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Mark Thatcher, figlio della famosissima Lady di ferro, è stato arrestato con l'accusa di essere uno degli organizzatori, se non il vero e proprio finanziatore, del golpe fallito, in Guinea Equatoriale. Sir Thatcher, che si fregia pure del titolo di baronetto, per la verità è finito diverse volte nelle pagine dei giornali per scandali finanziari e/o truffette varie, ma capire il personaggio è bene ricordare che nel 1982, durante una Parigi-Dakar, si perde nel Sahara e viene recuperato dagli elicotteri di soccorso!  
Cambiando discorso, ma non località, la Guinea Equatoriale (articolo che trovate in fondo pagina) fa gola a moltissime multinazionali (in primis la Exxon-Mobil) per via del suo petrolio, e gli Stati Uniti hanno oggi almeno 3000 addetti nel settore petrolifero che lavorano laggiù...

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Arrestato Thatcher jr, golpista
Stefano Liberti - "Il Manifesto" 26 agosto 2004

Le forze speciali sudafricane incarcerano il figlio dell'ex lady di ferro, con l'accusa di aver dato assistenza logistica al putsch fallito nel marzo scorso in Guinea equatoriale. Il suo nome si unisce alla lunga lista di «cani da guerra» alla sbarra nello Zimbabwe e a Malabo per questa intricata vicenda
Iron baby Scarso negli affari, mediocre a scuola, ha costruito una fortuna colossale grazie alle possenti raccomandazioni materne. Fuggito dagli Stati uniti perché rincorso dal fisco, vive in Sudafrica 170 giorni l'anno per non pagare le tasse


Lo hanno arrestato alle sei del mattino. Un reparto degli Scorpions (le forze speciali sudafricane) ha bussato alla porta della sua esclusiva villetta di Cape Town e ha intimato a Mark Thatcher di seguirlo. Accusato di aver violato la South Africa's Foreign Military Assistance Act (la rigida legge anti-mercenariato approvata dal governo post-apartheid di Pretoria), l'uomo è stato sbattuto in una cella sovraffollata, dove - poco avvezzo alla consuetudine del carcere - è stato rapidamente derubato di scarpe, giacche e telefono cellulare. Nel pomeriggio, è stato rilasciato dietro pagamento di una cauzione di due milioni di rand (300mila dollari) e invitato a ripresentarsi in Tribunale alla fine di novembre. Ricco businessman e figlio della celebre «lady di ferro», Thatcher è l'ultima vittima dell'intricato complotto internazionale venuto alla luce il 7 marzo scorso, quando un gruppo di settanta mercenari è stato bloccato all'aeroporto di Harare mentre si dirigeva verso la Guinea equatoriale per compiere un colpo di stato contro il presidente Teodoro Obiang Nguema. Un'operazione ardita, in cui sono intervenute diverse figure di primo piano di quel torbido mondo rappresentato dalle «società di sicurezza» moderne: del commando fermato in Zimbabwe faceva parte Simon Mann, ex membro delle Sas e fondatore della celebre azienda di mercenariato Executive outcomes (Eo). Il più piccolo manipolo gemello (15 persone), bloccato poco dopo a Malabo, capitale della Guinea, era invece guidato da Servaas Nicolaas «Nick» Du Toit, ex membro delle forze speciali sudafricane. Entrambi i gruppi di «cani da guerra» sono ora sotto processo: il primo è alla sbarra nello Zimbabwe, il secondo a Malabo.

