo» ha detto  Bill Richardson, poche ore dopo il blackout nel nord est di Stati Uniti e Canada che ha colpito 50 milioni di persone.
In un'intervista con la CNN Bill Richardson, ministro dell'energia del governo di Bill Clinton e attualmente governatore del Nuovo Messico, aggiunge che anni fa, quando era ministro, viaggiò per tutti gli Stati Uniti avvertendo del pericolo di una catastrofe come quella attuale  e fece pressioni sulle compagnie private perché investissero nella modernizzazione delle centrali elettriche e del sistema di distribuzione, incontrando puntualmente la resistenza dei privati o con l'aperto rifiuto di investire nella tecnologia necessaria. «A loro - i privati - interessa guadagnare sempre di più e subito, invece che rispondere alle necessità del paese in un settore importante e decisivo per tutti» ha dichiarato praticamente il governatore del Nuovo Messico di origine messicana. Per il resto, David Cook, consigliere generale dell'Organizzazione Nazionale per il Funzionamento dell'Energia Elettrica, dichiarò due anni fa davanti al Congresso degli Stati Uniti: «Il problema non é sapere se ci sarà o no un guasto grave nel nostro sistema elettrico, ma quando accadrà tale guasto…».  Sottolineò tra l'altro, riflettendo l'opinione di molti esperti statunitensi, che il sistema (una rete di 200 mila miglia di cavi di alta tensione) manifestava tutti i giorni la sua vulnerabilità e si esponeva ogni volta di più ad una crisi di grandi proporzioni.
Adesso che é passata la catastrofe si cercano le cause tecniche. Risulta normale, e le ipotesi sono varie, però tutte portano direttamente o indirettamente all'«abbandono» tecnologico della rete, in definitiva all'assenza di investimenti  e di modernizzazione da parte delle imprese private responsabili, in questo caso principalmente della  Niagara Mohawk. Cioè, più che le ragioni tecniche del disastro, gli esperti dell'industria energetica statunitense segnalano una causa fondamentale: la terribile obsolescenza della rete distributiva in questo paese, che essenzialmente non é stata rinnovata a partire dagli anni cinquanta e che negli anni sessanta e settanta (soprattutto nella regione di New York) avrebbe dato segni di una situazione impossibile da gestire.
L'assenza di investimenti da parte delle imprese private e una «deregulation» nell'industria, che ha lasciato senza obblighi né responsabilità specifiche i negozianti di questo ramo e che dall'altro lato ha permesso il «libero flusso» della corrente elettrica lungo la rete obsoleta, senza limiti di nessun tipo (il criterio del libero mercato), sarebbero stati i fattori realmente decisivi dell'incidente che si é vissuto il giovedì pomeriggio nel nord est degli Stati Uniti e Canada.
Come ha spiegato un giornale: «Con la privatizzazione del settore elettrico si é ridotta la capacità dei generatori e per risparmiare si sono ridotti i mezzi per prevenire e affrontare le emergenze».
Addirittura lo stesso presidente Bush, così restio a parlare di questi temi con spirito oggettivo, affermò che «si deve supervisionare lo stato della rete di distribuzione di elettricità negli Stati Uniti e prendere i provvedimenti che siano necessari». Tutto indica che anche una commissione speciale di investigazione del Congresso seguirà il caso.
Ovviamente, dopo la catastrofe «elettrica» che si é prodotta in una delle zone più abitate e industrializzate del mondo, immediatamente  le «lingue» ufficiali messicane  cercano di portare acqua al loro mulino e avvertono che senza la privatizzazione dell'industria elettrica messicana ci aspettano disastri similari. Però arrivano a conclusioni esattamente opposte a quelle che indicano l'esperienza statunitense: questi disastri si sono prodotti esattamente perché le imprese private di elettricità in questo paese non hanno adempiuto alle proprie responsabilità e si sono dedicate ad aumentare i propri affari e guadagni, senza considerare sufficientemente gli obblighi che gli corrispondono come imprese del servizio pubblico.
