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Bush e Kerry divisi in politica ma uniti da una loggia: quella del «Teschio e delle Ossa»
Di Guido Mattioni - tratto da «Il Giornale» 12 luglio 2004

La confraternita alla quale di iscrissero ai tempi dell’università fu fondata nel 1832 e accoglie soltanto studenti di Yale.

Un sogno immacolato. Ma anche un cupo, lugubre segreto di cui nessuno dei due rivelerà mai alcunché, nemmeno in punto di morte: né a un giudice, né a un giornalista e men che meno alla propria moglie.
Sì, un sogno e un segreto sono probabilmente le uniche due cose che accomunano il presidente statunitense George W. Bush e John Kerry, suo sfidante alle prossime elezioni presidenziali di novembre. Il sogno è scontato e noto a tutti: le chiavi di quella residenza tutta bianca al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, a Washington DC. Bush conta di ottenere dai padroni di casa, gli americani, il rinnovo del contratto d’affitto per altri quattro anni; Kerry spera invece in un’intimazione di sfratto al concorrente. Diverse le parole usate per arrivarci, diversi i finanziamenti, ma è lì che puntano entrambi. Quello e soltanto quello è il loro chiarissimo oggetto del desiderio. Per il resto, come si sa, tutto li divide. Il presidente è cresciuto in mezzo alla smisurata guasconeria dei texani, l’ex eroe del Vietnam, respirando invece lo snobismo dei «sangue blu» del New England.
Il primo è evangelico, il secondo cattolico. Uno è convinto della validità del capestro, l’altro vuole cancellare la pena di morte…E si potrebbe continuare.
Sì, ma il segreto, quel «cupo segreto» che li lega? Volendolo definire col il suo vero nome, si può affermare che Bush e lo sfidante condividono uno scheletro nell’armadio. A essere più precisi, non proprio uno scheletro intero, qualcosa in meno: soltanto un teschio e due ossa incrociare, in  inglese skull and bones. Ma i pirati non c’entrano. Skull and Bones è infatti il nome e il simbolo della segretissima quanto super esclusiva loggia studentesca a cui entrambi sono stati iscritti – pur senza incrociarsi per la differenza d’età – negli anni universitari all’altrettanto esclusivo ateneo di Yale. Loggia nella quale si entra per chiamata – quindici nuovi adepti ogni anno – portando una tassa d’ingresso di 15mila dollari e un orologio appartenuto a papà. Loggia dalla quale si esce soltanto per morte sopraggiunta. E conseguentemente loggia nel cui libro mastro compaiono tuttora i nomi di George e di John, così come quelli di tutti gli altri membri ancora in vita, circa 800 persone.

Skull and Bones ha una storia e una leggenda. La storia vuole che l’associazione sia stata fondata a Yale, nel 1832, dal generale William Huntington Russell (fratello di quel Samuel che gestì il più vasto traffico mondiale di oppio del tempo) e da Alphonso Taft, nonno di quell’Howard che dal 1909 al 1913 sarebbe stato il 27° presidente degli Stati Uniti. L’intento era quello di riprodurre in America una società segreta sul modello di quelle – come gli Illuminati – che proliferavano in Germania. Lo scopo? Creare una classe eletta e destinata attraverso l’aiuto reciproco a grandi e luminose carriere. E infatti la storia ci dice come attraverso la pesante porta di legno massiccio che conduce alla cripta senza finestre («La Tomba»), sede della setta, siano passati negli anni diversi aspiranti «Bonesmen» (uomini-ossa) divenuti poi personaggi in vista: da George Bush senior, papà di George W., nonché 41° presidente americano, a William Donaldson, già capo delle Sec, la commissione che vigila sulla Borsa di Wall Street; da Henry Luce, fondatore della rivista Time Magazine, a Averell Harriman, diplomatico di vaglia e confidente di diversi inquilini della Casa Bianca; da Harold Stanley, fondatore della banca d’affari Morgan Stanley, a diversi rampolli della famiglia Rockefeller, i magnati della Standard & Oil. Ma anche ex segretari di Stato, giudici della Corte Suprema e pezzi grossi della CIA.

Questo vuole la storia. La leggenda racconta invece ben altro. Tanto che pensando alle successive carriere di quei giovani necrofili – in che mani siamo! – si fa fatica a scegliere se piangere o ridere. Sarebbe stato per esempio Prescott Bush, nonno di George W., anche lui studente a Yale, a trafugare da una tomba pellerossa il teschio che dà il nome alla loggia (prima si chiamava «Confraternità della morte») e che pare sia conservato ancor oggi, come oggetto di culto, in una teca di vetro. E non un teschio qualsiasi, ma quello che sarebbe appartenuto al povero Geronimo, grande capo Apache, perseguitato in vita dalle giubbe blu e molestato da morto da quei pischelli in blazar dello stesso colore.
Attraverso le maglie della segretezza, forate soltanto da pochissime eccezioni, sappiamo anche che i neofiti, una colta accolti, prendono il nome di «Cavalieri», per poi diventare l’anno successivo, «Patriarchi»; che gli appellativi con cui definiscono i comuni mortali, quelli del mondo esterno, vanno da «Gentili» a «Vandali»; ma soprattutto che la cerimonia di iniziazione prevede che l’aspirante «Bonesman» si stenda completamente nudo in una bara, al centro della cripta, raccontando agli altri, senza lesinare alcun dettaglio, la propria vita sessuale. E ora che in anni di politically correct le porte della sulla and bones sono state aperte anche a donne e omosessuali dei deus essi, in quelle cerimonie non ci sarà senz’altro di che annoiarsi.

Comunque, a lume di borghesissimo buon senso, ce ne sarebbe già abbastanza per dibattersi tra due interrogativi: ridere o piangere? Eppure, c’è anche chi ha scelto una terza via. Come Ron Rosembaum, scrittore ed editorialista del New York Observer, che affascinato da questo mondo criptico vi ha dedicato 30 anni di studi e di lavoro. Ricavandone anche il suo personale «perché» circa l’esistenza di Skull and Bones. «Sono giunto alla conclusione che al di là del colore e degli aspetti esteriori, tutta questa ossessione per le ossa, le bare e la mortalità voglia inculcare nei giovani adepti il concetto che la vita è breve – spiega Rosembaum – e se come loro sei una persona ricca e privilegiata, hai davanti a te due strade: o te la godi, senza dare in cambio nulla alla società, oppure sfrutti il tempo che ti è stato regalato per lasciare un segno e un contributo». E messa così, potrebbe anche andare.


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