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Effetti collaterali di economie (e politiche) spietate
Paolo Barnard – tratto da Golem L'Indispensabile - 13 novembre 2007
visto su http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=3959 

Nella maggioranza delle persone la percezione dell’insicurezza è quasi sempre alterata, è, oserei dire, una commedia. Fra il menù medio di una mensa aziendale e il rumeno che incrociamo per strada, la prima è un killer di massa, il secondo è uno 0,1% di probabilità di esserlo.
Fate solo la proporzione fra i decessi annui per malattie cardiovascolari o tumori all’apparato digerente e quelli per mano di assassini stranieri e capite subito di cosa parlo. E non mi si dica che l’alimentazione al lavoro è una scelta del cittadino mentre il ceffo straniero no, poiché sappiamo tutti che la presenza degli immigrati nel nostro Paese è tanto una nostra scelta/necessità quanto quella di mangiare di corsa cibi preconfezionati. Esistono fisiologicamente insidie nei primi quanto nei secondi.  

Eppure quel tizio losco ci fa paura mentre la fettina con mozzarella su un lago di sugo al glutammato no.
E così è in tante altre componenti del nostro vivere: per numero di morti e feriti il semaforo rosso violato batte il rumeno cattivo 1000 a 1; il fumo passivo, i drink serviti in discoteca, le polveri fini, le infezioni/errori ospedalieri letali ma occultati, la diagnostica tardiva per liste d’attesa, gli indulti fraudolenti… battono qualsiasi ceffo straniero con punteggi umilianti, e sono tutti fenomeni in cui le vittime non sono certo consenzienti. Ma è lui, il (presunto) migrante cattivo, a terrorizzarci.

Passo al successivo quesito di Colombo, e cioè se informazione e politica aiutino ad avere la giusta percezione della sicurezza. No, ovviamente, per il semplice motivo che se lo facessero dovrebbero poi accettare di sovvertire in ogni suo anfratto la struttura stessa del nostro vivere. Non lo vogliono loro, e meno di loro lo accettiamo noi cittadini. E poi l’ex magistrato ci chiede se il tema del pericolo comune sia affrontato per il rilievo che ha o se succede talvolta che sia enfatizzato per scopi che con la sicurezza del cittadino hanno poco a che fare. Ebbene, la manipolazione del rischio, e di conseguenza della nostra paura, è divenuto uno dei più fiorenti business della fine del XX secolo e del nuovo millennio. Oltre alla nascita di una vera e propria industria della security (dagli ammenicoli per la casa prodotti da aziendine locali ai colossi come l’americana Blackwater), abbiamo assistito al trionfo della Politica della Paura, e cioè di quel giochetto gestito dai governanti che consiste nel pompare minacce reali ma obiettivamente contenute fino alla psicosi di massa, con la solita complicità dei media come sempre acritici e asserviti al potere.
La Guerra al Terrorismo dopo l’11 di settembre 2001 ne è un esempio strepitoso. Il maggior studio oggi disponibile dedicato al fenomeno suicida islamico, ci dice che il totale dei morti da ascrivere ad al-Qaeda dal 2001 alla fine del 2005 è stato di circa 3.700 in tutto il mondo, di cui, come è noto, quasi 3.000 in un solo episodio e il resto distribuito in quattro anni su quattro continenti (Iraq e Afghanistan esclusi in quanto teatri di guerra a tutti gli effetti). L’Occidente in particolare, nel medesimo periodo, ha visto solo 71 attentatori suicidi in azione contro di esso. (1)

Ciò dimostra due cose. Primo, che la letalità complessiva per gli occidentali degli ‘islamofascisti’ impallidisce di fronte a quella di un singolo farmaco fraudolentemente approvato, il Vioxx (un inibitore Cox-2 della Merck di cui l’azienda conosceva i pericoli), ritenuto oggi responsabile di qualcosa come 35.000-55.000 morti solo negli USA e in un periodo che ricalca esattamente quello del maggior attivismo di al-Qaeda. (2)
Secondo, che il loro esercito è sparuto a dir poco.