Il disastro che si é prodotto questa settimana negli Stati Uniti dovrebbe portarci alla conclusione che mettere un'industria di importanza strategica come quella elettrica nelle mani di privati é mettere, in termini colloquiali «La Chiesa nelle mani di Lutero». Ciò che interessa a questi impresari non é lo sviluppo del paese ma i profitti. Molte delle imprese che hanno fallito così drasticamente nelle loro responsabilità «pubbliche» negli Stati Uniti sono quelle che contemplano la loro entrata in Messico. A loro vantaggio e non con altre si realizzerebbe la pretesa «privatizzazione» del nostro sistema elettrico nazionale. Se negli Stati Uniti hanno fallito così deplorevolmente (ricordatevi anche la crisi elettrica in California, che ha portato lo stato californiano a rinazionalizzare l'energia elettrica) pochi anni fa, immaginiamo il loro comportamento in un paese come il Messico, del Terzo Mondo. Chiaro, l'argomento dei «privatizzatori» casalinghi é che senza la vendita a compagnie straniere delle risorse nazionali in materia di elettricità ci aspettano gli stessi disastri. Argomento falso e senza nessuna fantasia  politica, economica e finanziaria, secondo quanto si é provato questa settimana nella «patria» per eccellenza delle imprese private, alle quali é stata ceduta la prestazione di servizi pubblici così importanti come l'elettricità. No, la soluzione non si trova nel cammino della privatizzazione, e lo sanno bene e con buon senso i messicani.
La soluzione si trova invece nella creazione di vere imprese corporative pubbliche (mi riferisco alla Commissione Federale d'Elettricità, a Luce e Forza del centro e a Pemex) con autogestione, vigilanza contabile legislativa e autonomia finanziaria, invece delle attuali imprese  delle quali il fisco si porta via una «zampata di leone» senza misericordia, attraverso  imposizioni fiscali impossibili da sopportare per qualsiasi impresa pubblica o privata. Estrazione del fisco per le sue «spese immediate», tra le quali il pagamento degli interessi e dell'enorme debito improduttivo che portiamo addosso.
Si é dimostrato che, dal punto di vista strettamente imprenditoriale, le corporazioni pubbliche nazionali sono perfettamente solventi e hanno funzionato sempre con indici di «redditività» più che soddisfacenti. Per il resto, é falsa la tesi che la privatizzazione permetterà ai consumatori prezzi più economici. identica cantilena ci é stata ripetuta con la privatizzazione delle banche, la cui efficienza e servizio sono franati, sparandosi al cielo il costo che pagano gli utenti per i loro servizi, peggiori che nei tempi della banca nazionale.
In un sondaggio obiettivo d'opinione é stato dimostrato che una schiacciante maggioranza di messicani sospirano ancora per i servizi che prestava la banca nazionalizzata, se li confrontiamo con quelli che offrono adesso le banche private, che tra l'altro sono quasi completamente nelle mani di capitale straniero.
Però ovviamente, creare vere imprese corporative pubbliche con autogestione, vigilanza contabile legislativa e autonomia finanziaria ci porta ad una riforma fiscale realmente progressiva e distributiva, assai differente dal minestrone che tempo fa presentò alle camere il ministro del Fisco, che storicamente sarà una delle tante vergogne che peseranno sul governo di Vicente Fox.
I blackout del nord ci sono serviti così, tangenzialmente, per illuminare il buon cammino della soluzione di una delle forti questioni dibattute nel nostro paese. In questo senso nulla poteva essere così opportuno e decisivo: un esempio in più che in mano alle imprese private i servizi pubblici sono destinati al fallimento, prima o poi. Speriamo che questo esempio decisivo che ci arriva dal nord sia una ragione in più per riaffermare le tesi di chi si oppone alla privatizzazione e che pensano più nell'interesse della nazione che nei meschini interessi degli uomini d'affari.

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