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Il 2006 si chiude con 24 guerre in corso, due in meno di dodici mesi fa

Ancora troppe
Tratto da Peace Reporter – 2 gennaio 2007
www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=7019

Rispetto alla fine del 2005, non si combatte più in Nepal, Burundi, Waziristan e Balucistan, ma nuovi conflitti sono scoppiati in Libano e Repubblica Centrafricana. La maggioranza delle guerre in corso si concentrano come sempre in Africa (Somalia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Nigeria, Ciad, Etiopia, Costa d’Avorio) e in Asia (Afghanistan, Kashmir, India, Sri Lanka, Myanmar, Thailandia e Filippine). Sempre in fiamme il mondo arabo (Iraq, Palestina, Libano e Algeria). Si combatte ancora anche in Europa (Cecenia e Turchia) e in America latina (Colombia e Haiti).

Medio Oriente. Il 2006 è stato caratterizzato dalla guerra in Libano. Dopo il ritiro delle truppe israeliane nel 2000, il conflitto tra le milizie di Hezbollah e l’esercito di Tel Aviv ha di nuovo infiammato l’area. Da una parte, gli Stati Uniti e Israele accusano la Siria e l’Iran di aver utilizzato Hezbollah per i propri fini, dall’altra la guerra libanese ha fatto passare in secondo piano il dramma della popolazione palestinese. Un anno fa, in Palestina, si era fatta strada la speranza, con lo sgombero dei coloni dalla Striscia di Gaza, ma oggi la situazione è degenerata in una potenziale guerra civile tra Hamas e Fatah, in uno scenario bloccato dove i primi hanno vinto le elezioni, ma i secondi sono gli unici riconosciuti dalla comunità internazionale. La situazione in Iraq, dopo 4 anni, è drammatica: il 2006 ha segnato il massimo tributo di sangue dall’inizio della guerra. Il programma nucleare iraniano pare annunciarsi come l’argomento chiave del 2007, assieme alla frattura tra sunniti e sciiti che dall’Iraq s’irradia in tutto il mondo arabo e islamico.

Asia. Il 2006 è stato per Afghanistan l’anno di guerra più intensa dalla cacciata dei talebani: il livello del conflitto è ormai paragonabile a quello iracheno e la Nato fa fatica a contrastare la resistenza talebana nel sud del paese. Nel vicino Waziristan pachistano, retrovia dei talebani, è invece finita la guerra tra questi e l’esercito di Musharraf, il quale ha cessato le ostilità anche con gli indipendentisti del Balucistan. Prosegue invece senza sosta la sanguinosa guerra per procura tra Pakistan e India per il controllo del Kashmir indiano. Sempre in India, sono ancora attive le guerriglie in Andra Pradesh e Assam. Sanguinosa recrudescenza, quest’anno, della guerra in Sri Lanka tra governo e Tigri tamil dopo la tregua post-tsunami. Mentre è tornata la pace in Nepal dopo dieci anni di guerra tra governo e ribelli maoisti. Continuano i conflitti nelle Filippine (guerriglia comunista al nord e islamica al sud), la guerra della giunta militare birmana contro la minoranza karen e la ribellione islamica nella Thailandia del sud. I test nucleari nordcoreani hanno innescato un’inquietante corsa al riarmo in Giappone, Taiwan e Cina.

Africa. E’ un bilancio in chiaroscuro quello dell’Africa nel 2006. Se il conflitto in Burundi è praticamente concluso e ci sono buone prospettive perché termini anche quello ugandese, si sono aggravate le crisi in Darfur (coinvolgendo anche i vicini Ciad e Repubblica Centrafricana) e in Somalia, dove la recente caduta delle Corti islamiche fa temere per una possibile rinascita delle milizie protagoniste della guerra civile. In Nigeria continuano gli attacchi dei gruppi ribelli del delta del Niger contro le installazioni petrolifere straniere, mentre in Costa d’Avorio la guerra civile vive ormai da quattro anni una situazione di stallo.
Buone notizie arrivano dai processi di transizione in Liberia, che ha eletto il nuovo presidente, e in Angola e Sierra Leone, dove nel 2007 si dovrebbero tenere le prime elezioni del dopoguerra. Transizione che si è conclusa nella Repubblica Democratica del Congo con la rielezione a presidente di Joseph Kabila, nonostante nell’est del paese si registrino ancora sporadici scontri tra esercito e gruppi di dissidenti e miliziani.

America Latina. Nel 2006 il vento del cambiamento ha soffiato sul continente: un ventaglio di governi di sinistra sono stati eletti (Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador) o confermati (Hugo Chavez in Venezuela e Luis Inacio Lula da Silva in Brasile) e timidi segnali arrivano anche dal Cile, dal gennaio scorso guidato da una socialista, Michelle Bachelet, che ha tante caratteristiche che rompono col Cile che fu. Solamente la Colombia sembra rimanere impassibile al cambiamento: da oltre 40 anni teatro di scontri fra guerriglia di sinistra e paramilitari di destra, ha visto il reazionario e filo-statunitense Alvaro Uribe riconfermato a pieni voti e intenzionato a vincere i nemici di sempre con il Plan Victoria, ossia guerra, guerra, guerra. Dura a morire è anche la tensione che piega Haiti, dove bande armate riconducibili al movimento Lavalas, tengono sotto scacco la popolazione. Momenti di guerra civile anche in Messico, governato da Felipe Calderon. Prima la capitale, tenuta sotto scacco dall’opposizione, e poi il dramma di Oaxaca, che ha visto per mesi manifestazioni represse nel sangue.

Europa. In Spagna, dopo che l’Eta ha dichiarato un “cessate il fuoco permanente”, il governo di Josè Luis Zapatero ha proposto di intraprendere un processo di pace con l’organizzazione terroristica, ma l’opposizione è contraria.
In Irlanda del Nord, la via verso il ripristino dell’autonomia della regione è arrivato a un passo dalla riapertura dell’Assemblea di Stormont. Nel marzo 2007 si terranno le elezioni per la sua nuova composizione.
In Turchia, alcuni gruppi separatisti curdi hanno interrotto il cessate il fuoco per riprendere un’attività terroristica di bassa intensità.
In Kosovo, i negoziati sullo status della regione sono bloccati. La Serbia , che ha cambiato la Costituzione vincolando il Kosovo, dopo l’allontanamento del Montenegro, non può perderlo. Ma i kosovari albanesi vogliono l’indipendenza.
In Cecenia, nonostante l’uccisione del leader ribelle Basayev, la jihad anti-russa degli indipendentisti islamici non mostra segni di cedimento. Anzi, si è ormai stabilmente estesa alle vicine repubbliche russe del Daghestan e dell’Inguscezia.

Red 

 
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