Confrontate quei numeri con il panico da apocalisse imminente sparato a tutto gas dagli spin doctors della Casa Bianca e di Downing Street, come Thomas Friedman o Alan Dershowitz o Alastair Campbell, ma anche dal nostro implacabile master of doom Magdi Allam, in un balletto semaforico impazzito di allarmi gialli, rossi, verdi, blu, e con la fola delle migliaia di cellule dormienti di micidiali kamikaze islamici che certamente sarebbero entrate in azione in tutto l’Occidente scatenando decine di 11 settembre.
Grazie a Dio nulla di ciò è accaduto, mentre morivamo come mosche per la sete di lucro di una multinazionale farmaceutica.
Ma qualcuno ha mai sentito Bush, Blair o Prodi dichiarare una Guerra al Farmaco selvaggio o all’informatore farmaceutico stragista? No, la Politica della Paura, come tutta la politica, non prevede la verità obiettiva dei fatti.

Ai tre rimanenti quesiti di Colombo mi sento di rispondere così: il guaio sta tutto nel fatto che in questo torbido problema di immigrazione e sicurezza nessuno degli attori vuole dire la verità. Mentono tutti, e così si va al disastro.
Gli attori sono: i nostri pubblici amministratori, i gruppi di immigrati sotto accusa, i media, i cittadini del Paese ospite.
Mi sbarazzo subito degli ultimi due. I giornalisti mentono perché quello è divenuto il loro mestiere, salvo casi peregrini ahimè, e altro non vale la pena aggiungere qui. I cittadini italiani sono mendaci quando negano un’evidenza che hanno stampata negli occhi da tempo: e cioè che senza immigrati, regolari ma anche clandestini, questo Paese sarebbe in guai seri. Chiuderebbero le cucine della maggioranza dei ristoranti, non sapremmo più come raccogliere frutta e verdura, come pulire i nostri uffici, i nostri anziani non autosufficienti sarebbero allo sbando, e tanto altro.

I nostri pubblici amministratori invece nascondono alla cittadinanza che soluzioni nazionali al problema immigrazione e sicurezza semplicemente non esistono. Proprio nel senso che è inutile persino ventilarne, perché gli aspiranti immigrati sono troppi, troppo disperati e impossibili da fermare. Le cretinate della destra italiana in tema di soluzioni equivalgono letteralmente a chi volesse difendersi dalle zanzare nelle valli comacchiesi spiaccicandole al muro con la palettina.
Ciò che invece andrebbe fatto da un governo responsabile (e morale) è di raccontare agli italiani come sia accaduto che miliardi di persone al mondo siano state ridotte a tali livelli di disperazione economica da rischiare qualunque orrore pur di sfuggire alla miseria. La verità, qui, significa ammettere, e letteralmente raccontare ai cittadini attraverso i media, che il pane di tanti stranieri ce lo siamo mangiato noi sottraendoglielo a casa loro, riducendoli alla fame, quando non ammazzandoli. E cioè che il nostro imperante Neoliberismo, con l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la Banca Mondiale , il Fondo Monetario Internazionale, la Commissione Europea , il Fondo Europeo di Sviluppo, gli EPA (Economic Partnership Agreements), gli accordi bilaterali di libero scambio, i cosiddetti aiuti al Terzo Mondo, e tanti altri meccanismi da noi escogitati, sono responsabili di crimini inauditi contro quell’umanità dolente, crimini al cui confronto l’Olocausto nazista è, senza esagerare, una piccola cosa. Le cifre annue in termini di malnutrizione, di morti per fame e malattie o per le guerre che il Neoliberismo sostiene, non lasciano dubbi in proposito. (3)

