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Negli ospedali il fenomeno ha la stessa entità di 20 anni fa

Settemila morti per le infezioni
Manuela Perrone - tratto da “Il Sole 24 Ore” 25 maggio 2005

In vent’anni nulla è cambiato sul fronte delle infezioni ospedaliere: il 6,7% dei ricoverati si ammala oggi come ieri.
Eppure, per diminuire i rischi, basterebbe già che medici e infermieri si lavassero più spesso le mani e che gli antibiotici fossero utilizzati con più cautela.
A rivelarlo è “Inf Nos 2 2002- 2004” , presentato ieri a Roma: si tratta del più grande studio di prevalenza condotto in materia dopo lo studio multicentrico “Info Nos 1” del 1983.
Realizzata con la consulenza scientifica dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma e finanziata dalla multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline (che ha messo a punto una brochure e un software per la raccolta dati), l’indagine ha coinvolto 300 reparti di medicina, chirurgia e terapia intensiva di 40 ospedali italiani, per un totale di circa 13.000 pazienti. Che sono stati “fotografati” in quattro giornate nell’arco dei tre anni considerati.

I risultati sono allarmanti: ogni anno le 450-700 mila infezioni contratte dai degenti provocano dai 4mila ai 7mila decessi.
Un’ecatombe simile a quella causata dagli incidenti stradali. Con un costo sociale stimabile intorno ai 100 milioni di euro.
Due le malattie cui i pazienti sono più esposti: polmoniti e infezioni del tratta urinario. Se queste ultime sono legate al prolungato uso del catetere, la diffusione della polmonite si spiega con la particolare vulnerabilità dei degenti, sempre più anziani e fragili. Molto dipende anche dal reparto: si passa dal 5,5% di infezioni contratte in quelli di medicina al 34,2% delle unità di terapia intensiva. E più alta è la durata della degenza, maggiore è il rischio di essere colpiti da virus e batteri.

Preoccupante anche il dato sull’impiego di antibiotici: la terapia risultava potenzialmente impropria per un quarto dei pazienti cui era stata somministrata (il 46% del totale). Di contro, ben il 7,2% dei ricoverati affetti da un’infezione ospedaliera, al momento della rilevazione, non stava assumendo antibiotici.
“Occorre trovare le armi giuste”, commenta Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani. A partire da accorgimenti che dovrebbero essere scontati e non lo sono: “Pericolosissima è la cattiva abitudine dei medici di lavarsi poco le mani”
Ma gli esperti invocano pure “un investimento organizzativo e tecnico”. Perché occorre conoscere le aree critiche per ridurre i pericoli.
Un’esigenza urgente, anche alla luce di quanto sostengono i Cdc di Atlanta: il 30% delle infezioni ospedaliere è evitabile. In Italia, significherebbe salvare ogni anno da 1350 a 2100 vite umane!


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