Ed è proprio a partire dai processi che la vicenda sta cominciando a mostrare i suoi risvolti più inattesi, andando a coinvolgere nomi sempre più eccellenti. Già all'indomani della scoperta del plot, era uscito quello di Ely Calil - businessman anglo-libanese noto per le sue spregiudicate frequentazioni africane, nonché amico di Severo Moto. Subito dopo, era stata la volta di alcuni esponenti di spicco dell'establishment tory britannico: Thatcher appunto e David Hart, ex consigliere privato della «lady di ferro» riciclatosi nella vendita di materiale militare. I tre sono stati tirati in ballo dallo stesso Mann: a quanto scriveva The Observer a fine luglio, l'ex testa di cuoio britannica era riuscita a far pervenire un messaggio alla moglie dalla sua cella, in cui la pregava di mettersi in contatto con Calil, Thatcher e Hart. «L'unica cosa che può tirarci fuori è una potente raccomandazione. Abbiamo bisogno dell'influenza di Smelly (Ely Calil ndr), Scratcher (Mark Thatcher ndr) e David Hart, che devono intervenire con tutta la loro influenza. Se inizia il processo, siamo fottuti». Il processo è poi cominciato; i tre hanno deciso più o meno di abbandonare Mann al suo destino (a quanto scrive ancora il detenuto «gli avvocati non hanno ottenuto risposta da Smelly e Scratcher, il quale gli ha chiesto di richiamare alla fine del Gran Premio!»). Ed è quindi probabile che, a quel punto, Mann abbia voluto trascinare con sé nella polvere i suoi ex sodali, primo fra tutti Thatcher, suo vicino di casa a Hout Bay, ricco sobborgo di Cape Town.

Se rimane un dubbio su chi abbia fatto la soffiata, resta il fatto che già da alcuni mesi la partecipazione di Thatcher all'operazione non era più un segreto per nessuno: ampiamente riportata dai giornali inglesi, era stata citata dallo stesso presidente della Guinea equatoriale. In un'intervista concessa al mensile Jeune Afrique-l'Intelligent durante una sua visita a Parigi, Obiang aveva detto che «alcuni elementi sembrano indicare che il figlio dell'ex primo ministro Margaret Thatcher, Mark Thatcher, possa essere coinvolto nel golpe». Obiang ha anche parlato del coinvolgimento di «un ex ministro della Thatcher», di cui ha preferito non fare il nome, riferendosi con ogni probabilità allo stesso Hart.

Ma qual è il ruolo del figlio della ex lady di ferro in questa vicenda? A quanto emerge dai primi riscontri, avrebbe dato assistenza logistica e finanziaria al gruppo dei golpisti. In particolare avrebbe fornito loro armi, violando la legge sudafricana che vieta ai residenti di prendere parte in attività militari all'estero. Particolarmente dura nei confronti dei mercenari, che imperversano nel paese dopo la smobilitazione dei vari reparti di forze speciali creati dal governo dell'apartheid (gran parte del commando di Mann proveniva dal famigerato battaglione Buffalo), Pretoria ha deciso di usare le maniere forti: ha annunciato a più riprese che non chiederà l'estradizione dei suoi cittadini incriminati in Zimbabwe e Guinea equatoriale (a meno che essi non vengano condannati a morte) e sta portando avanti un'azione a tutto campo contro queste imprese di sicurezza - solo mercoledì scorso gli Scorpions di Cape Town avevano fatto irruzione nella sede di una società chiamata International Intelligence Risk Management e nella residenza del suo proprietario, arrestando quattro persone.

L'azione contro baby Thatcher si inserisce probabilmente in questa offensiva e mira a inviare un segnale di avvertimento alle decine di businessmen che hanno avviato aziende di quel tipo nel nuovo «paese arcobaleno», reclutando i vari cani da guerra rimasti a spasso. In questo senso, gli interessi della Guinea equatoriale - emirato petrolifero amministrato con pugno di ferro dal satrapo Obiang - e quelli del Sudafrica - interessato a eliminare la sua fama di «santuario» per mercenari di ogni sorta - sono venuti a coincidere. Difficile invece che gli altri big names implicati nell'affaire siano toccati: è assai poco plausibile che le autorità spagnole e britanniche daranno seguito al mandato di arresto internazionale emesso il 26 luglio scorso dal governo equato-guineano contro Severo Moto, Ely Khalil e David Hart. Fintanto che rimangono in Europa, i tre possono continuare a dormire sonni tranquilli.