Gli abbiamo tolto tutto, incluso il diritto all’autodeterminazione, alla gestione della propria economia, gli abbiamo legato le mani e i piedi e li abbiamo pure massacrati a volte, e quando alla fine i depredati approdano da noi a chiederci le briciole, solo le briciole di ciò che era loro, noi facciamo le Bossi-Fini, i decreti Veltroni e li odiamo anche.
Prego, Dottor Sottile, lei che queste cose le sa benissimo, le snoccioli sulla prima pagina del «Corriere della Sera» invece di turlupinarci. Racconti anche come i suoi illustri colleghi, Jeffrey Sachs (il gran cerimoniere della transizione della Polonia al Libero Mercato) o Joseph Stiglitz (ex capo economista della Banca Mondiale), ci stanno oggi spiegando il perché della crescente disperazione dei cittadini dell’Est Europa, che dai soffocanti regimi comunisti sono passati al sadismo del Libero Mercato. Ci sono dati sul crollo degli standard minimi vitali da far accapponare la pelle, in Russia, in Ucraina, in Polonia, in Moldavia, in Romania, e tutti a partire dal 1989 in poi, ma il «Corriere» mai e poi mai che ce li snoccioli. Quello che ci raccontano sono altri dati, quelli sulla crescita economica dell’Est europeo, tutti meravigliosamente promettenti, ma sapete come li calcolano? Da seduti nelle suite a cinque stelle di Mosca o di Praga, o nei Ministeri, e senza mai ficcare il naso in una singola casa moldava o fare una singola domanda a una badante ucraina. Li ho visti in azione questi “sicari economici”, (4) a Lusaka, a Dar es Salaam, che raccontavano al «Financial Times» quanto crescessero le economie africane, mentre io in Tanzania in un distretto di 600.000 abitanti trovai un solo ambulatorio con una sola siringa di vetro per tutti, e, mi dissero, le cose andavano peggiorando.

Romano Prodi dovrebbe raccontare a Porta a Porta del ricatto che la sua Commissione Europea (CE) tentò nell’aprile del 2002 durante i negoziati cosiddetti GATS sulla liberalizzazione dei servizi, dove a Paesi come la Malesia , il Messico, l’India o l’Indonesia veniva ingiunto di svendere i gioielli di casa alle nostre società multiservices, ricattandoli con lo strapotere dei sussidi miliardari all’agricoltura europea che schiaccia la loro (in India il tasso di suicidi fra i contadini è epidemico). E mentre lo stesso Prodi mantiene oggi zeppi i nostri CPT (centri di permanenza temporanea) con gli immigrati africani o curdi in miseria, e colpevoli di aver tentato una migrazione da Paese a Paese, la sua CE infilò nei sopraccitati negoziati una clausola sull'intra-corporate labour mobility, che tradotto significava libera migrazione ovunque per gli Yuppies aziendali europei, ma non per il panettiere del Burkina Faso. (5)
Giuliano Amato, e i sindaci delle nostre città, dovrebbero dire il vero, e cioè guardare in faccia gli italiani e chiedergli: "Se voi aveste dovuto vendere il primo figlio in schiavitù per nutrire il secondo, e se ora vi toccasse di vendere anche quest’ultimo per non farlo morire di diarrea, cosa fareste? Rimarreste lì dove siete o tentereste di andarvene?" oppure "Se voi foste i gestori di una panetteria a Tunisi e un cugino del dittatore Ben Ali entrasse in bottega e vi dicesse ‘da oggi io sono il tuo socio di maggioranza, se no sono bastonate’, cosa fareste? Rimarreste lì?" o ancora "Se vostro padre nel villaggio romeno avesse un cancro alla prostata e stesse urlando di dolore giorno e notte senza traccia di morfina né di cure decenti, e se i vostri figli avessero la grappa come unica alternativa alla disoccupazione, cosa fareste? Stareste lì ad ascoltare i gemiti e a vedere la vostra prole diventare cirrotica a trent’anni?". Ed è questo il motore dell’immigrazione, l’unico esistente. Che ce lo dicano i politici, chiaro e tondo.

