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Mister Kerry più a destra di mister Bush
Franco Mauri, «Libero» 3 agosto 2004

Certo non è facile comprendere l’entusiasmo che i Ds manifestano per la candidatura di JF  Kerry alla presidenza degli Stati Uniti, così come l’hanno espresso tra gli altri Fassino e Veltroni. Comprenderei, per quanto di seguito scriverò, la simpatia di Forza Italia ed anche quella dei nuovi «poteri forti» del capitalismo italiano, rappresentati da Confindustria e dall’Associazione bancaria italiana (la quale presto o tardi diventerà la vera «Confindustria», dato il livello di indebitamento delle industrie verso le banche).
Questo entusiasmo è spiegabile con il quasi totale abbandono della cultura marxista-leninista, anche nella valutazione degli ordinamenti e delle politiche degli altri Paesi, e conseguentemente di ogni visione di classe della politica internazionale. Il mantenimento di questa cultura e di questa visione da parte di Rifondazione Comunista spiega invece il distacco di questo partito dalla competizione in atto negli Stati Uniti.
Da un punto di vista di classe, il Partito democratico americano è una delle due branche del sistema di governo di classe del capitalismo americano. Di questo capitalismo democratico furono espressione Roosvelt i Kennedy; oggi lo è Kerry che, se eletto, sarà il presidente più ricco della storia americana. Ed i ricchi possono essere al massimo di un centro liberal, mai di sinistra e di centro-sinistra.

I democratici nulla hanno a che vedere con la tradizione marxista e con la visione di classe dei rapporti internazionali: essi sono per storia e tradizione il «partito della guerra» e della «scelta ideologica»! Fu il democratico Wilson che abbandonò la politica neutralistica dell’isolazionismo e fece entrare in guerra gli Stati Uniti a fianco dell’Intesa contro gli imperi centrali, in nome della democrazia e dell’autodeterminazione nazionale, contro il neutralismo del socialismo europeo e dello stesso trade-unionismo americano. Fu il democratico Roosvelt che in nome della democrazia fece entrare in guerra gli Stati Uniti nella Seconda Guerra mondiale. Fu il democratico Truman che per primo usò l’atomica, fatta approntare dall’amministrazione democratica. Fu il democratico Truman che subito sposò la politica churchelliana della «confrontazione frontale» con l’Unione Sovietica e della lotta al movimento comunista, all’interno ed all’estero, e diede l’avvio al riarmo euro-americano con l’Alleanza Atlantica. Fu il democratico Mac Carty che intraprese la lotta interna contro il «sinistrismo» con la famosa «caccia alle streghe». Furono i democratici che intervennero militarmente in Corea e poi, con Kennedy e con Johnson, nel Vietnam.

Fu il democratico Kennedy che «complottò» contro Cuba e tentò di rovesciare Fidel Castro con il disastroso tentativo di invasione alla «Baia dei Porci».
Fu il democratico Kennedy che sostenne la Germania occidentale anticomunista contro la Repubblica democratica tedesca all’epoca del blocco di Berlino, sfiorando un nuovo conflitto mondiale. Fu sempre JFK a minacciare l’Unione Sovietica di scatenare un attacco nucleare contro l’Est e di annientare Cuba, se essa non avesse ritirato i missili da questo territorio. Fu il democratico Carter a lanciare la campagna di riarmo nucleare contro l’Urss con il dispiegamento in Europa dei missili di teatro. Per arrivare a giorni più recenti, fu il democratico Clinton che, mandando a quel Paese le Nazioni Unite, guidò il violento attacco contro la Jugoslavia al fine primario di spazzare via il regime vetero-comunista di Milosevic.

Kerry è contro Bush, non perché ha mosso guerra all’Iraq, guerra a favore della quale egli ha votato al Senato e che sempre ha sostenuto e sostiene da buon veterano volontario pluridecorato della Guerra in Vietnam, ma perché Bush ha dimostrato di non saperla fare. E la sua promessa al popolo americano è di portarla a rapida e vittoriosa conclusione, di fare degli Stati Uniti l’unica grande potenza militare del mondo e di andare a combattere il terrorismo internazionale in qualunque parte del mondo.
Egli ha l’appoggio compatto della comunità ebraica e l’opposizione netta di quella mussulmana. Dalla sua vittoria la causa palestinese riuscirà pesantemente sconfitta. Ed a proposito di costume di campagna elettorale, il candidato Kerry, rispetto al quale Silvio Berlusconi è un piccolo commerciante, si è lanciato nella campagna elettorale più dispendiosa che la storia delle elezioni presidenziali ricordi, con tra l’altro una massa di spot televisivi che ovviamente non tiene conto di alcun criterio di «par condicio».
Se non fosse per la sua politica del matrimonio e della famiglia in netto contrasto con quella della Chiesa Cattolica della quale fa parte e che si pone il problema di rifiutargli la Santa Comunione, e se non fosse per il suo sbilanciamento eccessivo a favore di Israele, se fossi americano penso che lo voterei,

Non riesco a comprendere perché ne desiderino la vittoria Fassino e Veltroni.


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