Odore di petrolio in Guinea equatoriale
Exxon Mobil e compagni sfruttano le enormi ricchezze del paese più povero del mondo

Nel 1992 la Guinea equatoriale non produceva petrolio. A distanza di un decennio, nel 2002 la produzione giornaliera ha raggiunto i 242 mila barili giorno, a pari merito con il Gabon, e sopravanzando nella classifica continentale il Sudafrica. Se tra i produttori africani è in ottava posizione, sale al settimo tra gli esportatori con 221 mila barili al giorno sopravanzando Egitto e Sudan. Mentre i conteggi di produzione ed esportazione sono plausibili, lo è molto meno l'indicazione delle riserve: da un decennio, dal 1995 al 2004, sono fisse in 12 milioni di barili. Per confronto, la riserve italiane sono indicate ogni anno, dal 1999 in qua, in 622 milioni di barili. Come è ovvio il petrolio della Guinea equatoriale è molto più abbondante. Quanto lo sia, non è dato saperlo. Per esempio non lo sa l'Eni, che pubblica nel suo O&G (World Oil and Gas Review 2004) i dati che sono riportati più sopra. Il petrolio del Golfo di Guinea è valutato in un decimo di tutte le riserve mondiali. Di nuovo, l'indicazione è un desiderio, una speranza più che non una certezza. E' certo invece che il petrolio della Guinea equatoriale - e l'altro greggio proveniente dalla stessa area del mondo - sono a breve distanza dai porti degli Usa; a sette giorni di navigazione, in Atlantico, secondo quanto scriveva il 3 marzo il quotidiano francese Le Figaro économie, (Sixtine Léon-Dufour): un tiro di schioppo, per così dire.

E' un petrolio così vicino, così comodo, quello dell'Africa subsahariana, da rappresentare già oggi il 17% di tutta l'importazione Usa. Presto potrebbe diventare il 25% quando fossero in esercizio gli oleodotti attesi, in particolare quello dal Ciad alla costa del Camerun, dopo aver preventivamente debellato e disperso le popolazioni residenti, e finalmente sconfitto gli ambientalisti di tutto il mondo, preoccupati per la tenuta del pianeta.

Il pianeta va a petrolio; il suo motore è posto negli Usa; gli Usa devono poterselo garantire a prezzi contenuti, soprattutto negli anni elettorali. Le preoccupazioni per la foresta pluviale, per le popolazioni indigene, per l'indipendenza di tutti i popoli, per la libertà di decidere in casa propria, sono sconfitte di fornte ad altre esigenze, come quelle di poter disporre (in Usa) di 25 barili annui pro capite, mentre i produttori del petrolio, come i nigeriani dispongono di 0,68 barili pro capite l'anno.

Anche in Guinea equatoriale consumano petrolio, ma non esiste un dato pro capite. In effetti si può pensare che la parte preponderante dei consumi siano del presidente Teodoro Obiang e della sua cricca, mentre la generalità dei cittadini rimane all'asciutto. Obiang gestisce soprattutto a proprio favore le esportazioni. Dal petrolio deriva l'86% del prodotto interno lordo del paese e il 90% delle esportazioni. L'accusa rivolta, perfino dalla Banca mondiale al presidente Obiang è di non aver separato i propri interessi personali da quelli del paese. Gli Usa hanno in Guinea oltre 3.000 addetti nel settore petrolifero e un vero controllo sull'attività. Ad agire è soprattutto ExxonMobil che poi rifornirebbe i 60 conti privati del presidente Obiang, dei suoi familiari e amici presso un indirizzo di Washington assolutamente inappuntabile: la Riggs Bank. Secondo quanto scrive l'esperto Matteo Fagotto sarebbero transitati per i conti privati 700 milioni di dollari, di cui 90 nell'ultimo anno. Tutto questo sarebbe sembrato troppo anche al governo americano, pur amico di Exxon e dei suoi simili: Amerada Hess e Marathon Oil. Alla ricerca di denaro sporco e delle necessarie misure antiriciclaggio, il senato americano ha indagato a fondo nei conti coperti della Riggs Bank trovando (lo scrive sempre Fagotto) - oltre agli averi di Obiang - anche i trasferimenti di Augusto Pinochet, per 3 milioni di dollari , quando i suoi fondi erano congelati. Alla fine Il Comtroller of Currency Usa ha comminato alla Riggs una multa di 25 milioni di dollari.


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