Le soluzioni sono unicamente internazionali, e cioè basta con questa rapina che si chiama Libero Mercato. Cittadini europei, volete risolvere il degrado da immigrazione? Fermate il flusso dei disperati, che inevitabilmente porta con sé elementi rabbiosi, psicotizzati, pericolosi, e sempre li porterà, poiché è assai più facile diventare bestie quando dall’età di 2 anni si vive in condizioni da animali. Ma questo significa che dobbiamo accettare di pagare i prezzi per un mondo meno in disequilibrio, significa restituire il maltolto, punto. La “botte piena e la moglie ubriaca” è la filosofia assurda del Libero Mercato, e cioè “rapiniamo le risorse di milioni di persone, sfruttiamole nei cantieri da noi o negli sweat shops da loro, ma che poi non ci vengano a rompere le balle”. Così non è sostenibile. O ci teniamo il nostro furto e la loro immigrazione, oppure optiamo per la restituzione della ricchezza sottratta (permettendogli un reale sviluppo) e per la pace, pagandone il prezzo. Il furto e la tranquillità insieme non li possiamo avere, spiacente. La scelta è nostra, e questi sono i veri termini del dibattito sull’immigrazione e sulla sicurezza.
Infine, mentono anche alcune comunità di stranieri cosiddetti problematici, i quali non accettano una verità lampante: il fatto che a parità di status sociale qui in Italia, di povertà originaria e di diversità, alcune etnie o nazionalità di migranti sono meglio accettate di altre. I Rom non si raccontano, e non ci raccontano, la verità sul perché il loro tasso di non-gradimento da parte degli italiani è pressoché totale, mentre i filippini hanno lo stesso tasso ma di segno completamente opposto. Perché?

Se è vero che – in attesa di soluzioni lungo le linee tracciate in precedenza, di un sistema carcerario che sappia riabilitare e non abbruttire, e di politici capaci di dirci il vero – va urgentemente affrontato il problema dello scontro fra certe culture presenti in Italia e la nostra, allora chiamiamoci tutti al centro.
Significa proporre alle comunità di immigrati più problematici di farsi carico di verità scomode su se stessi, e agli italiani di fare la stessa cosa. Ai Rom in particolare direi: riconoscete che sovente il vostro collante socioeconomico è la brutalizzazione delle donne e dei bambini, perché senza di essa non potreste tenerli in strada a rubare, a mendicare, e a prendersi insulti e rancore dalla mattina alla sera. Agli italiani dico: offrite un’accoglienza decente a costoro, alloggi, scuole, sanità, lavori, in cambio dell’adesione di tutti a principi compatibili col rispetto dei cittadini e dei diritti umani fondamentali. Se poi nonostante questa offerta di incontro al centro una delle due parti dovesse persistere negli errori o rifiutarsi di cambiare rotta, allora sapremmo almeno dove puntare il dito. E se i recalcitranti del caso fossero proprio gli immigrati, allora avremmo almeno un tantino meno torto. Ma mica tanto.

Note
1. Prof Robert Pape, University of Chicago , «Suicide Terrorism and Democracy: What we learned since 9/11», The Cato Institute, 2006.
2. Si vedano gli studi condotti dal dott. David Graham della US Food and Drug Administration nel 2005; il rapporto pubblicato dal «New England Journal of Medicine» nell’ottobre 2005; e l’inchiesta nello stesso periodo del «Wall Street Journal».
3. Dati disponibili tratti da: l’inchiesta I Globalizzatori, Report RAI 3, 09/06/2000, di Paolo Barnard, www.report.rai.it – Public Citizen: Trade Watch, USA – The Transnational Institute, Amsterdam, Olanda – The World Trade Organization: The Marrakech Treaty – Corporate Europe Observatory, Amsterdam, Olanda – The Economic Policy Institute, Washington DC, USA – Friends of the Earth, Bruxelles, Belgio – Corporate Watch, USA – Oxfam UK – Global Policy Forum Europe, Bonn, Germania – Institute for Policy Studies USA– et al., e da studi di autori fra cui: Joseph Stiglitz, Jeff Faux, Noam Chomsky, Greg Palast, Susan George, Richard W. Behan, Alexandra Wandel, Peter Rosset, Dean Baker, Barry Coates et al.
4. Definizione tratta dall’autodenuncia di uno di loro, l’americano John Perkins autore di «Confessions of an Economic Hitman», Berret-Koehler Inc. 2004.
5. Denucia del Corporate Europe Observatory che ha ottenuto una copia del memorandum sul GATS della CE nel 2002, ripresa poi dal The Guardian di Londra in «A privatizers hit list», 18/04/02.

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