- Secondo la Nuova Medicina
- Le mammografie non offrono benefici, cominciano a dirlo i medici

Screening mammografico? No, grazie!
di Marcello Pamio

La mammografia senza ombra di dubbio rappresenta l’esame medico-preventivo più diffuso nel mondo occidentale tra le donne oltre i cinquant’anni!
Per i pochi (beati loro!) che ignorano il significato di tale esame, la mammografia prende il nome proprio dall’oggetto della visita: le mammelle, e  consiste in una radiografia con lo scopo di individuare tumori maligni all’inizio della loro formazione. Assieme alle radiazioni ionizzanti per completare il quadro fisiologico e biochimico si possono associare anche esami quali: palpazione, biopsia, ecografia, ecc.  
Come è potuto accadere che questi delicatissimi organi ispiratori di sogni proibiti sia nel poppante che nell’adulto, si trovano nel mirino degli esperti della salute da almeno trent’anni?
Il motivo è che il cancro alla mammella ha un triste primato, quello di collocarsi tra i primi posti in ordine di incidenza e mortalità tra la popolazione femminile nei paesi industrializzati[1]: per essere più precisi la neoplasia colpisce circa 200 mila donne ogni anno in Europa e circa 31 mila in Italia, provocando in quest’ultima 11 mila vittime.[2]  
Queste cifre spaventose vengono usate come cavallo da battaglia dalla scienza medica per portare avanti ricerche e programmi preventivi di massa. Programmi di protezione universalmente noti come screening, il cui obiettivo come dicevamo prima è di prevenire le malattie cancerose o se già iniziate di scoprirle in tempo per poter intervenire.
Il primo studio sullo screening mammografico è stato l’Health Insurance Plan (HIP) iniziato a New York nel 1963 e da allora in successione, chi prima e chi dopo, ha attuato il piano di controllo nazionale imperniato nella sensibilizzazione del mondo femminile al gravoso problema. Campagne informative spingono anche oggi tutte le donne sopra una certa età considerata a rischio, quaranta o cinquant’anni a seconda dello Stato, a fare una radiografia al seno anche se non presentano alcun disturbo e/o sintomo fisico e senza neppure la prescrizione medica.
Nonostante tutti questi enormi sforzi di prevenzione e gli altrettanti fondi messi a disposizione per la ricerca negli ultimi trent’anni il trend di crescita del tumore al seno invece di calare è aumentato.
Com’è che cinque anni fa i casi ufficiali erano 27 mila e oggi sono 31 mila[3]? E perché gli studi condotti finora non hanno rilevato alcuna riduzione della mortalità generale associata allo screening mammografico[4]
Le dichiarazioni ufficiali tendono a dimostrare che le mammografie di massa salvano ogni anno migliaia di donne - e nessuno mette in discussione questo - i dati oggettivi però sono che nel XXI secolo il cancro al seno rimane uno dei tumori che causa più morti.
Se è vero come è vero allora che tale neoplasia cavalca la stessa onda dei programmi preventivi, perché a nessuno viene il dubbio che forse questi screening non hanno quell’affidabilità che gli viene tanto accreditata? O al contrario, un eccesso di esami non potrebbe mettere in serio pericolo la stabilità emotiva della donna provocando ansia e preoccupazioni gratuite?
Qualche giorno fa, precisamente il 20 ottobre, Richard Horton, il direttore di una delle più prestigiose riviste mediche del mondo: The Lancet, ha pubblicamente dichiarato: “…non ci sono in letteratura prove affidabili a favore dei programmi di screening mammografico[5]
Una voce autorevole fuori dal coro che dimostra come anche nel mondo scientifico esistono ricercatori seri e consapevoli che non si lasciano abbagliare da falsi miti e che, dati alla mano, non esitano a mettere in discussione ricerche mediche le cui aspettative alle volte vengono sopravalutate.
La sentenza lapidaria di Horton dovrebbe far riflettere le autorità sanitarie sulla facilità con cui i medici prescrivono determinati esami, ma soprattutto le donne che spesso e volentieri (e la storia ne è testimone) sono cavie inconsapevoli di un sistema freddo e distaccato; un sistema dove alle volte conta più una statistica all’interno di una tabella che la salute di un essere umano.
Nessuno ha la presunzione, non è questa la sede, di affermare ciò che è bene e ciò che è male, quello che va fatto e quello che non va fatto; il punto fondamentale è che ogni anno migliaia di donne muoiono lasciando un vuoto incolmabile nelle famiglie che abbandonano e nella vera ricerca della salute e della sua salvaguardia. 
Nessuno punta il dito contro lo screening mammografico, sarebbe troppo facile e non porterebbe alcun risultato utile; il dito semmai dovrebbe essere puntato contro quella ricerca investigativa e massificata, dove la lente di Sherlock Holmes viene sostituta dai raggi X, che non va a scavare solo nel seno di una donna, ma per ovvie conseguenze emotive, va molto più in profondità: nell’animo e nella psiche. 
Ricordiamo che in qualsiasi test scientifico di laboratorio e non, a causa della trasduzione e interpretazione dei dati, alle volte i risultati possono essere involontariamente falsati o errati, infatti anche la mammografia presenta spesso falsi positivi, cioè dalle analisi sembra un tumore e invece non lo è. “Per oltre mille donne tra i 40 e i 50 anni che potrebbero fare il controllo periodico, salveremmo una vita, ma circa 400 verrebbero invitate per un ulteriore accertamento, col risultato di provocare ansia e paura”[6] 
Naturalmente una singola vita salvata non ha prezzo, però nessuno pensa a quelle donne costrette a convivere per anni e anni con l’ansia e la paura di sviluppare il tremendo male del secolo? Ogni piccolo dolore o gonfiore del seno farebbe scattare immediatamente il piano ics: lotta per la sopravvivenza e/o paura di morire.
Le conseguenze di tutto ciò? Be’, certamente vivere in continuo “allarme rosso” non fa bene all’organismo; come anche pensare continuamente ad un problema senza riuscire a risolverlo: oltre a disperdere inutilmente energia vitale il cervello potrebbe anche decidere di materializzarlo veramente (la psiconeuroimmunoendocrinologia insegna).
Le donne hanno il diritto di decidere il meglio per la propria salute e conoscere effettivamente il rapporto rischio/beneficio di una terapia preventiva.
Pretendere informazioni e spiegazioni dettagliate, non limitarsi ad accettare per buono e legittimo tutto quello che ci viene detto, perché salute è informazione!
Quando si ha l’informazione corretta e la libertà di scelta terapeutica allora e solo allora saremo i veri padroni e artefici della nostra salute e del nostro destino.


[1] A.I.R.C. Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
[2] idem
[3] Amburgo (Germania) – 12 ottobre fonte ANSA
[4] Ole Olsen e Peter Gøtzsche, epidemiologi del Nordic Cochrane Centre di Copenhagen
[5] The Lancet – 20 ottobre 2001
[6] Marco Rosselli Del Turco, oncologo del C.S.P.O. Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica di Firenze

 
www.disinformazione.it