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Mohammed Mossadeq: un uomo dimenticato, ma da non dimenticare
Dal libro “Al Qaeda: chi è, da dove viene e dove va” di Carlo Bertani
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Quasi all'estremo orientale della galassia islamica, già proiettato verso l'Asia centrale, troviamo l'Iran degli ayatollah, il caposaldo di una visione dell'Islam non estremista ma ben decisa a non concedere nulla agli occidentali. Anche qui troviamo una nazione con un passato imperiale; anche se fra l'antica Persia e l'odierno Iran c'è una cesura di millenni, l'Iran è stato una delle poche nazioni orientali a non aver subito un vero e proprio dominio coloniale.
Per certi aspetti, la situazione iraniana durante il periodo coloniale assomiglia un poco a quella cinese: pur dovendo sopportare sul proprio territorio forze militari straniere (gli inglesi occuparono, nel periodo fra le due guerre mondiali, parte dell'Iran per assicurarsi il controllo delle fonti petrolifere), l'autorità centrale non fu mai nelle mani di un governatore coloniale.

La dinastia dei Phalavi, che ha regnato in Iran dal 1923 fino al 1979, è stata importantissima per l'Iran, al punto da non coinvolgere la nazione nella seconda guerra mondiale senza cedere la propria sovranità in toto alla Gran Bretagna ed all'Unione Sovietica, l'una potenza imperiale, l'altra ingombrante vicino.
In realtà non si può parlare di una "dinastia" dei Phalavi, giacché Reza I giunse al potere come primo ministro, mentre con lo Scià Mohammed Reza (dal 1941 al 1979) l'Iran assunse i connotati di regno e, parallelamente, si avvicinò sempre più all'Occidente.  

La Rivoluzione Islamica ha cancellato la memoria dei Phalavi, anche se lo Scià Mohammed Reza si adoperò per la modernizzazione del paese: come sappiamo, però, l'impeto dei rivoluzionari cancella sempre la memoria dell'ultimo inquilino al potere, soprattutto quando regna grazie alla corruzione e si avvicina troppo allo stile di vita occidentale.
Più che alla corrotta dinastia, gli iraniani dovrebbero essere riconoscenti a un personaggio dimenticato dagli occidentali (come vedremo, un'altra coda di paglia): Mohammad Mossadeq.

Come già abbiamo ricordato, gli inglesi avevano forti interessi petroliferi in Iran, che gestivano mediante una società mista, la Anglo Iranian Oil Company; ebbene, nel solo 1947, la compagnia estrasse dai giacimenti iraniani e commercializzò petrolio per 112 milioni di $, una somma enorme per l'epoca, considerando che, a quel tempo, in Italia un salarlo netto medio era pari a 60 dollari il mese (oggi supera i 1.000).
Orbene, di quella enorme cifra rimasero in tasca al governo iraniano 7 milioni di dollari, poco più del 6% del totale: ecco cosa intendiamo quando segnaliamo la "rapina" delle ricchezze naturali del pianeta da parte delle potenze coloniali! Dividiamo la torta: a me 94 ed a te 6. Non sei d'accordo? E chi se ne frega: se non ti piace ho proprio dietro l'angolo una portaerei per sistemare la faccenda.

Mossadeq aveva completato i suoi studi, giuridici ed economici, in Francia ed in Svizzera: era un nazionalista, ma un nazionalista attento alle esigenze della popolazione, al punto di fissare un salario minimo di 50 centesimi il giorno che la compagnia doveva versare alle maestranze iraniane. Gli accordi prevedevano anche fondi da destinare agli oneri sociali: case, scuole ed ospedali dovevano essere finanziati con i proventi petroliferi (sottratti da quel 94%).
Gli inglesi risposero con un sonoro "non se ne parla nemmeno" e Mossadeq, nell'ottobre del 1951, nazionalizzò la compagnia estromettendo gli inglesi ed accompagnandoli alla porta.
Gli inglesi non la presero molto bene, ma per le compagnie britanniche il periodo aureo stava terminando: di lì a poco, nel 1954, la Royal Navy avrebbe ritirato la flotta dall'Oceano Indiano, sancendo così la fine del dominio britannico nell'area.

Chissà perché inglesi ed americani vanno sempre a braccetto: ancora oggi viaggiano fianco a fianco nelle polverose strade irachene. Dove non arriva Londra ecco giungere Washington: basta che ci sia qualcosa da acchiappare. Se in Iraq crescessero solo broccoli, recita una battuta, Saddam Hussein avrebbe regnato ancora un secolo. Inoltre, chissà perché i repubblicani americani hanno sempre le mani impastate di petrolio: oh, trovatene uno che vi dica “il petrolio? No, non m'interessa..."
Con le elezioni del 1952 i repubblicani riconquistano il potere dopo la lunga parentesi democratica, ed ecco l'ex generale Eisenhower alle prese con la questione iraniana.
La notizia della nazionalizzazione del petrolio iraniano vola fra le capitali arabe e Mossadeq, in visita al Cairo, viene ricevuto come l'eroe che ha saputo sfidare i colonialisti. Ancora per poco.

Non si può rischiare che un Mossadeq qualunque (ma anche un Patrick Lumumba nell'ex Congo Belga) mettano in discussione il concetto neocoloniale del dopoguerra: ce ne siamo andati con le truppe perché costava troppo ma siamo tornati con le banche, le compagnie ed il Fondo Monetario Internazionale. Non vi piace?
Quando qualcuno risponde picche entra in gioco la CIA , per ottenere con rivolte interne ciò che non è possibile ottenere con le armi, come in Cile, Serbia, Georgia, ecc. Il primo tentativo di estromettere Mossadeq dal potere fallisce anche per l'appoggio dell'ayatollah Kashani, massima autorità religiosa dell'epoca, e Mossadeq rimane in carica giacché aveva provveduto precedentemente ad epurare l'esercito dagli ufficiali corrotti e poco affidabili. L'appoggio dell'ayatollah Kashani dovrebbe far riflettere; la rivoluzione iraniana del 1979 non nasce dal nulla, Khomeini non arriva per caso: c'erano vecchi conti da saldare sia con lo Scià corrotto, sia con gli americani.

Nulla può fare però nel successivo mese di agosto del 1953, quando gli americani gettano nella mischia uno dei loro panzer: il generale Norman Schwarzkopf (ricordate questo nome?) ha guidato per sei anni la guardia imperiale iraniana, e sa bene dove e come corrompere.
Se ricordate un Norman Schwarzkopf alla guida delle truppe alleate nel primo assalto all'Iraq del 1991 non meravigliatevi: non è lui, ma il padre. So che non vi meraviglierete: a forza di Bush senior e junior c'è da stupirsi se sono esistiti due Schwarzkopf? Probabilmente il terzo guiderà un assalto in Cina, sotto un Bush III o IV. Le affinità fra i due Schwarzkopf però non terminano qui; Norman il Giovane, dopo la sconfitta di Saddam del 1991, stranamente riconsegnò subito agli iracheni gli elicotteri catturati e permise il volo degli stessi nel paese. La cosa insospettì, e solerti generali italiani (presenti alla riunione dove avvenne la concessione) si sono giustificati affermando che ci fu un errore di traduzione ... che Schwarzkopf era disattento ... insomma, fu un caso...

Con quegli elicotteri, sin dal giorno dopo, Saddam ordinò la repressione della rivolta sciita di Najaf, Kerbala, Bassora e Nassirya: alcune fonti ritengono la cifra di 20.000 morti abbastanza attendibile. Non è un mistero che Bush il Vecchio fermò l'avanzata su Baghdad perché temeva, con la caduta di Saddam, l'instaurazione di una repubblica islamica sul modello iraniano e, guarda a caso, Saddam riebbe subito gli elicotteri con i quali, in pochi giorni, "sedò" la rivolta. Niente male il giovane Norman, ma anche il padre era un tipetto a modo, giacché non gli bastava defenestrare Mossadeq: voleva anch'egli "finire il lavoro".

Il colpo di stato non comprendeva solo la deposizione di Mossadeq, ma anche una "calda" visita alla sua abitazione a suon di mitragliate e bombe a mano. Avvertito in tempo, Mossadeq riuscì a fuggire e si ritirò a vita privata, lo Scià approvò i termini dell'accordo anglo-americano - che prevedeva ovviamente la privatizzazione della compagnia petrolifera di stato - e tutti tornarono a vivere felici e contenti. Meno gli iraniani, che dovettero aggiungere nuovi buchi alla cinghia per campare.
La vicenda non vi ricorda, così, tanto per non far nomi, uno stato confinante con l'Iran (forse l'Iraq?) che non è disposto a cedere la sovranità della propria compagnia nazionale d'estrazione petrolifera e, anzi, estromette proprio inglesi ed americani dalla lista dei clienti?

Come sempre ci pensa Schwarzkopf: un nome, una garanzia.
L’accordo da tagliagole, però, finì per recidere la gola dello stesso Scià: privato di gran parte dei proventi petroliferi, ostaggio dei militari che pretendono copiosi investimenti in armamenti (e corrispondenti tangenti), nel 1979 lo Scià dovette fuggire, cacciato dalla rivolta popolare.
Mossadeq mori di cancro nel 1964, e qualcuno potrebbe pensare che l'Iran abbia dimenticato l'idealista, il nazionalista che sosteneva la proprietà statale del petrolio iraniano. Invece, nel primo anniversario della sua morte dopo la caduta dello Scià, un milione di pellegrini si recò ad Ahmad Abad, dov'è sepolto, per un tardivo ma sincero tributo all'uomo che aveva cercato di difendere il petrolio iraniano dalla cupidigia anglo-americana. Un milione di persone che sapevano cosa significa vivere sotto l'ombrello protettivo della "democrazia" anglo-americana: 6 a te e 94 a me.

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